venerdì 30 novembre 2012

Jovanotti deluxe

Dal Giornale del Popolo del 30 novembre
C'è gente che guarda le suole delle tue scarpe più belle. Le esamina. Cerca di immaginare quanto possano costare e le divide per le volte in cui le hai indossate, desumendo il dato dal grado di usura delle suole. Ne ricavano una sorta di coefficiente di ragionevolezza della spesa che viene usato contro di te: che senso ha spendere così tanto per scarpe che indossi così poco? In questi giorni gente di quella risma si sta esercitando sull'ultima fatica di Lorenzo Jovanotti Cherubini. «Perché alla fine – dicono ­- si tratta di 93 euro e le canzoni nuove sono otto». Non ha senso mettersi sul loro stesso piano ed elencare i beni contenuti nel cofanetto deluxe: dalle copertine firmate Cattelan ai contenuti speciali audio e video. Non ha senso raccontargli che è un'antologia con tutto quello che di esaltante e pericoloso una parola del genere significa. Non ha senso perché loro praticano l'addizione e la divisione laddove non esiste il calcolo. Tra i fan di Jovanotti ci siamo noi e ci sono gli altri. Negli anni il fronte degli altri si è diviso nei maschi che ne apprezzano i musicisti validi pur criticandone il pensiero positivo e quelli talmente alternativi da dire che lo hanno amato solo fino a La mia moto. Insomma: ci sono gli altri, bendisposti solo a patto di poter circoscrivere il loro apprezzamento, e poi ci siamo noi. Noi che sognavamo uno che ci promettesse «mettiti con me non sarò un figlio di puttana», come lui cantava a metà anni Novanta con quella Serenata rap che ascoltata oggi ha l'effetto di un’indigestione di madeleine di Proust. Noi che siamo diventate grandi autodedicandoci le sue canzoni per donne lunatiche. Donne lunatiche che solo su qualche scarpa e qualche cantante non hanno mai cambiato idea. 

venerdì 16 novembre 2012

Un'occasione per ogni abito

Dal Giornale del Popolo del 16 novembre

Ognuna ha le amiche che si merita, così ieri io e le mie ragazze di riferimento ci trovavamo in tre parti diverse del mondo. Milano, Lugano, Losanna. Tre città interessate dallo sbarco dell'ultima ed ennesima collezione firmata da un grande stilista per H&M. Quest'anno era il turno di Maison Martin Margiela. Da quando la ricorrenza è stata scoperta dalle masse noi passiamo le settimane precedenti al lancio a snobbarla apertamente e criticarla ferocemente. L'idea di mettersi in fila e sgomitare tra ventenni e quarantenni per poter strisciare le nostre carte di credito, ci pare troppo. In più da un paio di anni a questa parte esiste anche un tempo massimo di permanenza nel negozio, con il risultato che decine di ragazze si trovano a comprare in cinque minuti abiti che richiederebbero una settimana di addestramento solo per capire qual è il davanti e quale il dietro. Se nei prossimi giorni vedrete in giro per le vostre città esemplari di improbabili gonne asimmetriche, piumini che sembrano ghiaccioli al limone rovesciati, fuseaux che rifulgono come palle stroboscopiche e via dicendo, non allarmatevi. È solo l'effetto di questa follia collettiva a cui noi, che quando serve dei princìpi ce li abbiamo e li applichiamo, abbiamo deciso di opporci. Fino a che. «Passavo di qua per caso e ho visto che è proprio una buona qualità». «Sai com'è, qua non c'è tanta fila, ancora la gente non le capisce fino in fondo queste cose». «Ma sì prima o poi un'occasione per mettere questi pantaloni ce l'avrò». «A Capodanno, certo. Li metterò a Capodanno». E così, mentre i nostri armadi continuano a riempirsi di abiti per cui prima o poi avremo l'occasione giusta, evitiamo di ricordarci a vicenda che l'ultimo Capodanno ci hanno dovuto svegliare a cannonate per stappare una bottiglia di spumante. Vorrà dire che tutti quei capi li useremo come pigiama. Perché non c'è principio che non valga la pena infrangere.

