sabato 23 ottobre 2021

Cinquanta sfumature di puzza di letame

Da Ticino7 del 23 ottobre

Dovevamo chiacchierare dei tempi andati, discutere del cambio dell’armadio e dell’opportunità di organizzare uno swap party a Capodanno, ma i bambini volevano vedere i cerbiatti. Arrivati ai cerbiatti il gruppo uno ha proseguito verso i lama e le capre; il gruppo due si è fermato allo scivolo dopo aver passato in rassegna le oche e i maiali (che potrebbero essere cinghiali.) La Fattoria Didattica è roba per gente preparata, entusiasta e infaticabile. Come la signora in abito lungo e tacco sette, che davanti al recinto delle capre arringa i parenti contro il vestito della festeggiata a suo dire pacchiano.

Seguendo le infinite variazioni sul tema della puzza di letame siamo arrivati alla stalla. “Il bagno è a sinistra dopo le mucche”, risponde cordiale il cameriere mentre corre a consegnare dieci piatti di polenta e salamella alla tavolata giù in fondo. Prima del bagno, di fronte alle mucche, tavoli di gente che mangia. 

La gente mangia anche di fianco ai lama, proprio accanto allo scivolo che parte dalla zona mucche. Svoltato l’angolo, subito dopo l’odore acre della cacca dei maiali (che potrebbero essere cinghiali), c’è il ristornate vero e proprio, quello in cui siedono i previdenti che, avendo prenotato con due settimane di anticipo, hanno diritto a un tavolo senza scadenza; al contrario nostro, sloggiati dopo un’ora per lasciare il posto agli avventori del secondo turno di pranzo.

C’era gente a mangiare anche prima dei cerbiatti, di fianco al Brucomela e prima dei tappeti elastici. Attrazioni da noi evitate perché qualcuno ha sparso la voce che sono a pagamento. “Il caffè era compreso nel conto, dov’è finito lo scontrino?”. “Torna al tavolo, facendo il giro passando dalle oche, prima dei lama”. Intanto i bambini sono sulle liane, appesi insieme a un’infinità di simili e ai figli di conoscenti incontrati per caso qui in questo girone dantesco. All’ingresso qualche genio ha piazzato una bancarella. Spingiamo i bambini verso il tanfo del letame a dare da mangiare agli animali cercando di dribblare i giochi di plastica e i palloncini. La polenta non era malvagia, il vino rosso di sicuro la cosa migliore, il bagno tremendo. Stare a contatto con la natura è meraviglioso, didattico, anche. Da oggi sappiamo quanti odori diversi può avere la cacca e quanto siano simpatici i maiali (che potrebbero essere cinghiali).


giovedì 21 ottobre 2021

Vent'anni di Tenenbaum

Da Ticino7 del 16 ottobre 2021

I giornalisti, al pari di altre categorie iperattive come gli anziani e gli innamorati, amano le cifre tonde: 10 anni di matrimonio, 15 di pensione, il quarantesimo compleanno del partner, i vent’anni di un grande film. Così accade che nella settimana in cui realizzi quanto sia urgente inventare un regalo per l’uomo che odia ogni tipo di festeggiamento ma compie la cifra tonda che la convenzione sociale impone di non ignorare, scopri che i Tenenbaum compiono ben vent’anni. 

È il momento per ripercorrere un film irresistibile a colpi di aneddoti e post su Instagram di Gwyneth Paltrow, che per un momento abbandona le tematiche green e salutiste per rendere omaggio al personaggio che l’ha consacrata in un universo che non sembrava il suo, quella Margot depressa con un anulare di legno, costantemente in pelliccia di visone, maglietta a righe, mocassini ed Hermés al braccio. Figlia adottiva, geniale e depressa, di una famiglia di squilibrati altrettanto geniali, è da sempre oggetto dell’amore del fratellastro tennista in crisi di nervi Owen Wilson, ma finisce per sposare un noiosissimo psichiatra. 

