sabato 23 ottobre 2021

Cinquanta sfumature di puzza di letame

Da Ticino7 del 23 ottobre

Dovevamo chiacchierare dei tempi andati, discutere del cambio dell’armadio e dell’opportunità di organizzare uno swap party a Capodanno, ma i bambini volevano vedere i cerbiatti. Arrivati ai cerbiatti il gruppo uno ha proseguito verso i lama e le capre; il gruppo due si è fermato allo scivolo dopo aver passato in rassegna le oche e i maiali (che potrebbero essere cinghiali.) La Fattoria Didattica è roba per gente preparata, entusiasta e infaticabile. Come la signora in abito lungo e tacco sette, che davanti al recinto delle capre arringa i parenti contro il vestito della festeggiata a suo dire pacchiano.

Seguendo le infinite variazioni sul tema della puzza di letame siamo arrivati alla stalla. “Il bagno è a sinistra dopo le mucche”, risponde cordiale il cameriere mentre corre a consegnare dieci piatti di polenta e salamella alla tavolata giù in fondo. Prima del bagno, di fronte alle mucche, tavoli di gente che mangia. 

La gente mangia anche di fianco ai lama, proprio accanto allo scivolo che parte dalla zona mucche. Svoltato l’angolo, subito dopo l’odore acre della cacca dei maiali (che potrebbero essere cinghiali), c’è il ristornate vero e proprio, quello in cui siedono i previdenti che, avendo prenotato con due settimane di anticipo, hanno diritto a un tavolo senza scadenza; al contrario nostro, sloggiati dopo un’ora per lasciare il posto agli avventori del secondo turno di pranzo.

C’era gente a mangiare anche prima dei cerbiatti, di fianco al Brucomela e prima dei tappeti elastici. Attrazioni da noi evitate perché qualcuno ha sparso la voce che sono a pagamento. “Il caffè era compreso nel conto, dov’è finito lo scontrino?”. “Torna al tavolo, facendo il giro passando dalle oche, prima dei lama”. Intanto i bambini sono sulle liane, appesi insieme a un’infinità di simili e ai figli di conoscenti incontrati per caso qui in questo girone dantesco. All’ingresso qualche genio ha piazzato una bancarella. Spingiamo i bambini verso il tanfo del letame a dare da mangiare agli animali cercando di dribblare i giochi di plastica e i palloncini. La polenta non era malvagia, il vino rosso di sicuro la cosa migliore, il bagno tremendo. Stare a contatto con la natura è meraviglioso, didattico, anche. Da oggi sappiamo quanti odori diversi può avere la cacca e quanto siano simpatici i maiali (che potrebbero essere cinghiali).


giovedì 21 ottobre 2021

Vent'anni di Tenenbaum

Da Ticino7 del 16 ottobre 2021

I giornalisti, al pari di altre categorie iperattive come gli anziani e gli innamorati, amano le cifre tonde: 10 anni di matrimonio, 15 di pensione, il quarantesimo compleanno del partner, i vent’anni di un grande film. Così accade che nella settimana in cui realizzi quanto sia urgente inventare un regalo per l’uomo che odia ogni tipo di festeggiamento ma compie la cifra tonda che la convenzione sociale impone di non ignorare, scopri che i Tenenbaum compiono ben vent’anni. 

È il momento per ripercorrere un film irresistibile a colpi di aneddoti e post su Instagram di Gwyneth Paltrow, che per un momento abbandona le tematiche green e salutiste per rendere omaggio al personaggio che l’ha consacrata in un universo che non sembrava il suo, quella Margot depressa con un anulare di legno, costantemente in pelliccia di visone, maglietta a righe, mocassini ed Hermés al braccio. Figlia adottiva, geniale e depressa, di una famiglia di squilibrati altrettanto geniali, è da sempre oggetto dell’amore del fratellastro tennista in crisi di nervi Owen Wilson, ma finisce per sposare un noiosissimo psichiatra. 

Con I Tenenbaum Wes Andreson è diventato Wes Anderson e noi siamo diventati dipendenti da tutti i film successivi confezionati con gli stessi ingredienti e dal risultato mai paragonabile: un cast stellare e indolente, colonne sonore immaginifiche, ambientazioni assurde e dialoghi fatti per essere guardati. Quello che tra i fan di Wes Anderson non si può dire è che nessun treno per Darjeeling né avventura acquatica di Steve Zissou hanno mai eguagliato neanche cinque minuti de I Tenenbaum, che – tra le altre mille cose – ha fatto in modo che nessun potesse indossare una felpa dell’Adidas senza sentirsi il vedovo nevrotico Ben Stiller, vestito uguale ai due figli gemelli e fissato con la sicurezza dopo aver perso la moglie in un incendio.

“Con chi vorresti festeggiare i tuoi 40 anni?” ho chiesto settimane fa, con finta nonchalanche. È seguita una frase apparentemente dolcissima che ha preceduto una dialettica al limite della minaccia: voglio solo te e le bambine, niente invitati né feste a sorpresa. Ho ripensato al noiosissimo psichiatra marito di Gwyneth Paltrow. Solo giorni fa, spulciando le fotogallery del ventesimo anniversario, ho realizzato che era Bill Murray. Mai sottovalutare le cose che si possono scoprire negli anniversari a cifra tonda. 

domenica 10 ottobre 2021

Sistemiamo l'inglese

Da Ticino7 del 9 ottobre 2021 

Con gli amici più fidati condivido una frase in codice, il campanello d’allarme che ciascuno sente suonare quando l’altro, consapevolmente o meno, si lamenta della propria vita e degli obiettivi mancati in anni di studio e di lavoro e, in uno slancio di reattività che cerca di far passare per risolutezza, proclama: “Mollo tutto e vado via per un po’ a studiare l’inglese”. 

Succedeva spesso poco dopo la fine dell’università, quando, esaurito l’entusiasmo per gli stage sottopagati che promettevano tanta esperienza, iniziavano i lavori in cui l’esperienza dovevi applicarla e il mercato appariva all’improvviso tutt’altro che entusiasmante. In quei contesti periodicamente ci sentivamo non apprezzati, al contrario di quanto succedeva agli ex compagni di studio, che sembravano aver trovato il proprio posto mentre noi annaspavamo nella perenne insoddisfazione. Allora, in quei momenti, nelle chiamate agli amici per sfogarsi ecco il sogno: sistemiamo questa lingua che mastichiamo senza padroneggiare, basta far pratica guardando le serie in tv, prendiamo il torno per le corna. Abbiamo salvato più volte almeno un paio di amici dal “mollo tutto e sistemo l’inglese”, lo stesso hanno fatto loro con noi. Inserisco nel novero anche quelli che volevano imparare il francese o disseppellire il tedesco. 

Anni dopo, a università finita da un pezzo, quell’analogo slancio si sposta su un tema nuovo, apparentemente più adeguato all’avanzare dell’età e della carriera: “Basta, mi metto in proprio”. Qui il miraggio è la flessibilità, la libertà, la possibilità non tanto di realizzare un sogno nel cassetto, ma di costruirne uno per metterci dentro il primo sogno che capita. Ancora una volta chiamiamo gli amici, chiediamo consiglio, ci lamentiamo della nostra inconcludenza, sempre sbirciando i traguardi degli altri sui social. A quest’età fingiamo di perdere meno tempo su Instagram e stiamo su LinkedIn, in quella popolazione di mobile evangelist, digital enthusiast, visionar enterpreneur, manager e head of. 

Trovare una strada, incanalare le energie in qualcosa di davvero costruttivo, che porti a costruire quello che si desidera più che a distruggere la credibilità di quello che c’è. Per questo, davvero, ci vogliono dei veri best friend. Perché prima o poi, sistemato o no, l’inglese si impara a usarlo per ciò che serve.


Dieci minuti per tutto

Da Ticino7 del 2 ottobre 2021 

Giulia è una tonica signora di mezz’età con un passato di surgelati seppellito da ventiquattro comode rate a tasso zero. Il robot da cucina che oggi mi sta presentando (spoiler inutile: me l’ha venduto) è diventato prima il suo alleato in casa e poi io suo lavoro a tempo pieno. Il primo figlio l’ha tirato su a pane confezionato e bastoncini Findus, l’ultimo porta a scuola tegolini fatti in casa dalla mamma, perché con questo marchingegno il pan di Spagna si fa in dieci minuti e i bambini, se li tiri su con i sapori genuini, le merendine te le tirano dietro. Sull’onda del pan di spagna in dieci minuti, il sugo in altrettanti, il riso un po’ di più con l’inestimabile vantaggio di dimenticarsene, Giulia ha lasciato il lavoro a tempo pieno in una multinazionale per darsi a sessioni di presentazione e formazione, guadagnando l’agognata flessibilità e soprattutto soddisfazioni senza pari. Perché una donna a cui hai insegnato a fare il budino in dieci minuti e a pianificare la spesa settimanale tramite app in altri dieci minuti, non sarà solo una cliente, ma una devota estimatrice. 

