domenica 27 settembre 2015

Venghino signori venghino: siamo tutti sul mercato

Dal Giornale del Popolo del 25 settembre

Al peggior colloquio della mia vita mi hanno chiesto come immaginavo di lì a dieci anni. La risposta era il corrispettivo lavorativo di alta e magra. Inutile che racconti come è andata a finire. Da allora non ho imparato molto. Alcuni di noi non sono bravi a vendersi. Non saprebbero condurre una televendita in cui battere i pugni sul tavolo e alzare la voce per dire che sì, signori, il prodotto migliore al mondo, quello che vi consentirà di fare il lavoro che prima facevano due persone, spendendo la metà, il prodotto magico come quegli stracci che non prendono mai fuoco pubblicizzati alle fiere di paese, è proprio qui davanti a voi. Provate per credere e se non vi piace restituirete il prodotto e ne troverete subito uno nuovo. Divagazioni retoriche a parte, è così. Cercare un lavoro, “guardarsi intorno” come dicono quelli che ne sanno e che hanno profili LinkedIn di provata efficacia, significa vendersi, proporsi. “Nessuno ti verrà mai a cercare”, dice il romantico poeta che mi si addormenta a fianco sul divano ultimamente; pensando così di spronarmi, senza sapere che il mondo si divide tra quelle che mettono i tacchi e vanno in giro scollate per farsi notare e quelle che si ostinano a vestirsi in maniera ricercata, convinte che valga la pena attrarre solo sguardi in grado di dedicare attenzione a chi non si sbraccia per ottenerla. Ecco alcune di noi non si sbracciano. Non sudiamo per dimagrire, figurarsi se lo facciamo per lavorare; di certo è un obiettivo meno interessante e meno urgente. Pensavo di stare divagando troppo in questa analogia improbabile tra seduzione e ricerca del lavoro. Poi è arrivato quel colloquio inaspettato. Quello in cui mi hanno chiesto: e tu, che tipo di donna sei?

giovedì 24 settembre 2015

Se Peter Pan è il nostro uomo ideale

Dal Giornale del Popolo del 18 settembre

Quelle come noi di Peter Pan ricordavano solo la sindrome, di solito per averla diagnosticata in qualche maschio a cui era meglio riconoscere una patologia piuttosto che un effettivo disinteresse per noialtre. Poi arriva il giorno in cui lo incontrano le nostre figlie; e ci tocca constatare che anche nella fiaba di Walt Disney il ragazzino vestito di verde ha le medesime caratteristiche dei suoi simili maschi adulti. Sfuggente, ambiguo, spiritoso, perennemente in volo tra sirene, principesse indiane, fate e ragazzine di buona famiglia. Le bambine dicono che è il suo essere furbo ed agile ad attrarle. Noi presunti adulti, costretti a interminabili sessioni di lettura della fiaba e sottoposti a richieste continue di visione del cartone di Walt Disney, ci domandiamo se la fiaba abbia creato un genere o se l'abbia soltanto reso famoso. Discutiamo della preferenza per Trilly o Wendy, e inevitabilmente scegliamo la prima ma le mamme di maschi sperano che i figli incontrino tipologie di donne più simili alla seconda. E poi ricordiamo che tutti nella vita prima o poi incontriamo dei Capitan Uncino, pirati cattivi e buffoni nel loro essere senza scrupoli e bisognosi della compagnia di nostromi signorsì. E allora torna utile Peter Pan; per ricordare che con molta agilità e fantasia si può volare via dalle situazioni peggiori. E lasciare che i pirati vadano alla deriva.

Le maestre che ricorderemo

Dal Giornale del Popolo dell'11 settembre

La maestra Carmen aveva gli occhiali, i capelli corti, un décolleté da tabaccaia di Fellini e dei braccialetti che tintinnavano meravigliosamente mentre lei, seduta alla cattedra, disegnava principesse che noi bambine potessimo colorare. Dell'asilo ricordo questi fermo immagine insieme a quello di me stessa davanti alla scatola dei Lego che tento invano di ricordare al bambino che l'anno precedente ci eravamo fidanzati. Delle elementari ricordo la maestra Pia con il grembiule azzurro, le scarpe da signora anziana, i capelli grigi e le unghie così pulite da far sembrare noi bambini intenti a colorare degli emeriti zozzoni. Lei era l'ordine e la disciplina più rigide e la scuola era grigiore fino al mercoledì, quando entrava la maestra Paola a insegnare educazione all'immagine. Era così giovane che mi pareva bellissima anche se a ripensarci aveva un naso esageratamente lungo. Eppure le ho scritto per tanti anni una volta finite le elementari. In fondo tutti i nostri ricordi di infanzia sono legati a figure come queste. E oggi, che all'asilo ci vanno delle bimbe che fino a tre anni fa non immaginavamo neanche potessero esistere nelle nostre vite, ci domandiamo che cosa ricorderanno domani delle loro maestre. "Di che colore ha i capelli la mia maestra?" "Biondi, cara" "Oh biondi che bello". Non resta che sperare che la maestra bionda la affascini quanto la cantante di piano bar, che nell'ultimo Ferragosto l'ha letteralmente rapita con il suo fascino da ugola di provincia: "Mamma mi piace, mi piace perché canta ed ha i capelli lunghi".