Con I Tenenbaum Wes Andreson è diventato Wes Anderson e noi siamo diventati dipendenti da tutti i film successivi confezionati con gli stessi ingredienti e dal risultato mai paragonabile: un cast stellare e indolente, colonne sonore immaginifiche, ambientazioni assurde e dialoghi fatti per essere guardati. Quello che tra i fan di Wes Anderson non si può dire è che nessun treno per Darjeeling né avventura acquatica di Steve Zissou hanno mai eguagliato neanche cinque minuti de I Tenenbaum, che – tra le altre mille cose – ha fatto in modo che nessun potesse indossare una felpa dell’Adidas senza sentirsi il vedovo nevrotico Ben Stiller, vestito uguale ai due figli gemelli e fissato con la sicurezza dopo aver perso la moglie in un incendio.

“Con chi vorresti festeggiare i tuoi 40 anni?” ho chiesto settimane fa, con finta nonchalanche. È seguita una frase apparentemente dolcissima che ha preceduto una dialettica al limite della minaccia: voglio solo te e le bambine, niente invitati né feste a sorpresa. Ho ripensato al noiosissimo psichiatra marito di Gwyneth Paltrow. Solo giorni fa, spulciando le fotogallery del ventesimo anniversario, ho realizzato che era Bill Murray. Mai sottovalutare le cose che si possono scoprire negli anniversari a cifra tonda. 

domenica 10 ottobre 2021

Sistemiamo l'inglese

Da Ticino7 del 9 ottobre 2021 

Con gli amici più fidati condivido una frase in codice, il campanello d’allarme che ciascuno sente suonare quando l’altro, consapevolmente o meno, si lamenta della propria vita e degli obiettivi mancati in anni di studio e di lavoro e, in uno slancio di reattività che cerca di far passare per risolutezza, proclama: “Mollo tutto e vado via per un po’ a studiare l’inglese”. 

Succedeva spesso poco dopo la fine dell’università, quando, esaurito l’entusiasmo per gli stage sottopagati che promettevano tanta esperienza, iniziavano i lavori in cui l’esperienza dovevi applicarla e il mercato appariva all’improvviso tutt’altro che entusiasmante. In quei contesti periodicamente ci sentivamo non apprezzati, al contrario di quanto succedeva agli ex compagni di studio, che sembravano aver trovato il proprio posto mentre noi annaspavamo nella perenne insoddisfazione. Allora, in quei momenti, nelle chiamate agli amici per sfogarsi ecco il sogno: sistemiamo questa lingua che mastichiamo senza padroneggiare, basta far pratica guardando le serie in tv, prendiamo il torno per le corna. Abbiamo salvato più volte almeno un paio di amici dal “mollo tutto e sistemo l’inglese”, lo stesso hanno fatto loro con noi. Inserisco nel novero anche quelli che volevano imparare il francese o disseppellire il tedesco. 

Anni dopo, a università finita da un pezzo, quell’analogo slancio si sposta su un tema nuovo, apparentemente più adeguato all’avanzare dell’età e della carriera: “Basta, mi metto in proprio”. Qui il miraggio è la flessibilità, la libertà, la possibilità non tanto di realizzare un sogno nel cassetto, ma di costruirne uno per metterci dentro il primo sogno che capita. Ancora una volta chiamiamo gli amici, chiediamo consiglio, ci lamentiamo della nostra inconcludenza, sempre sbirciando i traguardi degli altri sui social. A quest’età fingiamo di perdere meno tempo su Instagram e stiamo su LinkedIn, in quella popolazione di mobile evangelist, digital enthusiast, visionar enterpreneur, manager e head of. 

Trovare una strada, incanalare le energie in qualcosa di davvero costruttivo, che porti a costruire quello che si desidera più che a distruggere la credibilità di quello che c’è. Per questo, davvero, ci vogliono dei veri best friend. Perché prima o poi, sistemato o no, l’inglese si impara a usarlo per ciò che serve.