Le altre invitate alla presentazione ascoltano a bocca aperta. Immaginano un futuro radioso. Ogni volta che nessuno risponderà alla fatidica domanda “cosa cuciniamo oggi?”, ogni volta che qualche distratto componente della famiglia dirà “quello che vuoi”, ritornando ad armeggiare con il telefono e facendoci ripiombare nella solitudine di quella che ha un mestolo in mano e non vuole decidere nulla, ma solo togliersi un’incombenza; ogni volta basterà accendere il robot da cucina, digitare il nome di un qualche avanzo rimasto in frigorifero oppure chiedere suggerimenti a caso. E non solo lui avrà una risposta. Non solo mostrerà centinaia di ricette selezionate per noi, ma ci seguirà passo passo, avvisandoci con una musichetta ogni volta che è tempo di passare allo step successivo della ricetta. Ci ascolterà, troverà una soluzione e ci seguirà.

Io non lo so se faremo mai davvero il sottovuoto, il formaggio, il dado fatto in casa. Non lo so se questo è un ultimo tremendo effetto collaterale di questa pandemia che ha ribaltato tutto. So che ho dieci minuti per il pan di spagna, dieci per gli addominali, dieci per sistemare il guardaroba, dieci per curare le piante sopravvissute all’estate, dieci per leggere un paio di pagine. E tutto il resto del tempo potrei usarlo per mangiare il pan di Spagna.


Tutti i corsi del mondo

 Da Ticino 7 del 25 settembre 2021 

A questo punto del mese di settembre i giochi sono fatti e le iscrizioni finalizzate. Passati i mesi estivi a prenotare prove e prendere appuntamenti, settembre scivola via tra valutazioni e decisioni. La bambina con il sogno dell’atletica è stata accontentata senza che in famiglia nessuno si prendesse la briga di capire dove potesse aver pescato un’idea sportiva tanto spinta. La grande prosegue coi fondamentali già confermati: equitazione (unico sport che consente outift realmente presentabili) e calcio. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, raggiungiamo il traguardo anche con il corso di teatro, quest’anno approvato di slancio dalla piccola di casa. A entrambe, al grido di “questo non è uno sport da scegliere, bensì un obbligo”, viene imposto il corso di nuoto. Ortopedici e dentisti frequentati nell’ultimo anno hanno spazzato via l’approccio rilassato di due anni fa e ora siamo nella pletora dei genitori che raccomanda “lo sport più completo” perché “non basta stare a galla”. Le convinciamo con lezioni individuali, comodissime mentre anche la mamma può nuotare sacrificando quello che in altri tempi sarebbe stato un sabato di shopping. Il conto è salato ma ortopedici e dentisti saranno fieri di noi. L’entusiasmo per atletica, selvaggio sulla carta, non sopravvive a cinque minuti di realtà. I protocolli anti Covid impediscono ai genitori di entrare ad assistere, l’uscita dell’atleta in erba è sufficiente a capire tutto: “Una cosa da pazzi, si corre troppo in questo sport. Ma sai quanto è lungo un campo?”. 

Giunti alla fine del mese con una sola vittima (atletica, appunto), facciamo i conti. Le cifre sono alte, ma mai quanto i rischi. Ogni palestra, piscina o centro che abbiamo frequentato in questi giorni di matte e disperatissime valutazioni, ci teneva a chiarire subito una cosa sola: quest’anno niente voucher o possibilità di recuperare lezioni perse per cause di forza maggiore (nessuno dice pandemia, la segretaria della palestra sorride e fa simpaticamente le corna, esorcizza il terrore porgendoti un foglio da firmare che come titolo dovrebbe avere “sono tutti cazzi vostri”). Proviamo a farci mettere per iscritto dalla maestra di teatro che comunque vada si continuerà, siamo disposte a portare i bambini nel cortile innevato pur di scongiurare le lezioni su Zoom. Nessuno ci garantisce niente. Simpaticamente fanno tutti le corna. Quest’anno sono tutti cavoli nostri. Benvenuti nella giungla.

Fantacalcio, i gonfiabili degli adulti

Da Ticino7 del 18 settembre 2021

 Il lievito facilmente disponibile nei supermercati, le scorte di farina stabili in casa, l’abitudine di avere sempre in tasca una mascherina da indossare alla bisogna sostituita da quella di dimenticarsela sempre più spesso (e doverne comprare di nuove). Ma forse il segnale più grande che siamo in una fase nuova è il rinnovato entusiasmo dei maschi. Che hanno smesso di essere nervosi smart worker a tempo pieno e ritrovano vecchie passioni quasi sepolte e incomprensibili ai più: il fantacalcio.

Condividono la convocazione con la solennità di una riunione di condominio cruciale: “Non aspettarmi, mercoledì c’è l’asta”. Si preparano, non rispondono al telefono, le donne restate in casa a governare la prole li immaginano come Fantozzi in canotta di fronte alla tv con birra ghiacciata e rutto libero, ma chi li ha visti da vicino dice che c’è qualcosa di più. Nessun relax, nessun abbandono degli istinti: qui il tifo dev’essere governato dalla strategia, dalla competizione dall’agonismo matto e disperatissimo di chi deve ad ogni costo avere la formazione vincente. Durante la settimana, poi, si accusano a vicenda di essere diventati tifosi della propria fanta formazione più che della propria squadra del cuore.

Alcune di noi, privilegiate proprietarie di case grandi e non sovrappopolate, sono chiamate ad ospitare le aste che si svolgono in presenza. Nei giorni precedenti chiedono consigli su cosa preparare a cena per cotanta competizione: suggeriamo cose nutrienti, soddisfacenti ma soprattutto semplici da mangiare. Come se dovessero prendere la borraccia con una mano sola in bicicletta mentre scalano il Monte Bianco. Chi li ha visti da vicino dice che le similitudini con i compleanni dei bambini si sprecano: percepiscono la solennità della situazione, si ingozzano con voluttà per poi lasciarsi andare. Diventano a tutti gli effetti minorenni ai gonfiabili, con l’unica differenza che tolgono le scarpe (se gli adulti in casa lo permettono) senza indossare gli antiscivolo. Danno il peggior spettacolo di sé abbandonandosi agli istinti più vitali. A guardarli, accomodati nelle sedie dedicate a chi non entra e non toglie le scarpe, adulte attonite e curiose. Scandalizzate ma allo stesso attratte da una gioia tanto selvaggia e incomprensibile. 

Cosa diresti al te stesso di dieci anni fa?

Da Ticino7 dell'11 settembre 2021

Cosa diresti al te stesso di dieci anni fa? La domanda, tra le più gettonate nei box di Instagram che gli influencer caricano periodicamente nei propri profili per farsi sentire più vicini dai propri follower e soddisfare le metriche dei social assetate di engagement, è tutt’altro che noiosa. 

Quasi tutti gli influencer che ho visto rispondere, che siano muscolosi, bellissime, consapevoli paladine dei diritti o mamme blogger impegnate, raccontavano che avrebbero raccomandato soprattutto tranquillità, approccio sereno, niente ansia, fiducia nel fatto che la felicità arriva a chi sta bene con se stesso e apprezza la bellezza nascosta in ogni giornata. È incredibile, mi dico ogni volta, quanti buoni sentimenti inondino Instagram. Viene quasi da rimpiangere le gare di rutti su TikTok.

Io alla me stessa di dieci anni fa avrei suggerito di non piegare nel guardaroba quella meravigliosa borsa di Vivienne Westwood che oggi un calzolaio gioielliere e filosofo ritiene difficilissima da riparare. Avrei anche suggerito di studiare meglio l’inglese e non seppellire il tedesco. Avrei suggerito di non rispondere a certe telefonate e di rispondere ad altre. Avrei suggerito persino di richiamare qualcuno, di scrivere lettere di dimissioni al momento giusto, di organizzare fughe oltre oceano, di adottare il gattamortismo in dosi sufficienti a fare di me stessa se non proprio una sfasciafamiglie almeno una discreta stronza. Avrei suggerito di rischiare e di non preoccuparsi. Alla me stessa di dieci anni fa avrei anche raccomandato di leggere più libri classici e di vedere più film importanti. Perché – si sa – arriva un momento della vita in cui ci si rende conto della propria ignoranza. Alla me stessa di dieci ani fa, e qui concordo con la vulgata degli instagrammer, avrei suggerito anche di essere più tranquilla e positiva. Molte di noi alle loro stesse di dieci anni fa avrebbero suggerito di criticare meno e crederci di più. Di comprare Prada e Bottega Veneta, che hanno ancora un futuro nel mercato dell’usato invece di continuare a fare le alternative con Marni e tutti quei marchi non pubblicizzati. 

Gli amici interpellati concordano, tutti accomunati da questa smania tipicamente post quaranta di rivedere le proprie scelte e di farsi esami di coscienza. Tutti concordano. Soprattutto sul fatto che dieci anni fa non sono abbastanza: dovremmo fare due parole coi noi stessi di venti anni fa. Almeno.