giovedì 10 settembre 2015

Dirsi addio e ricominciare

Dal Giornale del Popolo del 4 settembre

La nuova gravidanza di Kim Kardashian, quella della Canalis e poi quella della nostra amica incredibilmente più in forma di tutte noi a un mese dal parto: per il raduno di fine estate di argomenti all'ordine del giorno ne avevamo parecchi. Non ultimo il giudizio insindacabile da emettere sull'estate social delle amiche. Poi prima ancora dello Spritz è arrivata la botta: è finita. Meno di un anno fa eravamo qui a festeggiare la nascita della bambina , un paio d'anni fa il matrimonio. Poi lui una mattina arriva e dice non ti amo più, sai, le storie finiscono. Avremmo dovuto parlare di Ben Affleck che si è tolto la fede dopo la separazione da Jennifer Garner e invece siamo qui ad avere un sacco di tempo per restare senza parole. Perché siamo gente di mondo e sappiamo che può succedere a chiunque ma non ci diamo pace che una cosa del genere succeda alla nostra amica. Ci crediamo invincibili, titolari di amori più forti di ogni cosa. Oppure cinici, di quelli che non si impegnerebbero mai proprio per evitare questi “inconvenienti”. E sono due modi di difendersi e ritenersi impermeabili a un fallimento. Fallimento. Non sappiamo cosa sarà e, anzi, questi saranno mesi cruciali per decidere cosa sarà; ma quella è l’unica parola che non si può pronunciare. Perché dove c’è stato e c’è tutto questo, dove ci sono le tracce di questo amore e di una bambina, non si potrà mai parlare di fallimento. Adesso bisogna ricominciare. Ma non da zero. 

Intolleranti agli allergici

Dal GdP del 28 agosto

Nel girone degli allergici, io, non ci ero mai stata. A casa mia l'unica fragilità conosciuta era quella della mia pelle candida, che si ustionava al sole ogni anno. Per il resto la mitologia familiare racconta di mia sorella che da neonata si svegliava cantando e crescendo mangiava di tutto, come me del resto. Siamo venute grandi in un momento in cui le intolleranze non erano di moda e abbiamo geni estranei al fenomeno dell'allergia. Mio padre è ancora convinto che la vita sana e l'aria del paese siano una seria terapia contro ogni tipo di malattia: racconta ancora con soddisfazione l'episodio mitologico di quella volta che una spina di pesce gli rimase nella gola per giorni. In nessun modo riusciva a toglierla, poi il giorno prima di tentare all'ospedale uscì per il suo solito giro di 80 kim in bici di corsa: «Sono tornato e la spina non c'era più!». Il mio pedigree genetico allergicamente a prova di bomba mi rende ancora più disorientata in questo mondo fatto di antistaminici, starnuti, dermatiti allergiche, polveri viste come il demonio e pollini temuti con settimane di anticipo. Il giorno in cui la bambina ha vomitato i cappelletti della zia, perché pieni di uova e formaggio a cui poi si è scoperta allergica, abbiamo provato la nostra prima, enorme, delusione. Ora ci manca solo che da grande diventi vegetariana.

Bentornati

Dal Giornale del Popolo del 21 agosto


Tornare talmente presto da aver subito voglia di ripartire. Esultare per i complimenti all'abbronzatura. Constatare che le piante stanno immensamente meglio se a curarle è la vicina di casa. Essere tentati da diversi selfie con lentiggini per avere prove documentali di felicità (ed esistenza di melanina) da esibire durante l'inverno. Fare quattro lavatrici in meno di 24 ore. Riporre infradito e parei con più di una lacrima. Ricominciare a mettere la canottiera perché -che sia un effetto psicologico o no - alla scrivania fa sempre più freddo. Posticipare tagli di capelli per tenersi il più possibile quelle punte schiarite perfettamente dal sole. Concedersi qualche giorno di vestiti bianchi come se si fosse ancora coi piedi sulla sabbia. Abituarsi a dormire senza il rumore del mare. Smaltire 25 della 75 email non lette in questo tempo. Combattere l'odore dell'ufficio con quello dell'ultimo profumo di Dior. Fare la spesa e ricominciare a sentirsi a dieta. Commentare con le amiche le foto delle vacanze degli altri e spettegolare sui tag che ufficializzano le relazioni. E poi sorridere sorridere sorridere: perché non c'è modo migliore per perpetuare lo spirito delle vacanze che portarsi in faccia un po' di quel sole che ci siamo goduti fino a ieri. Bentornati.