Dieci minuti per tutto

Da Ticino7 del 2 ottobre 2021 

Giulia è una tonica signora di mezz’età con un passato di surgelati seppellito da ventiquattro comode rate a tasso zero. Il robot da cucina che oggi mi sta presentando (spoiler inutile: me l’ha venduto) è diventato prima il suo alleato in casa e poi io suo lavoro a tempo pieno. Il primo figlio l’ha tirato su a pane confezionato e bastoncini Findus, l’ultimo porta a scuola tegolini fatti in casa dalla mamma, perché con questo marchingegno il pan di Spagna si fa in dieci minuti e i bambini, se li tiri su con i sapori genuini, le merendine te le tirano dietro. Sull’onda del pan di spagna in dieci minuti, il sugo in altrettanti, il riso un po’ di più con l’inestimabile vantaggio di dimenticarsene, Giulia ha lasciato il lavoro a tempo pieno in una multinazionale per darsi a sessioni di presentazione e formazione, guadagnando l’agognata flessibilità e soprattutto soddisfazioni senza pari. Perché una donna a cui hai insegnato a fare il budino in dieci minuti e a pianificare la spesa settimanale tramite app in altri dieci minuti, non sarà solo una cliente, ma una devota estimatrice. 

Le altre invitate alla presentazione ascoltano a bocca aperta. Immaginano un futuro radioso. Ogni volta che nessuno risponderà alla fatidica domanda “cosa cuciniamo oggi?”, ogni volta che qualche distratto componente della famiglia dirà “quello che vuoi”, ritornando ad armeggiare con il telefono e facendoci ripiombare nella solitudine di quella che ha un mestolo in mano e non vuole decidere nulla, ma solo togliersi un’incombenza; ogni volta basterà accendere il robot da cucina, digitare il nome di un qualche avanzo rimasto in frigorifero oppure chiedere suggerimenti a caso. E non solo lui avrà una risposta. Non solo mostrerà centinaia di ricette selezionate per noi, ma ci seguirà passo passo, avvisandoci con una musichetta ogni volta che è tempo di passare allo step successivo della ricetta. Ci ascolterà, troverà una soluzione e ci seguirà.

Io non lo so se faremo mai davvero il sottovuoto, il formaggio, il dado fatto in casa. Non lo so se questo è un ultimo tremendo effetto collaterale di questa pandemia che ha ribaltato tutto. So che ho dieci minuti per il pan di spagna, dieci per gli addominali, dieci per sistemare il guardaroba, dieci per curare le piante sopravvissute all’estate, dieci per leggere un paio di pagine. E tutto il resto del tempo potrei usarlo per mangiare il pan di Spagna.


Tutti i corsi del mondo

 Da Ticino 7 del 25 settembre 2021 

A questo punto del mese di settembre i giochi sono fatti e le iscrizioni finalizzate. Passati i mesi estivi a prenotare prove e prendere appuntamenti, settembre scivola via tra valutazioni e decisioni. La bambina con il sogno dell’atletica è stata accontentata senza che in famiglia nessuno si prendesse la briga di capire dove potesse aver pescato un’idea sportiva tanto spinta. La grande prosegue coi fondamentali già confermati: equitazione (unico sport che consente outift realmente presentabili) e calcio. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, raggiungiamo il traguardo anche con il corso di teatro, quest’anno approvato di slancio dalla piccola di casa. A entrambe, al grido di “questo non è uno sport da scegliere, bensì un obbligo”, viene imposto il corso di nuoto. Ortopedici e dentisti frequentati nell’ultimo anno hanno spazzato via l’approccio rilassato di due anni fa e ora siamo nella pletora dei genitori che raccomanda “lo sport più completo” perché “non basta stare a galla”. Le convinciamo con lezioni individuali, comodissime mentre anche la mamma può nuotare sacrificando quello che in altri tempi sarebbe stato un sabato di shopping. Il conto è salato ma ortopedici e dentisti saranno fieri di noi. L’entusiasmo per atletica, selvaggio sulla carta, non sopravvive a cinque minuti di realtà. I protocolli anti Covid impediscono ai genitori di entrare ad assistere, l’uscita dell’atleta in erba è sufficiente a capire tutto: “Una cosa da pazzi, si corre troppo in questo sport. Ma sai quanto è lungo un campo?”. 

