venerdì 31 maggio 2019

Ci hanno preso per il tablet


Da Ticino7 del 31 maggio
La bambina numero uno ha provato un videogioco a casa di amici. È affascinata. “Posso chiederlo a Babbo Natale?”. “Certo, puoi chiedere tutto quello che vuoi”. Indovina l’espressione sorniona e provoca: “Se non me lo porta significa che Babbo Natale siete voi!”. Non serve spiegare che il vecchio è solito accordarsi con i genitori, perché vive quell’adolescenza meravigliosa dei sette anni in cui non c’è spazio per la mediazione: “Voi siete cattivi e ottusi perché non amate i videogiochi”. Pochi giorni prima si discuteva dei compiti, con gli adulti che la esortavano a fare “il proprio lavoro” senza tante storie. “Voi per il vostro lavoro venite pagati, io no.” Ci siamo ricordati di quella volta del picchetto sindacale per chiedere il permesso di mangiare i wurstel con le mani e infilare le dita del naso e abbiamo deciso che fosse meglio non girarci intorno: Babbo Natale non esiste, per i videogiochi bisogna aspettare un po’. Piangono entrambe cinque minuti. E poi: “Ok ma quando potremo avere una paghetta per comprarci quello che vogliamo?”. “Ma la Befana? Perché lei è più importante, vecchia e sola, non come quel comodone con la slitta che fa faticare solo le renne”.
Nel bel mezzo di queste discussioni la scuola si è messa in mezzo proponendo il progetto tablet. Solo il consenso unanime dei genitori consentirà ai bambini di avanzare verso le meravigliose sorti e progressive, ci hanno ammonito. L’assemblea, che di solito si scanna per aggiungere ore di lingua straniera e ottenere una commissione genitoriale di sorveglianza alla mensa, è incredibilmente compatta: le tecnologie aiuteranno i nostri bambini. In fondo alla sala siamo rimasti solo noi retrogradi, azzardiamo obiezioni, sembriamo degli Amish sostenitori delle candele mentre gli altri si godono l’elettricità. Chiediamo di discuterne, a casa litighiamo furiosamente anche sull’unica cosa su cui siamo d’accordo. Non sarà un caso che i più grand della Silicon Valley mandino i figli in scuole dove la tecnologia è bandita? Chiediamo informazioni, consigliamo cautela, per un momento siamo pure tentati di inviare una corposa rassegna di studi che sostengono la nostra idea. Ci sentiamo soli. Per fortuna con noi c’è di sicuro quel vecchio retrogrado ottuso di Babbo Natale.

venerdì 24 maggio 2019

Croce e delizia della chat di classe


Da Ticino7 del 24 maggio
Tra poche settimane potrebbero addirittura mancarci. Anche se è difficile pensare che i primi giorni di vacanza non siano dedicati a una enorme sospiro di sollievo per l’improvviso silenzio nella chat di classe. Quiete dopo la tempesta di quattro settimane di scambi di opinione serratissimi, che hanno portato alla decisione definitiva sul regalo di fine anno da fare alle maestre. Il buono regalo della Manor sembrava impersonale ai più, così la ricerca si è allargata ad abbonamenti in palestra, buoni relax, buoni massaggio. Perché fa parte della psicologia della madre in chat pensare che le altre rappresentanti del genere femminile abbiano bisogno di rilassarsi e abbiano il tempo per farlo. Alla proposta della cifra a testa da versare si sono aperte decine di sotto chat private in commento carbonaro a quella principale: nessuno aveva il coraggio di dire pubblicamente che forse 50 franchi erano troppi e insomma-pensiamo-anche-a-chi-non-può-permetterselo-è-nostro-dovere!”.
L’altro tema imprescindibile per una completa fenomenologia della chat di classe è la presenza dei padri. Un mio amico, che è blogger e intelligente (ho sempre amato gli ossimori) è orgoglioso di essere l’unico padre nella chat delle mamme. Ogni tanto prende le difese del genere sotto rappresentato, spesso fa quello che lo stereotipo gli impone chiedendo alle ragazze di smettere di spammare e invitandole a dotarsi di un app per la raccolta di soldi. Nella chat di cui faccio parte ci sono 3 maschi: quello messo d’imperio dalla moglie a fare da backup alle informazioni a cui lei non riesce a stare dietro, quello pieno di opinioni didatticamente valide e coinvolto nella vita della scuola, quello che fa il simpatico.
Il primo, che ha tutta la mia solidarietà, un giorno è stato così tenero da chiedere perché mai non ci sia un gruppo dei papà. Noi vipere abbiamo iniziato la moltiplicazione delle chat carbonare con una mitragliata di commenti a copi di screenshot: pure la chat dei papà? Poi ci tocca stare dietro alle loron notifiche come ai calzini sparsi per casa?! Ma nessun messaggio ha generato una proliferazione di chat secondarie come quello di pochi giorni fa, in cui i genitori suggerivano alla classe di regalare alla propria figlia un albero virtuale per la salvezza del pianeta. Per un momento persino le Barbie e le LOL ci sono sembrate un baluardo di libertà e anticonformismo. A prova di spunta blu.


martedì 21 maggio 2019

La storia del pacco perduto


Da Ticino 7 del 17 maggio 2019
“La informiamo che la spedizione è partita”. “Il suo pacco si trova ora nei nostri magazzini locali”. “Il suo pacco è in consegna entro la fine della giornata”. Difficile, ormai, trovare frasi che generino un climax più intenso e una trepidazione più pura. Alcuni di noi mettono alla prova Amazon Prime come si farebbe con un fidanzato nuovo per testarne la dedizione. E regolarmente rimangono deliziati nel constatare la velocità e l’efficacia nel soddisfare qualunque tipo di voglia. Nessun corteggiamento può eguagliare il piacere della merce in consegna, pronta per essere posseduta grazie a un misero click e – certo – a un modesto impegno della carta di credito. So che molti di voi hanno imparato da poco a non vergognarsi di simili sentimenti, per questo mi duole sinceramente rattristarvi con una storia di delusione e rammarico come quelle proverbiali dei cugini la cui epica sentimentale ci ha aiutato a crescere.
I principi azzurri non esistono, i mariti perdono i capelli, i figli sono degli ingrati e i pacchi spariscono. In tanti anni di onorato servizio come consumista digitale è la prima volta. Tutto è iniziato quando la portinaia ha vietato la consegna di pacchi personali in ufficio. Pare che a far traboccare il vaso sia stata la goccia dell’ultimo Black Friday, quando la buonanima non riusciva neppure ad allungare la mano verso la cornetta tanto era sommersa dai pacchi. Da allora la pacchia è finita e ci tocca utilizzare mariti e congiunti come prestanome.
Venerdì scorso lui era di riposo e il fattorino è arrivato. Immaginate lo strazio di vedere la mail meravigliosa, quella de “il tuo pacco è in consegna”, e non potere scendere a controllare in portineria. Immaginate soprattutto il panico del giorno dopo: il sistema di tracciamento dice che il pacco è stato ritirato. Il nome riportato è ovviamente incomprensibile e non corrisponde ad alcuno del palazzo. Il portinaio giura: il pacco non c’è. Ti attacchi al servizio clienti, parlare con un umano è quasi impossibile. Intanto il pacco è da qualche parte. Dentro c’è il primo, definitivo, ordine dei prodotti dell’Estetista cinica. La prova costume sta per venirci a prendere sotto casa e il pacco di remise en forme è stato rubato. In spiaggia lo diremo sorseggiando un drink: “Un fattorino crudele mi ha privato del punto vita che mi spetta”.