venerdì 9 novembre 2012

Noi, loro, i forconi e i pop corn

Dal Giornale del Popolo del 9 novembre
Su Twitter gli hanno fatto gli auguri anche Elisabetta Canalis e Luigi De Magistris. Lo so perché qualcuno me l'ha segnalato, io non li seguo perché non riesco a liberarmi del complesso per cui seguire qualcuno su Twitter significhi esserne un po' fan. Era solo per dire che probabilmente gli auguri, a Barack Obama, li hanno fatti anche i direttori dei giornali ticinesi o i politici svizzeri. Non lo so. La sera dell'election day qualunque maratona televisiva otteneva l'effetto di farmi venire voglia di aprire un libro. Poi la notte qualcuno ha tentato di svegliarmi dicendo che aveva vinto Obama. La mattina ho fatto quel che facevo da piccola quando andavo a letto prima di conoscere il vincitore di Sanremo. Con la differenza che allora aprivo il Teletext per scoprire verità come “trionfa Massimo Ranieri” e oggi mi toccano le analisi di Beppe Severgnini. Oggi, come quattro anni fa, continuo a domandarmi perché la nostra politica non interessi a nessuno (men che meno a noi) e la loro scaldi il mondo intero. E non parlo solo dei nerd che padroneggiano concetti come grandi elettori, Ohio, swing state. E neppure dei geopoliticamente consapevoli che ti guardano dall'alto in basso perché “non può non interessarti, sono loro i padroni dell'Impero”. Parlo della gente normale che non sa cosa sia la perequazione finanziaria ma di fronte alla parola “election night” sfodera i pop corn. E oggi siamo tutti qui a tirare un sospiro di sollievo perché ha vinto il figo presentabile e telegenico, dimenticando che, democratici o conservatori, da quelle parti non si esce dallo schema di mogli in gonnella, figli sorridenti e partecipativi e fede cieca, ingenua, solida e ottusa nella propria nazione (con una sincerità francamente inesportabile al di qua dell'Atlantico, perché per noi il cinismo è per noi quello che per loro è il burro di arachidi). Forse il segreto è tutto nell'estrema televisività di tutto il côté, sempre a prescindere dai contenuti. Perché l'America produce Tarantino. Ma resta sempre quella di Peyton Place.

venerdì 2 novembre 2012

Termini ricorrenti

Dal Giornale del Popolo del 2 novembre

Di tempo ne è passato e questa rubrica, facendo una botta di conti, staziona sull'ultima pagina che avete in mano da qualcosa come cinque anni. Ovviamente si tratta di un conto approssimativo, perché l'età di una rubrica non può che essere come quella di una donna. Comunque, anno più o anno meno, la realtà è che di “ficcanasate” ne abbiamo prodotte un bel mucchio. Abbiamo parlato di vip, abbiamo parlato di Beautiful e di uomini, abbiamo parlato di canzoni e in particolare di Jovanotti, abbiamo parlato di Berlusconi, di Blocher, di Obama e di tutto quello che passa per politica. Abbiamo parlato di stagioni e di shopping. Abbiamo parlato di Halloween, di carnevale, di Pasqua, di Natale e di regali di compleanno. Abbiamo condiviso la nostra vita e le sue versioni romanzate, così prima o poi racconteremo anche della candelina di compleanno piazzata sopra un pezzo di Parmigiano Reggiano da due chili in mancanza di torta. Abbiamo parlato di noi e di chi ci sta intorno e oggi che ci sentiamo stupidamente espansive possiamo pure rivelare che finalmente siamo delle persone per bene perché abbiamo un falegname di riferimento. L'abbiamo trovato sull'elenco del telefono e tra tutti abbiamo scelto lui perché si fa chiamare Mastro Geppetto. Abbiamo trattato talmente tanti argomenti che per essere sicure di non ripeterci abbiamo fatto una ricerca sul blog, prima di mettere mano alla rubrica di oggi. Abbiamo cercato, sul blog in cui la Ficcanaso raccoglie il “meglio” di queste uscite settimanali, la parola su cui verte il pensiero odierno. L'abbiamo cercata e l'abbiamo trovata molto più di una volta. Quindi sia chiaro che questa è la ventesima e ultima. Non intendiamo tornare più sull'argomento e chi ha da intendere a questo punto avrà già inteso. Perché non c'è niente da fare. Contro la gelosia.