Giunti alla fine del mese con una sola vittima (atletica, appunto), facciamo i conti. Le cifre sono alte, ma mai quanto i rischi. Ogni palestra, piscina o centro che abbiamo frequentato in questi giorni di matte e disperatissime valutazioni, ci teneva a chiarire subito una cosa sola: quest’anno niente voucher o possibilità di recuperare lezioni perse per cause di forza maggiore (nessuno dice pandemia, la segretaria della palestra sorride e fa simpaticamente le corna, esorcizza il terrore porgendoti un foglio da firmare che come titolo dovrebbe avere “sono tutti cazzi vostri”). Proviamo a farci mettere per iscritto dalla maestra di teatro che comunque vada si continuerà, siamo disposte a portare i bambini nel cortile innevato pur di scongiurare le lezioni su Zoom. Nessuno ci garantisce niente. Simpaticamente fanno tutti le corna. Quest’anno sono tutti cavoli nostri. Benvenuti nella giungla.

Fantacalcio, i gonfiabili degli adulti

Da Ticino7 del 18 settembre 2021

 Il lievito facilmente disponibile nei supermercati, le scorte di farina stabili in casa, l’abitudine di avere sempre in tasca una mascherina da indossare alla bisogna sostituita da quella di dimenticarsela sempre più spesso (e doverne comprare di nuove). Ma forse il segnale più grande che siamo in una fase nuova è il rinnovato entusiasmo dei maschi. Che hanno smesso di essere nervosi smart worker a tempo pieno e ritrovano vecchie passioni quasi sepolte e incomprensibili ai più: il fantacalcio.

Condividono la convocazione con la solennità di una riunione di condominio cruciale: “Non aspettarmi, mercoledì c’è l’asta”. Si preparano, non rispondono al telefono, le donne restate in casa a governare la prole li immaginano come Fantozzi in canotta di fronte alla tv con birra ghiacciata e rutto libero, ma chi li ha visti da vicino dice che c’è qualcosa di più. Nessun relax, nessun abbandono degli istinti: qui il tifo dev’essere governato dalla strategia, dalla competizione dall’agonismo matto e disperatissimo di chi deve ad ogni costo avere la formazione vincente. Durante la settimana, poi, si accusano a vicenda di essere diventati tifosi della propria fanta formazione più che della propria squadra del cuore.

Alcune di noi, privilegiate proprietarie di case grandi e non sovrappopolate, sono chiamate ad ospitare le aste che si svolgono in presenza. Nei giorni precedenti chiedono consigli su cosa preparare a cena per cotanta competizione: suggeriamo cose nutrienti, soddisfacenti ma soprattutto semplici da mangiare. Come se dovessero prendere la borraccia con una mano sola in bicicletta mentre scalano il Monte Bianco. Chi li ha visti da vicino dice che le similitudini con i compleanni dei bambini si sprecano: percepiscono la solennità della situazione, si ingozzano con voluttà per poi lasciarsi andare. Diventano a tutti gli effetti minorenni ai gonfiabili, con l’unica differenza che tolgono le scarpe (se gli adulti in casa lo permettono) senza indossare gli antiscivolo. Danno il peggior spettacolo di sé abbandonandosi agli istinti più vitali. A guardarli, accomodati nelle sedie dedicate a chi non entra e non toglie le scarpe, adulte attonite e curiose. Scandalizzate ma allo stesso attratte da una gioia tanto selvaggia e incomprensibile. 

Cosa diresti al te stesso di dieci anni fa?

