venerdì 30 agosto 2019

Finalmente, a casa


Da Ticino7 del 30 agosto 2019
Tizio rientra dalla Grecia con un’abbronzatura da fare letteralmente invidia. Perché non sai quanto ci si abbronzi dovendo stare in acqua con i bambini. C’è il grande che pretende di nuotare e rifiuta orgoglioso i braccioli; il piccolo che ha definitivamente imparato a camminare e assapora la libertà inebriante di raccogliere la sabbia, tirarla, mangiarsela, sudare e poi rotolarsi per terra fino ad essere impanato come una cotoletta. Lo iodio, il mare, i parenti e l’agitazione e non è che si sia dormito tanto. Si siede di fronte al computer con la soddisfazione che immagineresti possibile unicamente sul divano, in solitudine, con una buona birra in mano.
Tizia ha sopravvissuto 25 giorni con il bagaglio da moto. Dovevano essere 14 ma la Corsica era così bella, i tramonti così affascinati. Oggi che ha finito anche l’unico detergente che si era portata dietro ha riaperto la porta di casa saltando in braccio alla signora delle pulizie.
L’altra Tizia è di quelle sfollate al mare con i bambini mentre il marito continua a lavorare in città. Lo schema si ripete per le numerose sorelle e lei si trova in una mischia di bambini, preadolescenti e adolescenti galvanizzati dall’essere cuginanza in vacanza insieme. Fanno colazione in 15, pranzo in 13, cena in 22 ogni santo giorno dall’inizio di agosto. Tizia ormai annuisce anche al telefono senza parlare, lava piatti e richiama bambini e scrolla asciugamani pieni di sabbia e prepara panini per il mare anche adesso che è tutto finito. E tutto questo sarebbe niente se non fosse attorniata da mamma e papà tesissimi dalla presenza di figli e nipoti, non abituati alla giungla, decisi a non retrocedere dalla regola che eventuali assenze ai pasti vanno comunicate con almeno 72 ore di anticipo.
Per parte mia sono tornata emozionandomi di fronte alla lavatrice, alle mie lenzuola di canapa, ai miei bagni microscopici ma piastrellati di rosa, ai miei tovaglioli di carta e alle mia acqua rigorosamente in bottiglia di vetro. Alla mia cabina armadio dove risiedono tutti i vestiti che ho e non quella selezione parziale e crudele che avevo dovuto fare per partire.
Le vacanze sono uno stress devastante. Non conosco nessuno che non sia entusiasta di essere finalmente tornato a casa a riposarsi.

venerdì 23 agosto 2019

Si torna sempre col cappello


Da Ticino7 del 23 agosto 2019
Alcuni sono partiti da poco, altri devono ancora farlo e vanno sotto il nome dei temerari che aspettano settembre per fare vacanza. La maggior parte di noi, invece, sta tornando e si trova stabilmente alle prese con i postumi di un’abbronzatura cui dedicarsi solo nel fine settimana.
Lentamente il tempo ricomincia a scandire i nostri ritmi, i giorni della settimana hanno un nome invece di accumularsi disordinati in una mente troppo occupata a pensare se sia meglio restare sulla protezione 50 o osare una 30 per gli ultimi giorni. È tutto finito e siamo rientrati con il nostro cappello di paglia in testa.
Notoriamente angustiata dal tema valigie (che, come avrete letto qualche Ficcanaso fa, sono l’esame di maturità di noi indecisi e inconcludenti), ho sempre considerato che partire con il cappello di paglia fosse un gesto troppo audace. Motivo per cui rimpinzo la valigia di fasce per capelli e fazzoletti di seta da tempi non sospetti. In fondo che partenza sarebbe senza qualche buon proposito in valigia?
Poi arrivi in una spiaggia assolata e dopo dieci minuti capisci che non sopravviverai fino all’ora di pranzo senza qualcosa di vero in testa. Il baracchino sulla spiaggia, quello che spaccia acqua, infradito, maschere da sub e cartoline, appare all’orizzonte come un miraggio. Sei una professionista e vuoi fare di necessità virtù: “Comprerò il più bello, anche se costa di più, così continuerò ad usarlo”. La stessa frase risuona anno dopo anno ad ogni latitudine: Croazia, Sardegna, Cuba, Messico, Versilia.
Sul volo di ritorno o sull’autostrada che torna a casa, il cappello di paglia è lo status eroico di chi non si rassegna ad archiviare la vacanza, di chi ha addosso ancora tanto sole e salsedine da coprire ogni senso del ridicolo. Di chi ritorna nel traffico e dice spavaldo: io non vi appartengo, io sono stato al mare e ce l’ho ancora in testa.
Il tempo di una notte e il cappello della libertà ti appare un accessorio da mietitore. Ha perso il suo fascino come i capelli bruciati dal sole: vista mare faceva tanto Marcuzzi ai Caraibi, in città fanno signora sciatta uscita dalla piscina troppo in fretta.
Il cappello più bello del baracchino finisce nel cimitero dei cappelli insieme a tutti gli altri. “L’anno prossimo risolviamo alla radice con un bel Borsalino”. In fondo, che rientro sarebbe senza qualche buon proposito nell’armadio?