Le vacanze degli altri su Facebook

Dal Giornale del Popolo del 14 agosto

Ci sono quelli che si godono il mare selvaggio dei Balcani coi sandali di cuoio ai piedi e l'iPhone sempre carico. Ci sono le famiglie a impatto zero che non usano la macchina ma salgono su quella degli altri, al punto da farti pensare che la vera sostenibilità sia lo scrocco. Ci sono quelli che dopo la villeggiatura al mare staccano in alberghi di montagna extra lusso per dieci giorni. Perché vuoi mettere quanto fa bene l'aria delle Dolomiti ai bambini? Ci sono quelli che non temono lo iodio e al mare ci stanno giorno e notte e al terzo giorno non lavano neppure più il ciuccio caduto nella sabbia a testa in giù. Ci sono quelli che ironizzano sul maltempo che li perseguita e postano foto #nofilter da località sempre amene e sconosciute. Insomma su Facebook ci siete tutti vuoi e tutte le vostre vacanze mi paiono meravigliose e poetiche quanto i tramonti che immortalate. Non avete l'aria di quelli che litigano per la temperatura dell'aria condizionata in camera e per le consumazioni al mini bar. Sui social l'unico filtro obbligatorio è quello della felicità e della costante autopromozione di sé. Una sorta di terapia che qualcuno dovrebbe prescrivere ai più cinici di noi. Quelli che quando vedono lo zaino del compagno di divano ricolmo di libri non si capacitano. Come diavolo pensa di leggere in spiaggia con due bambine che sono un'associazione a delinquere? Ed è indubbio che ce la farà. In fondo è sempre quello che a una festa di nozze con centinaia di invitati è riuscito a mangiare tutte le portate del menù.

In un litigio le osservazioni sull'età sono colpi sotto la cintura

Dal Giornale del Popolo del 30 luglio 2015

«Hai 35 anni, contieniti». Forse fino alla vecchiaia cercherò di capire se mi abbia offeso più la prima parte della frase o la seconda. Abbiamo sempre pensato, celandolo sotto l'indifferenza, un fondo di ammirazione per i maschi. Innamorati o indifferenti che fossero, sono sempre stati una certezza. Sapevamo che ogni arrabbiatura andava condivisa con le amiche di sempre e poi ripresa in mano con loro. Perché non c’è niente come la definitività di un maschio per analizzare i problemi con lucidità. Come sempre, però, a fregarci è l’immaginario costruito dai film. Quelli in cui si litiga e si discute ma ci si abbraccia al momento giusto, un attimo prima di dire una cosa che scaverà dentro il cuore e il cervello per tutta la notte successiva. Peccato davvero che nella realtà non ci siano i titoli di coda e i cavalli bianchi non siano così veloci e i principi azzurri siano così scarsamente dotati di tempismo. Abbiamo i maschi veri, quelli che improvvidamente discutono con noi e per un attimo sembrano giustificare persino le più grandi cattiverie di un capo dispotico. Se una donna piange disperata e singhiozza vuole solo che un maschio la abbracci e la stritoli d'amore a fare da corazza a un mondo di gente senza cuore. Soprattutto: una donna non può sentirsi rinfacciare la sua età come incentivo al contegno. Altrimenti non resta che buttarsi sul prosecco e il contegno va a farsi benedire.

Un editoriale sul GdP

Dal Giornale del Popolo del 24 luglio

Io vorrei non dire niente. Da martedì una famiglia ha un dolore enorme e un angelo che dal cielo tirerà la sottana alla Madonna fino a ottenere per il suo papà e la sua mamma un po' di pace, loro che di pace non ne hanno più da quando lei se n'è andata atrocemente. Solo a pensarlo o a descriverlo quel fatto di cronaca è troppo penoso, insensato, assurdo come solo sa essere la morte. Di atrocità ne succedono ogni giorno ovunque, forse anche di peggiori; eppure chi ha letto la vicenda della bimba morta nel parcheggio del camping di Muzzano non si dà pace per quei genitori che hanno perso la loro piccola lasciata in auto.
La ricerca delle responsabilità, i sensi di colpa, lo sgomento: niente colma quel vuoto.
Penso che possiamo dimenticare tutto perché siamo tutti dei poveracci. Non lo siamo perché la vita di oggi è frenetica, non lo siamo perché immaturi incapaci di concentrazione, non lo siamo perché noi moderni abbiamo troppi lussi, non lo siamo perché pensiamo troppo al lavoro, non lo siamo perché usiamo l'auto anziché la bicicletta, non lo siamo perché questo mondo s'è corrotto e imbastardito. Lo siamo perché miserabili siamo tutti dalla notte dei tempi e il diventare genitori non proietta nessuno in un universo in cui tutto torna. Non è neppure la retorica dell'imperfezione, questa, ma la descrizione della banale e tremenda normalità in cui non si hanno le forze per preservare dal dolore e dalla morte chi si ama.
Ci sono dei Salmi antichi che rotolano in testa come le poesie imparate alle elementari, anche a chi non mette più un piede in una chiesa dal dopo Cresima e oggi si trova a pregare, come trasportato dall'inerzia, per quella mamma e per quel papà: “Si dimentica forse una donna del suo bambino? Se anche ci fosse una donna che si dimenticasse io non ti dimenticherò”.