Da Ticino7 dell'11 settembre 2021

Cosa diresti al te stesso di dieci anni fa? La domanda, tra le più gettonate nei box di Instagram che gli influencer caricano periodicamente nei propri profili per farsi sentire più vicini dai propri follower e soddisfare le metriche dei social assetate di engagement, è tutt’altro che noiosa. 

Quasi tutti gli influencer che ho visto rispondere, che siano muscolosi, bellissime, consapevoli paladine dei diritti o mamme blogger impegnate, raccontavano che avrebbero raccomandato soprattutto tranquillità, approccio sereno, niente ansia, fiducia nel fatto che la felicità arriva a chi sta bene con se stesso e apprezza la bellezza nascosta in ogni giornata. È incredibile, mi dico ogni volta, quanti buoni sentimenti inondino Instagram. Viene quasi da rimpiangere le gare di rutti su TikTok.

Io alla me stessa di dieci anni fa avrei suggerito di non piegare nel guardaroba quella meravigliosa borsa di Vivienne Westwood che oggi un calzolaio gioielliere e filosofo ritiene difficilissima da riparare. Avrei anche suggerito di studiare meglio l’inglese e non seppellire il tedesco. Avrei suggerito di non rispondere a certe telefonate e di rispondere ad altre. Avrei suggerito persino di richiamare qualcuno, di scrivere lettere di dimissioni al momento giusto, di organizzare fughe oltre oceano, di adottare il gattamortismo in dosi sufficienti a fare di me stessa se non proprio una sfasciafamiglie almeno una discreta stronza. Avrei suggerito di rischiare e di non preoccuparsi. Alla me stessa di dieci anni fa avrei anche raccomandato di leggere più libri classici e di vedere più film importanti. Perché – si sa – arriva un momento della vita in cui ci si rende conto della propria ignoranza. Alla me stessa di dieci ani fa, e qui concordo con la vulgata degli instagrammer, avrei suggerito anche di essere più tranquilla e positiva. Molte di noi alle loro stesse di dieci anni fa avrebbero suggerito di criticare meno e crederci di più. Di comprare Prada e Bottega Veneta, che hanno ancora un futuro nel mercato dell’usato invece di continuare a fare le alternative con Marni e tutti quei marchi non pubblicizzati. 

Gli amici interpellati concordano, tutti accomunati da questa smania tipicamente post quaranta di rivedere le proprie scelte e di farsi esami di coscienza. Tutti concordano. Soprattutto sul fatto che dieci anni fa non sono abbastanza: dovremmo fare due parole coi noi stessi di venti anni fa. Almeno.


Quante poche stories in vacanza

Da Ticino7 del 4 settembre 2021 

Il cellulare ha sostituito facilmente la Settimana Enigmistica in bagno e sotto l’ombrellone. La vita degli altri ci scorre davanti come un film troppo veloce senza sottotitoli: Chiara Ferragni in barca, l’Estetista Cinica a Porto Venere a crucciarsi perché dovrà trattenere la pancia per entrare nel vestito del red carpet di Venezia. Mezzo mondo a Marzamemi, un’altra metà in Grecia a scoprire che è bella quasi quanto l’Italia. Ex colleghi a Scicli, famiglie felici a Riccione. Famiglie spezzate al mare. Non sono a Marzamemi. Perciò sono in Puglia. Le compagnie numerose vagano tra agriturismi sparsi in Umbria e Toscana. Poi però ogni nucleo famigliare si sposta al mare. La Sardegna è sempre in testa. La barca è una grande scoperta anche per i non ricchi di nascita. Paolo Stella, influencer e tante altre cose, ha costruito una casa meravigliosa a Cefalù. Sicilia, ancora. Chiara Ferragni si sposta a Capri e mangia degli ottimi spaghetti alle vongole, le sorelle pubblicano analoghe foto dal ristorante. I cannoli siciliani hanno fatto ingrassare tutti. Sicuramente quelli di Marzamemi. Alcuni si lamentano infatti di essere ingrassati e cominciando a tornare a casa ci ammorbano con i propositi detox. Qualcuno tira il fiato in montagna, mostrando il maglione “di cotone pesante” dello stilista che ci svelerà nella prossima stories. Quasi tutti abbiamo scoperto l’Afghanistan. Dolore, rabbia, invito a seguire quei giornalisti che raccontano l’esodo tremendo dal loro telefono, tanto di cappello a quegli influencer che sensibilizzano il popolo. Raccolte fondi, swipe up per donare. Poi di nuovo Marzamemi, la spazzatura di Noto, le denunce di Selvaggia Lucarelli in Sicilia. Il rientro in città, il freddo, la canottiera.