Quante poche stories in vacanza

Da Ticino7 del 4 settembre 2021 

Il cellulare ha sostituito facilmente la Settimana Enigmistica in bagno e sotto l’ombrellone. La vita degli altri ci scorre davanti come un film troppo veloce senza sottotitoli: Chiara Ferragni in barca, l’Estetista Cinica a Porto Venere a crucciarsi perché dovrà trattenere la pancia per entrare nel vestito del red carpet di Venezia. Mezzo mondo a Marzamemi, un’altra metà in Grecia a scoprire che è bella quasi quanto l’Italia. Ex colleghi a Scicli, famiglie felici a Riccione. Famiglie spezzate al mare. Non sono a Marzamemi. Perciò sono in Puglia. Le compagnie numerose vagano tra agriturismi sparsi in Umbria e Toscana. Poi però ogni nucleo famigliare si sposta al mare. La Sardegna è sempre in testa. La barca è una grande scoperta anche per i non ricchi di nascita. Paolo Stella, influencer e tante altre cose, ha costruito una casa meravigliosa a Cefalù. Sicilia, ancora. Chiara Ferragni si sposta a Capri e mangia degli ottimi spaghetti alle vongole, le sorelle pubblicano analoghe foto dal ristorante. I cannoli siciliani hanno fatto ingrassare tutti. Sicuramente quelli di Marzamemi. Alcuni si lamentano infatti di essere ingrassati e cominciando a tornare a casa ci ammorbano con i propositi detox. Qualcuno tira il fiato in montagna, mostrando il maglione “di cotone pesante” dello stilista che ci svelerà nella prossima stories. Quasi tutti abbiamo scoperto l’Afghanistan. Dolore, rabbia, invito a seguire quei giornalisti che raccontano l’esodo tremendo dal loro telefono, tanto di cappello a quegli influencer che sensibilizzano il popolo. Raccolte fondi, swipe up per donare. Poi di nuovo Marzamemi, la spazzatura di Noto, le denunce di Selvaggia Lucarelli in Sicilia. Il rientro in città, il freddo, la canottiera.

Qualcuno mi ha chiesto se siamo stati in vacanza, quest’anno. L’assenza di stories con sfondo di mare cristallino deve essersi fatta notare. Il paradosso è che quello che non vediamo nel telefono (o meglio nei social, che frequentiamo con somma indolenza) non esiste, mentre quello che lì vediamo ci sommerge fino a diventare irrilevante. Dice: devi seguire le persone giuste, quelli che hanno qualcosa di interessante da dire. Dico: realmente qualcosa può emergere dal mucchio per restare? Davvero sentir parlare di Afghanistan o di letteratura può trasformare in produttivo il nostro scrolling compulsivo sul water o sul tram? Dicono che sono la solita cinica. Però ammetto che Marzamemi è bellissima e gli spaghetti con le vongole una bontà.

Il diario di Chiara

Da Ticino7 del 28 agosto

La cartoleria vicino alla scuola ha fatto i saldi a luglio, prima di chiudere e riaprire in attesa del periodo più temuto dalle madri di ogni latitudine: il back to school. Un momento che le persone normali non conoscono e non attendono. Perché le persone normali fanno un paio di settimane di vacanza in estate e poi tornano alle consuete faccende, mentre chi gestisce dei bambini vive sulle montagne russe per settimane tra campi estivi, vacanze e soggiorni benedetti dai nonni. Back to school significa ritorno alla normalità, ai ritmi di sempre. Riposanti e benedetti come la monotonia. Back to school significa anche spesa per la scuola. Qui le nevrosi variano perché ci sono scuole che a fronte di un contributo forniscono tutto il necessario, dai libri alla cancelleria; altre che consegnano liste dettagliatissime con le caratteristiche che ogni penna e quaderno deve avere. 

Il solito lungo preambolo è per arrivare al punto: come ogni grande leader e interprete del proprio tempo, Chiara Ferragni non ci abbandona in un momento così difficile. E sfodera una linea di diari, quaderni e astucci per tornare sui banchi in grande stile. Pubblicizzata dal soggiorno in Sardegna pochi giorni prima di dare inizio a quel genere letterario e sociologico che sono le foto con i fornitori di servizi a fine vacanza (la foto con l’insegnate di nuoto di Leone, con la massaggiatrice, con lo staff della villa, con i cuochi in una selva indistinguibile di hashtag #adv #supplied che dovrebbero indicare variazioni nel grado di servitù), la linea distinguibile dall’arcinoto occhio azzurro stilizzato, offre tutto l’armamentario necessario per una scuola di successo. Successo nel vero senso della parola.

Il diario è infatti infarcito di esortazioni motivazionali di Chiara: “be your own hero”, “boss babe”, “il segreto è amare sé stessi incondizionatamente”, “il futuro è di coloro che imparano ad essere la versione migliore di sé stessi”. Forse le frasi di Gino e Michele e di Jim Morrison (“Darei la vita per non morire”, sicuramente la hit del genere) della Smemoranda hanno fatto di me la cinica inconcludente che sono, mentre le ragazzine di oggi potrebbero davvero diventare ragazze positive e di successo. Sì, probabilmente il diario di Chiara Ferragni è un’ottima idea. Insieme ad ogni altro diario che ci consenta di sfuggire da quello dei Me Contro Te.

domenica 22 agosto 2021

Un guardaroba pieno di sentimenti

Da Ticino7 del 21 agosto 2021

etty25 di Rifiano, paesino nelle vicinanze di Merano, si è offerta di acquistare il soprabito in lana e cotone che ho comprato oltre dieci anni fa in uno dei negozi più belli del lungomare di Cattolica. Ketty25 non lo sa, ma quando lei era probabilmente impegnata ad aspettare la fatina dei denti, io avevo bisogno di un soprabito che non fosse scuro, da poter usare nelle occasioni speciali e nelle cerimonie. Ketty25 non lo sa, ma sta per diventare proprietaria del soprabito che indossai la prima volta che andai alla Scala, a piangere sul “Vissi d’arte, vissi d’amore” e sul bacio di Tosca. 

Appena deciso il prezzo metterò in vendita, su una di quelle app che mi tartassano da mesi con la loro pubblicità, anche la borsa di Balenciaga marrone. Il modello di oggi è praticamente identico e potrei davvero guadagnare qualche soldo, oltre a sgomberare l’armadio. Lo specchietto appeso alla borsa, vorrei dirlo a Pucci14 o a SabriRoma, è rotto perché mi ci sono seduta sopra pochi giorni dopo averla ricevuta in dono. La Balenciaga marrone era per l’appunto il regalo di mia mamma dopo la nascita della mia seconda figlia. La venderò perché quello della borsa marrone (specie se una borsa famosa) è un concetto che mi rende triste da sempre (se un giorno vedrete una tizia con una Birkin color bubblegum sarò io, venite a salutarmi) e sono sicura che non mi sentirò in colpa per aver abbandonato così un regalo di mia madre per un’occasione tanto speciale, perché con il ricavato di quella vendita (sommato a quello di tante altre) acquisterò una borsa nuova e che mi piaccia davvero e mi comporterò come se quello fosse il regalo per la nascita della mia seconda figlia fatto da mia madre.

Se volete dare una sfoltita al vostro guardaroba e avete deciso di mettere sul mercato dell’usato alcuni dei vostri abiti e accessori scegliete una app, trovatevi un nickname che vi possa far interagire con Ketty25, Pucci14 o SabriRoma e cominciate a fotografare i vostri abiti. Stabilite i prezzi, accettate le richieste di sconto, state pronte a spedire. In poche settimane il vostro armadio sarà svuotato e potrete ricominciare a riempirlo con nuovi capi. Dovete essere determinati, forti e non sentimentali. Non certo come me, che ho ritrovato il biglietto con cui mia mamma mi fece trovare la Balenciaga all’uscita dall’ospedale e devo ancora smettere di piangere per aver solo pensato di poterla vendere. Sicuro poi che Ketty25 apprezzerà a dovere il soprabito che ha conosciuto Tosca?


Ol lieto fine di serie

Da Ticino7 del 14 agosto 2021

Solo uno stolto può pensare che l’estate sia una stagione morta per i cultori delle serie tv. Al contrario, si parte mettendo nella valigia un elenco di titoli adatti a trascorrere ogni tipo di serata, ormai senza sensi di colpa da quando la pandemia ha imposto quello che si sospettava già da tempo: restare in casa is the new uscire. E allora ecco che magari si va al mare o in montagna, si esce a cena, si fanno due passi. Ma la serata si conclude sempre davanti a Netflix e affini, tanto che la presenza di un Wi-Fi performante conta più della vista mare nella scelta del luogo di villeggiatura.

Dalle parti del nostro divano l’elenco di serie da vedere viene compilato periodicamente: finita una si ritorna alla lista originaria (nel frattempo aggiornata con i consigli di parenti e amici) e si ricomincia il giro.

È in uno di quei giri poco prima dell’inizio dell’estate che siamo approdati nel mezzo di Los Angeles a LAPD SWAT, a seguire le gesta di quella che esiste davvero come una squadra speciale della polizia cittadina. I duri e puri della SWAT (acronimo di Special Weapons And Tactics) sono infatti squadre speciali chiamate a intervenire in situazioni particolarmente complesse e rischiose: come operazioni anti terrorismo, salvataggio di ostaggi e antisommossa. 

Alla fine del primo episodio mi aspettavo il compagno di divano pronto a un “bello, grazie, arrivederci”. Cosa ci può essere di interessante, mi dicevo, in questi tizi armati fino ai denti che si calano dagli elicotteri per salvare qualche innocente? Quanto può essere attraente un inseguimento su una moto o una testata ai cattivi? Mi sbagliavo. Dopo un inverno di thriller, polizieschi sottilmente psicologici e ambientazioni distopiche, questo mondo di buoni che vincono sempre e cattivi che soccombono con disonore sembra una boccata di aria fresca. Qui nessuna ingiustizia viene tollerata e lo spazio per la misericordia non manca mai, che sia quella del poliziotto testa calda o del ragazzino dei sobborghi più poveri che finisce nei guai ma si ravvede grazie a un agente tutto muscoli e buon cuore. Ero pronta a una delle mie tirate contro queste serie tv da maschi. “Giusto un’altra puntata ti concedo”.  Sono passate delle settimane e siamo ancora in mezzo a tutto ciò. Perché non potete immaginare quanto sia rilassante e rinfrescante un mondo in cui tutto si aggiusta sempre.


