lunedì 24 giugno 2019

In moto: o la BB cream o la vita


Da Ticino7 del 21 giugno 2019
L’amica che dichiara di portare tre cambi multi incastro giorno-sera, tre costumi e due scarpe si definisce “non rappresentativa”. In Corsica avrà una lavatrice in casa perciò potrà facilmente ridurre il disagio di disporre di pochi vestiti. Si ritiene una dilettante dei viaggi in moto, prima di quest’estate non aveva mai tentato qualcosa di così impegnativo. A convincerla, si giustifica, un marito travolto dalla passione per le due ruote. Lui è uno di quelli che usano la crema idratante mattino e sera e perciò stesso infinitamente pericoloso, perché ritiene che chiunque possa privarsi di qualche comodità se ci riesce persino lui. L’amica sedicente non rappresentativa delle femmine che vanno in moto suggerisce di guardare al livello più avanzato: quelle che stanno in viaggio per dei mesi, attraversano continenti, caricano il mezzo su un cargo per l’Alaska e ridiscendono senza passare dal via. Pare che in questi itinerari il beauty case non venga neppure contemplato.
Principianti o esperti, neofiti o veterani tutti gli intervistati del campione rappresentativo selezionato dalla vostra Ficcanaso per Ticino7 condividono un’esperienza: quella della libertà. “È un’educazione all’essenziale per vivere”, racconta l’amica che di mestiere vende il non essenziale a persone come la sottoscritta. “In moto ti liberi di tutto, sali e non devi far altro che andare”, le fa eco quell’altra parafrasando Kerouac. Non c’è racconto che non trasmetta entusiasmo estremo suscitando ammirazione religiosa, ancora più intensa se preceduta da una iniziale diffidenza.

Chi rimane a terra
Chi va al lavoro in bicicletta portandosi una canottiera di ricambio nella borsetta, guarda il fenomeno con il naso all’insù come i bambini che non hanno il coraggio di salire sull’ottovolante ma sono affascinatissimi da quelli che ce la fanno. Se vi sentivate già estreme a viaggiare soltanto con il bagaglio a mano vi consiglio di provare l’ebbrezza di discutere con amiche che partono senza la trousse dei trucchi. In quella dimensione in cui la BB cream si contende lo spazio con la sciarpetta di cachemire si scoprono cose incredibili. Lo penso ogni volta che in autostrada, incolonnata nel tragitto per qualche vacanza, vedo una moto che sfreccia superando la fila di auto. Come fanno? Sento ugualmente distanti i campeggiatori, ma è solo per i motociclisti che nutro un’ammirazione istintiva. Entrambi esercitano su di me il fascino dell’autosufficienza, ma è la dimensione semi solitaria dei motociclisti che mi incanta. La moto rende tutti belli e meravigliosi, un po’ come, a 16 anni, una chitarra trasformava semplici nerd indossatori di magliette slavate in poeti della musica indie perfetti per disintegrarci il cuore. 
Vorrei essere come loro, pensi quest’anno con la testa già alle vacanze. La scarpiera è piena di sandali portabili solo al mare e al mare ci stai al massimo tre giorni perciò ammortizzare le spese sembra impossibile. Nel dubbio vorresti mandare tutto all’aria, dire a tutti: sapete quella vacanza piena di gente che abbiamo prenotato? Do buca, forfait, non ci sono. Io me ne vado. Ho un mese di tempo per imparare a guidare al moto. E anche a per decidere chi buttare dalla torre tra la sciarpa di cachemire e la BB cream.


venerdì 14 giugno 2019

Donne in sciopero

Da Ticino 7 del 14 giugno 2019
La committenza è alternativamente la croce e la delizia di tanti artisti perciò sarò sincera e vanitosa rivelandovi che in un’evidente quanto odiosa dimostrazione di forza machista i supremi capi di questo giornale mi hanno suggerito (e sappiamo bene quanto i “suggerimenti” dei capi ci lascino margini di libertà) di occuparmi dello sciopero delle donne. Ho fatto notare che stavano esercitando la loro forza patriarcale (maschi entrambi, non avevano scampo) e che l’unico modo corretto per parlare davvero dello sciopero sarebbe stato scioperare io stessa e lasciarli a interrogarsi pensosi di fronte alle mie pagine vuote. Ho riflettuto sulla forza della performance, mi sono immaginata la Marina Abramovic del giornalismo cantonale, ho pensato a quanto sarebbe stata instagrammabile la pagina bianca. Poi ha vinto la voglia di dire la mia e soprattutto il gusto di mostrarsi disaffezionata alla causa nell’esatto momento in cui avevo convinto tutti a darmi ragione.