Qualcuno mi ha chiesto se siamo stati in vacanza, quest’anno. L’assenza di stories con sfondo di mare cristallino deve essersi fatta notare. Il paradosso è che quello che non vediamo nel telefono (o meglio nei social, che frequentiamo con somma indolenza) non esiste, mentre quello che lì vediamo ci sommerge fino a diventare irrilevante. Dice: devi seguire le persone giuste, quelli che hanno qualcosa di interessante da dire. Dico: realmente qualcosa può emergere dal mucchio per restare? Davvero sentir parlare di Afghanistan o di letteratura può trasformare in produttivo il nostro scrolling compulsivo sul water o sul tram? Dicono che sono la solita cinica. Però ammetto che Marzamemi è bellissima e gli spaghetti con le vongole una bontà.

Il diario di Chiara

Da Ticino7 del 28 agosto

La cartoleria vicino alla scuola ha fatto i saldi a luglio, prima di chiudere e riaprire in attesa del periodo più temuto dalle madri di ogni latitudine: il back to school. Un momento che le persone normali non conoscono e non attendono. Perché le persone normali fanno un paio di settimane di vacanza in estate e poi tornano alle consuete faccende, mentre chi gestisce dei bambini vive sulle montagne russe per settimane tra campi estivi, vacanze e soggiorni benedetti dai nonni. Back to school significa ritorno alla normalità, ai ritmi di sempre. Riposanti e benedetti come la monotonia. Back to school significa anche spesa per la scuola. Qui le nevrosi variano perché ci sono scuole che a fronte di un contributo forniscono tutto il necessario, dai libri alla cancelleria; altre che consegnano liste dettagliatissime con le caratteristiche che ogni penna e quaderno deve avere. 

Il solito lungo preambolo è per arrivare al punto: come ogni grande leader e interprete del proprio tempo, Chiara Ferragni non ci abbandona in un momento così difficile. E sfodera una linea di diari, quaderni e astucci per tornare sui banchi in grande stile. Pubblicizzata dal soggiorno in Sardegna pochi giorni prima di dare inizio a quel genere letterario e sociologico che sono le foto con i fornitori di servizi a fine vacanza (la foto con l’insegnate di nuoto di Leone, con la massaggiatrice, con lo staff della villa, con i cuochi in una selva indistinguibile di hashtag #adv #supplied che dovrebbero indicare variazioni nel grado di servitù), la linea distinguibile dall’arcinoto occhio azzurro stilizzato, offre tutto l’armamentario necessario per una scuola di successo. Successo nel vero senso della parola.

Il diario è infatti infarcito di esortazioni motivazionali di Chiara: “be your own hero”, “boss babe”, “il segreto è amare sé stessi incondizionatamente”, “il futuro è di coloro che imparano ad essere la versione migliore di sé stessi”. Forse le frasi di Gino e Michele e di Jim Morrison (“Darei la vita per non morire”, sicuramente la hit del genere) della Smemoranda hanno fatto di me la cinica inconcludente che sono, mentre le ragazzine di oggi potrebbero davvero diventare ragazze positive e di successo. Sì, probabilmente il diario di Chiara Ferragni è un’ottima idea. Insieme ad ogni altro diario che ci consenta di sfuggire da quello dei Me Contro Te.