L'amore è uno sport per chi ha il fisico


Da Ticino7 del 7 agosto 2021

l periodo più torrido dell’estate arriviamo con alle spalle un turbine di emozioni inedite: gli europei, con le imprese epiche e impensabili; le Olimpiadi con la solita girandola di sport assurdi della cui esistenza la maggior parte di noi si ricorda ogni cinque anni; Ben Affleck e Jennifer Lopez, protagonisti del ritorno di fiamma più paparazzato e chiacchierato dell’estate.

Di Bennifer, coppia d’oro di Hollywood poco meno di vent’anni fa, abbiamo ammirato in queste settimane le foto innamorate, i baci a favore di telecamera, la forma fisica sensazionale. Non più tardi di un paio d’anni fa, Ben era su tutte le riviste di gossip, fotografato bolso e trascurato dopo la fine della storia con la moglie Jennifer Garner. Di J-Lo, invece, abbiamo da anni unicamente testimonianze di invulnerabilità al tempo e alla forza di gravità. Che sia qualche anno fa al Super Bowl, in occasione di qualche sfilata o oggi spaparanzata su uno yacht con il celebre fondoschiena a portata di fidanzato e di teleobiettivo: di Jennifer Lopez da anni non si fa che dire come si mantenga bene e come non dimostri gli anni che ha (52). Ora il ritorno tra le braccia di Ben, col quale si dice fosse finita perché lui non voleva impegnarsi, ci rimette di fronte a domande cruciali dal punto di vista esistenziale: è più probabile che il fondoschiena regga all’andare del tempo o che l’amore ricominci? E mentre Ben era impegnato a trascurare i propri addominali e a lasciare la barba incolta, prima di ravvedersi e tornare in forma, dov’era Jennifer? Probabilmente in palestra, probabilmente a lavorare sodo per far fruttare con quintali di motivazione il patrimonio datole dalla natura.

Esattamente come gli atleti olimpici, allenati a prepararsi per anni con disciplina e rigore. Per quelli come noi, che guardano le gare in tv con lo spirito da tifoso con cui sfogliano le riviste di gossip, il lieto fine importa relativamente: quello che conta è la passione, la fotogenicità, il pensiero di un ipotetico riscatto e di un momento, anche se fugace, di gloria dopo anni di sofferenza e sacrifici. L’amore è uno sport olimpico. E senza il fisico adatto non si può essere all’altezza del destino. Figuriamoci del ritorno con un ex.


Di chiacchiere, chiappe e vaccini

Da Ticino7 del 31 luglio 2021

“Al centro vaccinale sono stati distrutti i vaccini contro la rabbia, la SARS e la peste”. In certi pomeriggi origliare le fantasie dei bambini impegnati a simulare un gioco di ruolo poliziesco è più stimolante che prendere parte ai discorsi degli adulti. Seduti in cerchio in giardino tra un assalto alle patatine e uno alle birre, onoriamo un compleanno estivo chiacchierando del più e del meno come sempre si fa alle feste in cui i maggiorenni sono invitati per fare tappezzeria. Da quando in quei discorsi del più e del meno sono entrati i vaccini, nulla è più come prima.

Una regola d’ora degli animatori chiamati a rompere il ghiaccio sedendosi tra i clienti nei villaggi turistici era quella di non discutere mai di sesso, politica e religione. Gli esperti dicevano di limitarsi a scambiare con gli ospiti informazioni su lavoro e provenienza per poi concentrarsi subito sull’unica cosa in comune tra gli inquilini di quel mondo a sé che erano i villaggi: gli spettacoli serali, le olimpiadi di Ferragosto, il gioco aperitivo.

Oggi, in un compleanno estivo che raduna compagni di scuola o parenti, l’unico terreno in comune sembra essere quello del vaccino. E solo uno stolto può pensare che il campo non sia minato.

Se va bene ci sorbiamo la dovizia di particolari della cugina che inspiegabilmente soffre di dissenteria sin dalla prima dose. Vorremmo obiettare che quella torta gelato potrebbe non aiutare, ma l’intervento del cugino scettico ci precede. Al primo accenno di “c’è qualcosa che non quadra”, neanche fosse arrivata la torta e si intravedesse il momento di andare, tutti sono intorno allo zio superstite del Covid che tuona contro i dubbiosi e i no vax.  La temperatura si alza e niente sembra portare refrigerio. I bambini ricominciano a giocare, quel famoso vaccino contro la rabbia di cui fantasticavano sembra essere stato distrutto davvero. Cerco di calmare gli animi con il solito contributo estetico e irrilevante: il giovane medico incaricato dell’anamnesi si è complimentato per i miei occhiali, ha osservato che sembro molto più giovane di quello che sono, ha voluto sapere che lavoro facessi e se pensassi di avere dei figli. “Mamma, tra le signore al mare sei l’unica a cui non penzolano le chiappe”. Risate generali. Bisogna certamente fare un salto dall’oculista. Ma solo dopo aver visitato il notaio per nominare la creatura erede universale. 

L'insalata di riso

 

Da Ticino7 del 24 luglio 2021

“Che fine ha fatto la tenda della camera da letto?”. “Non credo ci vorrà meno di annetto per sceglierne e montarne una nuova: dovrà abbinarsi all’armadio nuovo ma andare d’accordo col letto che è rimasto identico, dovrà coprire l’aggeggio dell’aria condizionata che sta sotto la finestra ma non togliere luce alla stanza”. Lui si pente della domanda un secondo dopo averla fatta, vorrebbe sommessamente far presente che è stanco di farsi vedere in mutande da quelli del palazzo di fronte, ricordare che non siamo nel deserto né in un attico ma capisce, da intenditore, che in certi casi la strategia migliore è quella dell’opossum: fingersi morto aspettando che passi.

Nella vita di coppia e in generale nei rapporti con gli altri è essenziale scegliere i campi in cui si può fare l’opossum e quelli in cui invece dare battaglia. Uno dei temi più caldi e controversi, terribilmente attuale in questa stagione, è l’insalata di riso: la sua esistenza, la sua composizione, la liceità di proporre a un ospite per un pranzo estivo un piatto che già in famiglia è un Vietnam.

Per prima cosa occorre scartare gli estimatori di Condiriso e gli utilizzatori di mozzarella (rilascia troppa acqua, a differenza di formaggi come il Caciocavallo o la Provola che fanno il loro mestiere senza disturbare nessuno, un po’ come fossero gli opossum dell’insalata di riso). Il tonno va sfilacciato prima di essere inserito e non fatto rotolare giù dalla scatoletta. I pomodorini vanno eventualmente inseriti pochi minuti prima di servire, per evitare che inumidiscano l’insieme. I pomodori non scatenano comunque tifoserie sfegatate, cosa che avviene invece con i cetriolini sottaceto e le olive. Entrambi andrebbero tagliati a rondelle, per amalgamarsi meglio e rendere praticamente impossibile quell’attività a cui si è costretti quando nessuno chiede i nostri gusti in anticipo: scartare gli ingredienti sgraditi, trasformando il pranzo in un’attività usurante impossibile da portare a termine senza occhiali per vedere da vicino.

L’alternativa è non focalizzarsi troppo sui dettagli, onorare l’opossum sorridendo come si fa in tutte le attività fondamentali, a iniziare dalla vita di coppia: “Incredibile che sia così buona nonostante la mancanza dei cetriolini”. Probabilmente gli opossum adorano l’insalata di riso.

 


lunedì 19 luglio 2021

Il terrazzo e il batticuore

Da Ticino7 del 17 luglio 2021

“No Alpitour? Ahi ahi ahi ahi”. Chi non ricorda lo slogan dei tempi in cui affidarsi ad un tour operator era pressoché l’unico modo di prenotare una vacanza? Quando siamo diventati abbastanza grandi da poter prenotare le vacanze da soli, di tutto questo mondo non c’era più neanche l’ombra. Rovistando su internet abbiamo cercato, anno dopo anno, quello che faceva per noi. Dalla Casa particular all’Havana al residence con amaca in Messico passando per l’albergo a portata di spiaggia sabbiosa adatto agli infanti. Abbiamo anche attraversato periodi “meglio a casa” fino a che non ci siamo imbattuti in ciò che aspettavamo da sempre, al punto, udite udite, da tornarci per due anni di seguito.

La trasformazione in gente abitudinaria si è compiuta quest’anno, quando abbiamo prenotato l’estate prossima prima di tornare a casa. Prima di partire per davvero, però, abbiamo trascorso gli ultimi giorni in un posto nuovo, in una casa “a ripa di mare”, come scriverebbe Camilleri parlando di questa villetta che è in effetti del tutto simile a quella del Commissario Montalbano.