Tutte le ragioni più giuste
La causa, appunto. Il 14 giugno incrociamo le braccia per chiedere effettiva parità ovunque. Il sito del movimento è pieno di ragioni e approfondimenti storici e prêt-à-porter. Dallo sciopero delle donne in Colombia nel 1920 alla possibilità di acquistare “t-shirt e borse per lo sciopero delle donne belle e a prezzi ragionevoli”. Se anche voi, come me, state pensando alla t-shirt con la scritta “We should all be feminists” firmata Dior al prezzo di quasi settecento franchi farete meglio a dedicarvi ad occupazioni più serie. Lo sciopero serve a dire basta alle discriminazioni, battersi per la parità salariale, chiedere più investimenti a sostegno della maternità e dell’infanzia. E poi decine di altre ottime cose. C’è una sezione del sito in cui la parola passa alle donne stesse. Citazioni volitive raccontano le intenzioni di chi sciopererà per “dire no al femminicidio”, chi “per non dover prestare la maggior parte del lavoro non retribuito” e chi “per dire basta a battute sessiste”. Per i motivi più vari e le intenzioni più serie oggi ci saranno donne in piazza, donne a braccia conserte donne che se ne fregheranno. Perché non credono nello strumento stesso dello sciopero, perché la pensano diversamente, perché se ne dimenticheranno, perché devono finire quel lavoro urgente prima di correre dal parrucchiere. Perché, semplicemente, no.

Se son diritti, sono per tutti
Per prima cosa voglio dunque sgombrare il campo da un equivoco: va bene tutto. Va bene la t-shirt dello sciopero e va bene quella di Dior, va bene l’impegno e va bene il menefreghismo. Va bene, purché l’idea di donna per cui agire sia quella che ci corrisponde e non quella imposta da qualcuno, anche si trattasse del più illuminato promotore di uno sciopero o di un’azione di autocoscienza. Troppo spesso crediamo di poter dedicare le nostre energie soltanto alle donne impegnate. Cresciamo le nostre figlie con le storie delle bambine ribelli, Gaber e Jannacci, poi un giorno ascoltano chissà dove Baby K e la Macarena e vogliono solo ballare “io cerco il mare mentre tu cerchi il wi-fi”. E va bene così.
Ultima cosa. Libertà non è contro gli uomini (c’è bisogno di sparare sulla croce rossa?) ma è per le donne. Anche per quelle che degli scioperi se ne fregano. Anche e soprattutto per le bambine che ascoltano Baby K e un giorno si innamoreranno di Beyoncé. Va bene tutto. Ma la t-shirt di Dior va meglio.


venerdì 7 giugno 2019

Il testamento tra una costina e l'altra


Da Ticino7 del 7 giugno 2019
Dopo decine di spostamenti per il maltempo e ripetuti salvataggi in extremis della brace dalle insidie della pioggia, il bel tempo è finalmente arrivato (più o meno) e con esso l’unico vero e grande sport che unisce i popoli e le generazioni: grigliare.
Per alcuni maschi è l’unica cucina concepibile, principalmente perché si pratica fuori casa. Prendono la brace, scelgono la carne, si avvicinano alla postazione con la fierezza del capo branco. Che le costine le abbiano prese in macelleria e non facendosi largo con la fionda in mezzo al bosco è un dettaglio di poco conto. Sono maschi, sono sudati, hanno una pinza in mano e una birra fresca nell’altra e niente può fermare il loro viaggio psicologico all’origine della specie della quale si sentono rappresentanti degni. Quelli che in casa buttano con timore persino la pasta nell’acqua che bolle, di fronte a una griglia e circondati da persone che aspettano, diventano spavaldi e felici. Quando aprono il frigo dovrebbero accendere il navigatore per trovare qualunque cosa, alla postazione BBQ non temono nulla ed elaborano autonomamente un piano di cottura che inizia con i wurstel («così i bambini si calmano») e finisce con le bistecche alte tre dita.
Quando le cene con amici traslocano fuori casa e vengono gestite dai maschi a noialtre resta il tempo per osservare e pensare. Al testamento, per esempio. Pochi giorni fa, infatti, il maschio della specie si è presentato con un numero di telefono. Uno “da chiamare se mi succede qualcosa”. Niente fedelissimi stile Gomorra che mi porterebbero in una località segreta, ma un banale assicuratore che mi metterebbe in condizioni di “gestire del denaro” in caso di disgrazia. Per cinque minuti ho pensato come salvarlo nel telefono, risolvendomi poi con l’aggiunta di “morte + nome maschio di casa” dopo il cognome. La carne sul fuoco, i soldi in banca. Mi sono domandata cosa resterà di noi e la risposta non è stata facile: erano già pronti i wurstel. “Di quanti soldi parliamo?”, ho chiesto timidamente pensando che nessuno si sarebbe accorto di un piccolo prelievo pre saldi. Ma soprattutto: c’è modo di contattare l’assicuratore prima del tempo senza commettere reati familiari?