giovedì 15 agosto 2019

I vent'anni sono quelli che non hai




Da Ticino7 del 9 agosto 2019
Quello di oggi, come racconta perfettamente l’articolo di copertina, sono figli della crisi, edonisti, curiosi, nati e cresciuti digitali e molte altre cose. Quelli di ieri erano un po’ meno digitali, più edonisti dei propri genitori, più timidi. Quelli di prima ancora, che probabilmente eravamo noi, erano nati negli anni del boom, talmente fortunati da non aver bisogno di essere ottimisti, tremendamente svogliati. Generazione dopo generazione i ventenni sono diversi ma hanno sempre una cosa in comune: non sono loro a parlare di sé stessi.
“A vent’anni si è stupidi davvero, quante balle si ha in testa a quell'età”, cantava Guccini in quella Eskimo che ci faceva sognare di avere vent’anni in anni bollenti. Oggi, tromboneggia chi i magici venti li ha superati eccome, gli ideali dovrebbero durare il tempo di una storia di Instagram ed è tutto così veloce e inutile, signora mia, che non si capisce come facciano a raccapezzarcisi, questi ventenni.
Certamente i ventenni di ieri sono diversi dai coetanei di oggi, ma quello che li rende così interessanti, oggetto di attenzioni, radiografie e racconti è che, semplicemente, non siamo noi. I ventenni sono interessanti per i trentenni, quarantenni, cinquantenni che adorano guardare gli altri per parlare di sé (c’è forse qualcosa di più interessante, in fondo?) confrontandoli al proprio mondo perduto. La tendenza si fa ancora più marcata intorno agli anniversari importanti: trenta, quaranta. Sono sempre di più i compagni di adolescenza che ci aspettano al varco. Quelli che ancora non ci sono arrivati si preparano con diete chetogeniche, nuovi sport, abitudini salutari. Quelli che ci sono già arrivati si godono la vista da lassù, fieri di ciò che si sono regalati per festeggiare: dalla motocicletta sognata da una vita alla borsa costosa.
A proposito di regali: pare che a quarant’anni vada di moda la festa a sorpresa. Siamo stati invitati a più esemplari di festeggiamenti organizzati dal maschio per i quarant’anni della femmina, dove lui che prepara tutto, coinvolge gli amici in maniera carbonara, allestisce la location recuperando fotografie che sono reperti d’epoca. Appena usciti il nostro lui lancia uno dei suoi sguardi fulminanti: non ti venisse mai in mente di farmi una festa; men che meno a sorpresa.
Ci sono i cantori dei vent’anni. E quelli che a vent’anni erano già così.