La proprietaria norvegese l’ha acquistata qualche anno fa perché “è innamorata dei tramonti sul mare”. In estate noi turisti contribuiamo al mantenimento di questa bellezza che si affaccia sulle onde e sembra toccarle, con una stradina che conduce alla spiaggia in pochi passi. È tutto quello che ho sempre sognato, ho pensato appena entrata mentre nella mia mente si faceva spazio un dubbio: davvero abbiamo fatto bene a impegnarci con l’altra casa per l’anno prossimo?

Poi siamo saliti al piano di sopra, trovando le formiche intorno al letto, il comodino inesistente, l’abat jour che non c’è, l’armadio come una cassa da morto in verticale senza cassetti, le finestre minuscole, le lenzuola di trent’anni fa e gli asciugamani non stirati, nel bagno non ci sta neanche uno spazzolino, la doccia getta acqua lentissima e farsi uno shampoo sarà un cinema. Abbiamo ripensato alle comodità della solita casa come si ricordano le attenzioni di un marito premuroso ma noioso tra le braccia di un amante affascinante ma vuoto. Sedotte da un balcone sul mare ripensiamo alla lavatrice in esterno che abbiamo lasciato. Tornare? Non tornare? In fondo andare al piano di sopra è così importante? Siamo saggi o borghesi? Non si può vivere restando in terrazza? Una sola certezza: comunque vada il conto sarà salato. 


 

La protezione cinquanta

Da Ticino 7 del 10 luglio 2021

Come ogni anno onoriamo la tessera di fedeltà virtuale rilasciata dalla farmacia del lungomare. Settanta euro di creme ci consentono di avere il doposole scontatissimo, la borsa mare in omaggio e il bagnoschiuma pelli sensibili regalo del farmacista che si ricorda di noi dai 70 euro di creme dello scorso anno. La borsa mare servirà al maschio di casa, in quest’anno in cui siamo riuscite a eliminare dal suo bagaglio lo zainetto da studente di liceo e il telo mare di spugna. Vuoi mettere quello bello di cotone con stampe fatte a mano? Le monete e le chiavi della macchina, invece, staranno benissimo nella borsa omaggio della farmacia, ben collocata su una spalla mentre nell’altra c’è la borsa frigo. A sua volta omaggio delle creme solari comprate in città e dimenticate a casa. Dovevamo anche essere plastic free ma qualcuno ha dimenticato la borraccia. Il primo litigio è scattato proprio prima del check in per identificare il colpevole. “Tu non l’hai presa né mi hai detto che serviva”. “Tu l’hai lavata e rimessa in dispensa”. 

Il secondo litigio è per il filtro solare. Anni a spiegare che la protezione 50 è quello che ci vuole per grandi e piccini non sono serviti a niente. Così abbiamo preso tutta la gamma (i settanta euro di creme di cui sopra) e abbiamo la protezione 6 per pelli già abbronzate (nonostante in famiglia ci differenziamo l’uno dall’altro solo per il tipo di pallore), la 20 per le gambe e gli ultimi giorni di sole, la 50 per il viso e per i bambini e ovviamente il doposole scontatissimo per tutti i tipi di pelle. Dopo mezza giornata di vacanza la 20 sparisce. Siamo già al terzo litigio. “Ah, se solo avessi il mio zaino e la mia tasca delle creme personali”.

Il quarto litigio è per il litigio con la prole. Se tu urli, lei urla. Sei tu l’adulta. Non puoi metterti al suo livello, comandiamo noi. Non vorrai mica essere un genitore autoritario? Autoritario non significa molle. Se non imparano adesso non imparano più. Il bagno dopo mangiato non l’hanno fatto e hanno obbedito senza bisogno di litigare. Quando ci vuole ci vuole. Ho ragione io. Hai torto tu. 

C’è solo una certezza: troveremo l’armonia prima della crema protezione 20.


domenica 4 luglio 2021

Siamo tutti bravi a educare i figli degli altri

 

Da Ticino7 del 3 luglio 2021 

“Due anni, ritrovato vivo dopo 36 ore da solo nei boschi”. Ci sono storie di cronaca che bucano il torrente di immagini e parole con cui siamo bombardati tutti i giorni. Una decina di giorni fa è successo con il caso di questa notizia. Nicola, 21 mesi e una vita in campagna nell’Appenino tosco emiliano con mamma, papà e fratellino, viene messo a letto prima di cena e scompare. I genitori si accorgono della sua mancanza intorno a mezzanotte, lo cercano fino alla mattina e solo allora danno l’allarme. Passa un numero interminabile di ore fino a che un giornalista, inviato di una tv, ritrova il bambino in fondo a un dirupo: qualche graffio, tanta paura, ma sta bene. Riabbraccia finalmente la mamma. Ma nelle foto si vede che ha i sandali ai piedi, gli inquirenti indagano sul motivo dell’allarme dato in ritardo dai genitori. Qualcuno avanza dei sospetti: troppe cose che non tornano, troppo strana la vita di quella famiglia che abita nell’appennino tosco romagnolo in mezzo al nulla, curando le api. 

Scatta più o meno inconsciamente il riflesso condizionato di noi tutti bravi a educare i figli degli altri. Noi sì, che avremmo installato una recinzione intorno a casa, spogliato il bambino prima di metterlo a letto, chiuso la porta a chiave, chiamato immediatamente le forze dell’ordine. Noi sì, che non vivremmo mai in un posto in cui non prende neppure il cellulare e la banda larga è un sogno. Noi sì, che avremmo fatto le cose giuste. E non è solo il senno del poi, gli stessi genitori di Nicola tornando indietro hanno detto che si sarebbero comportati diversamente, ma la sindrome di saper sempre cosa fare quando i figli non sono i nostri.

I nostri che hanno rischiato di buttarsi dalla tromba delle scale, i nostri con cui abbiamo corso per entrare in metropolitana, rischiando che entrasse il passeggino e restassimo fuori noi, i nostri che sono vivi e vegeti per miracolo. Come noi del resto: mandati all’asilo senza mutande, portati in macchina senza cintura, infilati nella sottocoperta di un gommone anni Ottanta quando s’era deciso d’andare in mare nonostante le onde.

Miracolo. È una parola che in molti hanno scomodato nella vicenda del piccolo Nicola. Sì, io credo che sia un miracolo. Solo per un miracolo i nostri figli possono sopravvivere a quell’impasto di buone intenzioni, idiozie, imperfezioni e amore che è l’essere genitori. È un miracolo amare e lasciarsi amare.

venerdì 18 giugno 2021

La montagna come una volta

 Da Ticino7 del 12 giugno 2021

Se si eccettuano le quattro mutande e le cinque borse per due giorni infilate in uno zaino per la prima fuga dai miei, non facevo una vera valigia da quasi un anno. Intendo valigia vera, quella per stare in un albergo dove potrebbero esserci anche altre persone, dove ci vuole un cambio per la sera e una giacchetta per il giorno. Perché in montagna, si sa, il tempo cambia in fretta.

Approfittando di qualche giorno libero, il maschio di casa ci ha deportate sui monti. Annualmente queste righe ospitano, analogamente alla mia terapista, gli sfoghi contro la montagna d’estate che illustro con piacere pensando che tante persone, là fuori, siano nella medesima condizione.

I montanari godono per l’aria frizzantina. Sono felici di poter andare in giro con l’oggetto più inelegante e scomodo della storia, ossia lo zaino. Negli anni ho collezionato abiti e accessori che potessero rendere meno penosa la mia deportazione estiva sui monti. Gli scarponi modello vintage da alpinista degli anni Settanta mi hanno aiutato molto. Li vidi a Corvara in tenera età, li ricevetti come regalo (gentilmente pilotato) anni dopo. Tutto, pur di evitare abbigliamenti tecnici. Possiedo dei pantaloni alla Zuawa. Li metto poco perché la famiglia mi accusa di sembrare l’imperatore Cecco Peppe in vacanza con Sissi sulle Alpi (il mio immaginario, ovviamente, è figlio del film con Romy Schneider)

Non sopporto nulla che venga da Decathlon e affini. In questa vita con il budget di Cenerentola e i gusti da Marta Marzotto sono continuamente alla ricerca di abiti, per me e le bambine, che segnalino che siamo attrezzate per la montagna ma non ne siamo ultras. Un buon inizio è certamente il fazzoletto in testa, con le stelle alpine o a fantasia, che a casa nostra ha sempre sostituito il cappello. Non sopporto le persone con le racchette per camminare e il cappuccio in testa. 

Se piove ci si bagna punto e basta, ho sempre detto. E lungo il sentiero si raccoglie un bastone che verrà usato come supporto per il cammino. 

Forse in montagna, più che altrove, è evidente la mia avversione al cambiamento e alla modernità.

I pantaloni tecnici con la parte inferiore della gamba staccabile li lascio al maschio di casa. Che del resto porta lo zaino, i kway e le borracce per tutti.


Mangiare fuori. Da ogni campo

 Da Ticino7 del 5 giugno 2021

Il tempo di distrarsi un attimo: ci stavamo ancora lamentando che non si può fare niente e questa vita si sta portando via tutte le gioie, che tocca iniziare a lamentarsi che non si trova più posto nei ristoranti. Il pic nic è una soluzione che non possiamo prendere in considerazione: l’uomo di casa non si siede mai sull’erba e all’ultimo compleanno di qualche figlia al parco in cui dovevamo atteggiarci da famiglia felice, preferiva gonfiare i palloncini che sedersi sulla coperta nel prato e conversare con gli invitati adulti.

Grigliare è cosa che non sappiamo fare e per la quale accampiamo sempre la solita scusa: casa piccola, vite cittadine, inettitudine al lavoro manuale, professioni invadenti. Il risultato è che siamo invitati da spettatori alle griglie altrui o, più frequentemente, nei ristoranti in cui noi ci sediamo comodi con i sandali aperti che non osiamo indossare in città e qualcuno si immola alla griglia al posto nostro. L’odore delle costine è la cosa più vicina al paradiso che conosciamo e non solo per via della buona predisposizione d’animo che un ottimo Merlot nella tazza può garantire. Le bambine sanno che devono chiedere il permesso per utilizzare le forchette e l’igienizzante, da mesi inquilino sgradito delle nostre borse, sembra appartenere a un altro mondo.

La cosa migliore che può capitarti - specie in età adulta – è di essere invitato in un posto in cima a qualche montagna, in un crotto su in un’alpe e rendersi conto, una volta su, che non c’è campo per il telefono. Bisogna solo aspettare che lo spirito del crotto faccia effetto e passi quella prima mezz’ora in cui si finge di dover andare in bagno per provare se miracolosamente, in qualche anfratto, c’è campo, non dico per un traffico dati, ma almeno telefonico. Quando qualcuno ti sgama in quella che è l’attività tipica dell’imbruttito massimo, sorridi: “Sai, aspetto una telefonata importante. Averlo saputo, avrei avvisato”.

Come spesso accade nella vita, basta aspettare. Aspettare che il vino faccia effetto, che la carne arrivi in tavola, che i bambini mangino le salsicce con le mani senza bisogno che un adulto si alzi per tagliare alcunché. Basta aspettare. E ringraziare il cielo di essere in posti sperduti e intaggabili. Dove le foto ai piatti sono vietate. Perché le mani si usano per mangiare. 






domenica 30 maggio 2021

Hanno messo a dieta mio padre

Da Ticino7 del 29 maggio 2021

Hanno messo a dieta mio padre. Significa che un dottore ha certificato ciò che mia madre, Cassandra del colesterolo, va dicendo inascoltata da molti anni. Ogni giorno a tavola, da quando ho memoria di esistere, lei prepara la pasta da cuocere, lui (famoso per aver condito una volta una di quelle paste nello scolapasta) obietta che ci vorrebbe almeno un etto in più, lei gli rinfaccia i chili di troppo e il vino rosso sempre in tavola, lui ribatte che gioca a tennis e va in bicicletta come avesse vent’anni e nessuno gli ha mai dato l’età che ha (e che nessuno di noi conosce esattamente). 

Pensavo di aver ereditato la propensione alle spese facili da mia madre fino a che non ho visto mio padre tornare dalla bottega del macellaio. Salami, lonze, coppe, salsicce. Nei mesi delle restrizioni più dure della pandemia ha rinunciato al caffè al bar facilmente, più arduo declinare il tradizionale invito alla cosiddetta colazione del maiale: nelle case dove si ammazzano le bestie e si fanno le carni si mangia tutto ciò che è fresco e che non si butta via, come recita l’adagio, destinandolo a pochi e importanti invitati. Mio padre ha sempre ricevuto almeno un paio di inviti all’anno alle colazioni del maiale. Mio padre, modestamente, è popolarissimo. In tema di salumi adora fare proselitismo, non c’è cerimonia nostra o dei nostri congiunti a cui lui non abbia aggiunto un prosciutto comprato personalmente o una collana di salsicce. Se ti incontra, ti regala una lonza. Se stai per partire devi avere almeno due salami in valigia. A Natale ha ordinato un paio di quintali di pecorino per i regali. Il fornitore pensava avesse un supermercato.


In questo circo di trigliceridi e colesterolo il medico ha identificato una “vita dissoluta”. Lui spiega che non s’è mai ubriacato né è mai andato a donne, è sportivo. Mia madre annuisce ed estrae vaporiere, spezie, filetti di branzino e scorfano. Nelle nostre videochiamate durante la cena le vellutate hanno sostituito il fiasco di vino sul tavolo, lui, distratto e mesto, sgranocchia una carota. Vorrei dirgli che lo capisco, che le spezie danno sapore, che la pasta integrale è meglio. Vorrei consolarlo forte della mia esperienza di diete varie e variate. Vorrei dirgli di ascoltare tutti questi noiosoni per il periodo che serve. Per tornare presto a essere il mio babbo immortale.

domenica 23 maggio 2021

Antisport di madre in figlia

Da Ticino7 del 22 maggio 2021

Nei lunghi mesi in cui gli sport di squadra erano vietati o sconsigliati per ragioni pandemiche, qualcuno si è sentito incredibilmente sollevato. Se il gioco consiste nel palleggiare per prendere confidenza con la palla, nessuno può prendersela se sbagli il tiro in porta proprio di fronte al portiere. Le cronache raccontano spesso di genitori che si accapigliano guardando le partite dei propri figli, trascinati da una competitività irrefrenabile. Pochi giorni fa agli Internazionali di tennis di Roma, il giudice di gara ha seriamente diffidato il padre della tennista Camila Giorgi dal continuare a schiamazzare a bordo campo disturbando i giocatori. 

Io, dopo cinque minuti di allenamento sbirciato da dietro la rete del campetto, ho pensato che il calcio è uno sport difficilissimo e guardando la palla come una madeleine sono riandata con la mente a tutto il vissuto traumatico che evidentemente è responsabile di anni e anni di seria inattività.

Sì, insomma: parliamo di me, parliamo di me. Conteggiato a parte il nuoto, lo sport più completo obbligatorio per ogni bambino, la mia carriera sportiva ha contemplato negli anni il pattinaggio artistico, la ginnastica artistica (l’arte, una vocazione), pallavolo e danza classica. Di ogni sport ricordo disagi e delusioni: la fuga prima del saggio, la schiacciante serie di sconfitte al torneo di pallavolo disputato lungo le strade di un paesino, l’umiliazione di essere scelta sempre per ultima a scuola quando era il momento di formare le squadre per giocare a basket.

Maturità è parlare continuamente di sé e impegnarsi per evitare ai figli i propri errori, quindi cerco un equilibrio perché mia figlia faccia sport con armonia, segretamente spero che si appassioni a qualcosa (“Continuo equitazione, ma non penso farò la cavallerizza mamma”). Scegliamo uno sport di squadra, chissà che non impari a competere in maniera sana, senza desiderare la morte dell’avversario come fa quando giochiamo a Trivial Pursuit. Così approdiamo al calcio. Il padre le ha spiegato le regole del gioco su un foglio; io ho messo su De Gregori e La leva calcistica della classe 68, per dimostrare che il fuorigioco non lo capisco ma Dio me ne scampi se non so la poesia, il disagio, il sentimento, il cuore. Che devono metterci gli altri. Il mio, di contributo, resterà quello di uscire vincitrice dopo 45 minuti di ricerca delle scarpe perfette alla Decathlon. 

A una certa età

Da Ticino7 del 15 maggio 2021

La rivincita delle rotondette arriva intorno ai quaranta, perché zampe di gallina e rughe sono spesso meno evidenti in chi non è propriamente magrissimo. Secondo un algoritmo complesso e geniale degno della Silicon Valley, arriva un preciso momento della vita in cui la lotta ai chili di troppo va sostituita con quella all’armonia. Niente body positivity, qui il tema è la scelta delle priorità, la consapevolezza, il realismo e il pragmatismo che guarda caso proprio l’età dovrebbe portare in dote.

Le amiche che fino a ieri si interrogavano sul prodotto miracoloso anticellulite oggi sono attanagliate da nuovi, enormi problemi. I principali sono il botox e i capelli bianchi. Le migliori, quelle che alle medie si vantavano d’aver già smesso di fumare, rivelano che non bisogna avere paura dei ritocchini. Che contrastare i segni del tempo è un dovere, purché con modalità discrete e non invasive. Sorridono di fronte alle neofite che temono di diventare come le tante attrici devastate dalla chirurgia estetica. “Ma cosa ti metti in mente? Qui parliamo solo di cose naturali, piccoli trattamenti invisibili di cui nessuno si accorgerà. Non vedi come sono in forma? Io ho iniziato più di 5 anni fa”.

Non lo sapevi ma cinque anni fa, mentre tu ti interrogavi ancora, con un piglio pensoso e da ventenne fuori tempo, sull’opportunità di comprare abiti fast fashion, le tue amiche pensavano al futuro. Affiancando a un solido fondo pensione dei trattamenti estetici mirati a contrastare rughe e segni del tempo. Sorridono di fronte alla tua bizzarra teoria del grasso che minimizza le rughe, ti tolgono il tiramisù dal tavolo e ti guardano negli occhi. Basta scuse, bisogna pensare al futuro. 

L’altro tema di grande discussione sono i capelli bianchi. Anche in questo caso, le previdenti rivelano di tingerli da tempo. Scopri così che erano tutte favorevoli a lasciare i capelli naturali, fino a che si parlava dei capelli delle altre. Oggi le più agguerrite sfoderano senza pietà le foto di amiche che recentemente si sono mostrate senza tinta ai capelli e ti sfidano: “Non mi dirai che questo è stile”. Noi che ieri ci dividevamo su Dior e Chanel e su Zara e H&M, oggi ci accapigliamo di fronte ai capelli bianchi. Del resto, non siamo tutte Helen Mirren.

La discussione vira su La Vacinada, la canzone irresistibile di Checco Zalone che fa il manzo italiano con una bella e attempata signora, la meravigliosa Mirren appunto, ingolosito dal suo essere vaccinata. Le ultras dei capelli tinti non si lasciano intimidire: “Bellissimo il video, bellissima la canzone, ma non vorremo mica arrivare a una certa età per rivalutare l’uomo che ti fa ridere?”.

domenica 9 maggio 2021

Guardatevi dal tatagattamortismo

Da Ticino7 dell'8 maggio 2021

Pochi giorni dopo aver mostrato la sua ciccia post partum come segno di body positivity, Chiara Ferragni mostrava in una storia su Instagram il volto di tata Rosalba nel giorno del suo compleanno. Pochi giorni prima sorridevo imbarazzata vedendo una conoscente che postava su Instagram foto mandate dalla tata dei suoi figli taggandola. Andando a controllare subito il profilo come si conviene in questi casi, notavo che la tata era giovane e bella, evidentemente italofona e soprattutto taggabile, a differenza della Rosalba di casa Ferragnez. Ho pensato che avrei più volentieri dato in pasto al pubblico il numero della mia carta di credito e i dati di accesso al mio conto in banca, certamente meno preziosi della persona più importante della nostra vita che ne rende, semplicemente, possibile lo svolgersi.

Le madri di oggi, specialmente quelle che lavorano più di due ore al giorno e non passano le estati in villeggiatura con la prole, sanno che non è dalle gattemorte ruba mariti che occorre guardarsi le spalle; bensì dalle madri svenevoli sempre pronti a rubarti la tata. “Ah, ma mi daresti il numero della ragazza che accompagna al parco le tue figlie?”, chiedono serafiche se ti incontrano fuori da scuola. Più spesso approcciano direttamente la malcapitata al parco. Specificano subito che è solo per un eventuale backup di qualche ora al pomeriggio, oppure solo in caso di malattia. Vorresti rispondere che tu devolvi tre quarti del tuo stipendio ad un’altra donna proprio per evitare queste situazioni e che auguri anche a loro un impiego pieno di eventualità e nessuna certezza. 

Spesso le giovani e inesperte cedono, soprattutto pensando di fare un favore alla tata in questione, che magari ha piacere ad allargare il proprio giro di conoscenze e occupre qualche ora libera. Tutte quelle che lo hanno fatto si sono pentite amaramente. Non sarà un caso se tra le informazioni inaccessibili dei famosi, ci sono proprio le identità di collaboratori domestici e tate. Si tratta di gente che ha una patente di uccidere (vi immaginate sapere quante ore al giorno guarda la tv il figlio dei Ferragnez o quanti detersivi inquinanti si utilizzano in quelle case? Non sognate anche voi intere paginate di gossip sul tema?), che probabilmente viene remunerata anche per la delicatezza del compito che ricopre. Ora, anche se non siete famosi, ricordate: la prossima volta che qualcuno vi chiede informazioni sulla vostra tata, proponetele di uscire con vostro marito. La vostra famiglia sarà certamente meno in pericolo.


sabato 1 maggio 2021

No, non recupereremo niente

Da Ticino7 del 1 maggio 2021

Il compleanno di aprile è stato accorpato all’anniversario di dicembre e festeggiato in giugno, a una distanza talmente equa dai due avvenimenti da esserne completamente slegato. Un’abitudine che nei casi migliori moltiplica i regali, in quelli più frequenti rende assolutamente trascurabile qualunque tipo di ricorrenza.

Lo scorso anno, in pieno lockdown, la bambina è riuscita a ricevere la Barbie che tanto desiderava. Una sorta di bambola magica, che cambiava colore sotto l’acqua. Al telefono con l’amica del cuore ha promesso: l’aprirò con te quando ci rivedremo a settembre, altrimenti faremo una videochiamata. Noi adulti abbiamo sorriso commossi, nell’ordine: della determinazione della bambina, dell’affetto tra le amiche, della assoluta disinvoltura con cui si dichiarava pronta, a mali estremi, ad estremi rimedi come le videochiamate. Tutto è andato come doveva andare e la Barbie si è aperta a settembre con un evento dal vivo immortalato dalle macchine fotografiche ricevute anch’esse per il compleanno di tanti mesi prima. La grande festa, quella al parco con i palloncini, la caccia al tesoro, le ginocchia sbucciate dopo le corse e il meraviglioso momento di collettiva apertura dei regali era stata comprensibilmente rimandata all’anno successivo. Arrivato l’anno successivo abbiamo rimandato all’estate. Ora siamo qui, inebriati dalla possibilità di sederci in un bar all’aperto, a domandarci come organizzare le feste di recupero. Con noi un esercito di titolari di compleanni, cresime, comunioni, anniversari che hanno festeggiato in maniera frugale con il proposito di recuperare con gli interessi a tempo debito.

Adesso però il tempo debito pare più vicino e sarà che non abbiamo neanche più il fiato per gonfiare i palloncini, ma siamo tutti titubanti. I parenti risponderanno alla chiamata alle armi della comunione con un anno di ritardo? La festa dei 18 anni funziona lo stesso a 19? I 40 si possono festeggiare dopo i 41? Discutiamo di scaramanzia, di regole, di buon senso, di pigrizia. Ripensiamo a tutti i biglietti di auguri ricevuti in questi ultimi mesi, tutti rimandavano a recuperi e tempi migliori. La verità, ce lo diciamo oggi che i tempi migliori sembrano davvero a portata di mano, è che potremo inventare modi nuovi e creativi di fare altro ma non di recuperare il passato. No, non recupereremo niente. Ed è incredibile quanto siamo in forma, noi che non abbiamo mai compiuto 40 anni.


 

Su cosa dovremmo piangere, se non su latte versato?

 Alla bambina che torna a casa con un brutto voto diamo una carezza nell’esatto momento in cui la spingiamo a guardare avanti. Da Ticino7 del 24 aprile 2021

Quelle lacrime devono diventare carburante per studiare di più, scrivere meglio, evitare le orecchie ai quaderni, avere una grafia più comprensibile e così via. Essere genitori, lo dico spesso, significa predicare perfettamente nell’esatto momento in cui ci si accorge di non avere neppure la forza per razzolare. Lo stesso vale con gli amici e con l’assortita gamma di delusioni di cui dobbiamo occuparci nel corso degli anni. Elenchiamone alcune, per aree tematiche: la vita di coppia (“capisci, non è solo che lui non è più quello di una volta, è che lui è sempre stato così e io dov’ero? Non me ne accorgevo?”); la delusione amorosa (“Ho sposato un’altra ma ancora giro la faccia dall’altra parte se lei, bellissima e con i figli per mano, si presenta sulla mia strada”); la delusione lavorativa (“Ho quarant’anni passati, non ho ancora scritto il libro della vita, non so l’inglese come vorrei e tutti sembrano avere lavori più interessanti del mio”); l’invidia sociale (“È imbarazzante, lo so, ma ogni volta che vedo qualcuno che posta foto in case grandi dotate di giardini e terrazzi mi viene il sangue amaro”). 

Agli amici diciamo che è importante farsene una ragione. Ai figli diciamo di reagire e di imparare dai propri errori. Ora, rivendico con orgoglio l’esortare gli altri a fare cose che noi stessi non riusciamo a fare, ma non posso fare a meno di domandarmi (come una Carrie Bradshaw dei poveri): quando, esattamente, abbiamo iniziato a confondere l’affetto con il coaching?

Quando, esattamente, abbiamo dimenticato che la cosa più preziosa sono gli amici che non hanno niente di saggio da dirti? In qualche momento della nostra vita dobbiamo aver pensato che voler bene significasse dire sempre le cose giuste come esortare a guardare avanti, passare oltre e imboccare il portone aperto da quello che potrebbe essere un duro ma in fondo provvido destino. Persino noi, per natura contemplatori malinconici e disperati delle porte che si chiudono, diciamo agli altri di comportarsi com’è giusto e di farsene una ragione. Quando la prima cosa ragionevole sarebbe dire che non c’è cosa più sacrosanta, giusta e liberatoria che piangere. Piangere. Piangere e piangere. Specie sul latte versato. Quanto meno per imparare che le lacrime possono finire.


sabato 17 aprile 2021

Il principe Filippo e i ruoli della vita

 Apprendendo della morte del principe Filippo ho pensato alla frase che, due anni fa, aveva fatto finire sulla graticola Amadeus, colpevole di aver definito la modella Francesca Sofia Novello (cito a memoria) una donna bellissima capace di stare sempre un passo indietro rispetto al fidanzato, il pilota di Moto GP Valentino Rossi. Si era scatenato un finimondo per dire che non si può definire una donna rispetto al proprio uomo, che le donne non stanno un passo indietro, che il fatto che una donna sia bella non deve far passare in secondo piano la sua intelligenza.

Ora dimenticate il paragone sanremese volutamente enorme, ma oggi, nel giorno in cui i funerali in forma privata del principe verranno celebrati al castello di Windsor, mi domando se il rispetto che proviamo per lui non sia proprio in questo avere fatto, per decenni, ciò che oggi pochissimi – anche nella famiglia reale – sembrano in grado di fare: assolvere al proprio dovere, rispettare e onorare il compito. 

Filippo è sempre stato un passo indietro, non so per naturale ritrosia, di sicuro per obbedienza al ruolo di marito della Regina che il destino gli aveva dato in sorte. Ho la sensazione che se al suo posto ci fosse stata una donna avremmo tutti sentito il diritto di elencarne i doveri, i pensieri, le azioni collaterali destinate a mitigare il ruolo di “consorte di”. Con il principe Filippo questo è accaduto solo moderatamente. Non c’è vergogna nel ricordarlo come “marito di”. Come colui, lo ha scritto la Regina nel messaggio di lutto, che è sempre stato “la mia forza”. Ricordiamocelo oggi, quando tutti gli obiettivi saranno puntati sugli sguardi tra Harry e il resto della famiglia nel primo incontro dopo l’intervista esplosiva con Oprah Winfrey.

In un mondo in cui tutti devono essere ciò che vogliono, Filippo era di quelli che hanno voluto essere ciò che dovevano. 


domenica 11 aprile 2021

Di elastici, trampolini e regali boomerang

Da Ticino7 del 10 aprile 2021

Non solo il corso di uncinetto, comunque mai popolare come quello di knitting (lavoro a maglia) a quello di cucina, ma anche quello di alimentazione salutare (no, la dieta non si porta più, sa di punizione e noi cerchiamo la consapevolezza). Ultimamente sono bersaglio di tipologie di offerte sempre più motivazionali. È pieno di gente che non vuole vendermi nulla, se non la mia felicità. Saltellavo sul trampolino di Jill Cooper quando ho ricevuto l’illuminazione ascoltando le parole della star del fitness: “Stare bene con il proprio corpo è la cosa più importante”, mi ha spiegato Jill mentre saltellava sul trampolino che ho sapientemente regalato alla creatura per il compleanno. “La forma fisica è solo una conseguenza”, ha detto Jill continuando a saltellare con un esercizio facilissimo per togliere la ciccetta dal punto vita. Volevo ripetere che la conseguenza è ciò che mi ha spinto a pagare tutto in contanti e ad aggiungere, per soli pochi spicci, gli elastici speciali fitness, corredo perfetto al trampolino che occupa metà soggiorno e ci farà odiare dall’inquilino del piano di sotto, ma servirà ai bambini per scrollarsi di dosso un po’ di questi mesi terrificanti e alla mamma per fare altrettanto e tenersi in forma. Divertendosi, ovviamente. 

I tutorial di Jill Coper su YouTube stanno all’oggi come le videocassette dei workout Cindy Crawford negli anni Novanta. Allora ci ritrovavamo tutte insieme per vederla. La supermodella sgambettava in televisione, la promessa era quella di un corpo perfetto, in cambio dovevi dedicare a Cindy almeno un’ora al giorno e una disponibilità al sacrificio senza riserve. Niente traguardi minimi e facilmente raggiungibili, mentre Cindy faceva gli affondi in costumi in riva al mare o in una terrazza di New York, tu sapevi che la tua tuta impresentabile nel soggiorno angusto della tua amica del cuore era il prezzo da pagare per migliorare. Sudare era importante. L’irraggiungibilità di Cindy si nutriva della nostra dedizione: non saremmo mai state come lei, ma avremmo lavorato duramente per provarci. Almeno fino a quel momento. Quel momento magico in cui ci sedevamo sul divano per vedere meglio come faceva l’esercizio. E una andava in cucina a prendere i Kellogg’s (non le patatine, avevamo ancora del pudore). E il pomeriggio finiva così: una scatola di cereali finita mentre discutevamo su come fosse meglio fare gli esercizi. Cindy sgambettava e noi continuavamo a chiacchierare. Chissà se anche il tappeto elastico avrà lo stesso effetto collaterale. 

Dante e i settecento anni di tifoseria

Da Ticino7 del 3 aprile 2021 

Anche i più distratti avranno notato, negli ultimi tempi, un fiorire di iniziative e articoli legati a Dante Alighieri, del quale ricorrono quest’anno i 700 anni dalla morte. In Italia si è pensato di celebrarlo coniando persino il terrificante nome di Dantedì per il 25 marzo, data in cui secondo gli studiosi sarebbe iniziato il celebre viaggio del Sommo nell’aldilà. 

Essere adulti significa anche affrontare gli incubi dell’adolescenza con serenità, pertanto ci accostiamo nuovamente all’opera con l’onestà intellettuale di chi ha superato il ricordo delle notti passate a studiare le parafrasi, capendo quasi tutto all’Inferno e dannandosi trai canti del purgatorio a quelli del Paradiso. Fa parte del gioco, dicevano i professori, Dante eleva il linguaggio progressivamente spingendolo il lettore a compiere un viaggio a propria volta.

Nel fioccare di iniziative per l’anniversario, c’è solo da scegliere dove ricominciare. Sono questi i momenti in cui si benedicono la banda larga, gli airpods e i contenuti meravigliosi che si trovano su Youtube o Spotify, come i podcast di Alessandro Barbero, storico dell’università di Genova ormai diventato icona pop per la capacità di raccontare storie e consentire a gente di mezz’età di recuperare ciò che la memoria (o un’ignoranza più radicata di quanto si pensi) seppellisce.

In questi giorni di celebrazioni dantesche guardiamo con inedita benevolenza anche il padre delle bambine, che si era messo in testa di avvicinarle al Sommo in tenerissima età. Ne era nata la tipica querelle pedagogica tra noi aspiranti montessoriane e il maschio sterminatore di sfumature: mettendole di fronte a tali difficoltà rischi di farle sentire perennemente inadeguate e sai che il bambino è una spugna (l’ho dice l’ultimo post proposto dall’algoritmo) ma non va forzato, le librerie devono essere ad altezza bambino e tu invece sembri volerle posizionare su una scala altissima. Poi è arrivato in casa persino il Dante di Geronimo Stilton e abbiamo alzato le mani. 

Ora la discussione si fa interessante, un po’ come con la professoressa del liceo, quando uscendo dal torpore adolescenziale si alzava la mano in protesta contro la somma ingiustizia d’aver posizionato Achille, Paolo e Francesca e prima di tutto l’amato Ulisse tra le fiamme dell’inferno. Un po’ affrontiamo Dante come una puntata di Amici, un po’ ci stupiamo del suo aver creato, settecento anni fa, situazioni che ancora oggi ci scaldano e ci coinvolgono. E oggi anche le bambine sono dalla nostra parte: “Bè, dai era certamente più colpa di Paolo che di Francesca e Achille, in fondo, faceva soltanto bene il suo lavoro di soldato!”.


L'era della suscettibilità e le colpe di Sissi

Da Ticino7 del 27 marzo 2021

 “Alla gente è stato insegnato a concepire un libro come uno specchio, invece che come una porta – o una finestra, insomma: un modo di guardare fuori”. La citazione di Fran Lebowitz è utile a spiegare perché L’era della suscettibilità (Guia Soncini, Marsilio) è un libro diverso da ciò che pensavamo fosse. Qui s’era pronti a lodare la capacità di tirare al respiro d’un saggio ciò che poteva essere detto nello spazio di uno degli articoli di giornali cui l’autrice c’ha abituato: il mondo d’oggi fa infinitamente pena con questa sua smania che ogni cosa sia innocua per non offendere nessuno e di gente pronta a offendersi, signora mia, oggi ne abbiamo a palate. “Sotto la notizia d’uno studio sul vaccino per il Coronavirus, i lettori del New York Times commentavano che il nome Imperial College offende i paesi che furono colonizzati dall’Impero britannico. Forse eravamo scemi anche prima, ma non potevamo notificarlo al giornale che leggiamo e al resto del mondo ogni volta che ci portavamo in bagno il telefono”.

Le notizie sono quelle che leggiamo di frequente, alzando gli occhi al cielo come si fa con le cronache dell’assurdo. Come quando la Disney rende disponibili in streaming vecchi titoli come Gli Aristogatti, ma per non incorrere nelle ire degli indignati perenni (i suscettibili, li definisce Guia Soncini) inserisce un disclaimer (trigger warning): “Questo programma include rappresentazioni negative e/o maltrattamenti di persone o culture”. La scrittrice J.K.Rowling viene accusata di essere transfobica per aver twittato in difesa di Maya Forstater, licenziata per aver detto che il sesso biologico esiste. Soltanto pochi giorni fa negli USA Condè Nast revocava l’incarico alla direttrice designata di Teen Vogue, Alexi McCammond, in seguito alle proteste per dei tweet offensivi contro le minoranze etniche pubblicati anni prima e poi cancellati. Le scuse non bastavano, soprattutto dopo che uno dei maggiori inserzionisti del giornale aveva ritirato gli assegni. Non è una tirata lagnosa in favore della libertà di espressione, piuttosto un manuale (Soncini si prende l’ingrato compito di spiegare termini come cancel culture, mansplaining, hate speech, slut shaming) disseminato di riferimenti pop imprescindibili. A un certo punto capirete perché è tutta colpa di una pubblicità L’Oreal degli anni Ottanta, di Lady Diana e della principessa Sissi. Il perché non ve lo anticipo: gli odiatori di spoiler sono particolarmente suscettibili.