sabato 17 aprile 2021

Il principe Filippo e i ruoli della vita

 Apprendendo della morte del principe Filippo ho pensato alla frase che, due anni fa, aveva fatto finire sulla graticola Amadeus, colpevole di aver definito la modella Francesca Sofia Novello (cito a memoria) una donna bellissima capace di stare sempre un passo indietro rispetto al fidanzato, il pilota di Moto GP Valentino Rossi. Si era scatenato un finimondo per dire che non si può definire una donna rispetto al proprio uomo, che le donne non stanno un passo indietro, che il fatto che una donna sia bella non deve far passare in secondo piano la sua intelligenza.

Ora dimenticate il paragone sanremese volutamente enorme, ma oggi, nel giorno in cui i funerali in forma privata del principe verranno celebrati al castello di Windsor, mi domando se il rispetto che proviamo per lui non sia proprio in questo avere fatto, per decenni, ciò che oggi pochissimi – anche nella famiglia reale – sembrano in grado di fare: assolvere al proprio dovere, rispettare e onorare il compito. 

Filippo è sempre stato un passo indietro, non so per naturale ritrosia, di sicuro per obbedienza al ruolo di marito della Regina che il destino gli aveva dato in sorte. Ho la sensazione che se al suo posto ci fosse stata una donna avremmo tutti sentito il diritto di elencarne i doveri, i pensieri, le azioni collaterali destinate a mitigare il ruolo di “consorte di”. Con il principe Filippo questo è accaduto solo moderatamente. Non c’è vergogna nel ricordarlo come “marito di”. Come colui, lo ha scritto la Regina nel messaggio di lutto, che è sempre stato “la mia forza”. Ricordiamocelo oggi, quando tutti gli obiettivi saranno puntati sugli sguardi tra Harry e il resto della famiglia nel primo incontro dopo l’intervista esplosiva con Oprah Winfrey.

In un mondo in cui tutti devono essere ciò che vogliono, Filippo era di quelli che hanno voluto essere ciò che dovevano. 


domenica 11 aprile 2021

Di elastici, trampolini e regali boomerang

Da Ticino7 del 10 aprile 2021

Non solo il corso di uncinetto, comunque mai popolare come quello di knitting (lavoro a maglia) a quello di cucina, ma anche quello di alimentazione salutare (no, la dieta non si porta più, sa di punizione e noi cerchiamo la consapevolezza). Ultimamente sono bersaglio di tipologie di offerte sempre più motivazionali. È pieno di gente che non vuole vendermi nulla, se non la mia felicità. Saltellavo sul trampolino di Jill Cooper quando ho ricevuto l’illuminazione ascoltando le parole della star del fitness: “Stare bene con il proprio corpo è la cosa più importante”, mi ha spiegato Jill mentre saltellava sul trampolino che ho sapientemente regalato alla creatura per il compleanno. “La forma fisica è solo una conseguenza”, ha detto Jill continuando a saltellare con un esercizio facilissimo per togliere la ciccetta dal punto vita. Volevo ripetere che la conseguenza è ciò che mi ha spinto a pagare tutto in contanti e ad aggiungere, per soli pochi spicci, gli elastici speciali fitness, corredo perfetto al trampolino che occupa metà soggiorno e ci farà odiare dall’inquilino del piano di sotto, ma servirà ai bambini per scrollarsi di dosso un po’ di questi mesi terrificanti e alla mamma per fare altrettanto e tenersi in forma. Divertendosi, ovviamente. 

I tutorial di Jill Coper su YouTube stanno all’oggi come le videocassette dei workout Cindy Crawford negli anni Novanta. Allora ci ritrovavamo tutte insieme per vederla. La supermodella sgambettava in televisione, la promessa era quella di un corpo perfetto, in cambio dovevi dedicare a Cindy almeno un’ora al giorno e una disponibilità al sacrificio senza riserve. Niente traguardi minimi e facilmente raggiungibili, mentre Cindy faceva gli affondi in costumi in riva al mare o in una terrazza di New York, tu sapevi che la tua tuta impresentabile nel soggiorno angusto della tua amica del cuore era il prezzo da pagare per migliorare. Sudare era importante. L’irraggiungibilità di Cindy si nutriva della nostra dedizione: non saremmo mai state come lei, ma avremmo lavorato duramente per provarci. Almeno fino a quel momento. Quel momento magico in cui ci sedevamo sul divano per vedere meglio come faceva l’esercizio. E una andava in cucina a prendere i Kellogg’s (non le patatine, avevamo ancora del pudore). E il pomeriggio finiva così: una scatola di cereali finita mentre discutevamo su come fosse meglio fare gli esercizi. Cindy sgambettava e noi continuavamo a chiacchierare. Chissà se anche il tappeto elastico avrà lo stesso effetto collaterale. 

Dante e i settecento anni di tifoseria

Da Ticino7 del 3 aprile 2021 

Anche i più distratti avranno notato, negli ultimi tempi, un fiorire di iniziative e articoli legati a Dante Alighieri, del quale ricorrono quest’anno i 700 anni dalla morte. In Italia si è pensato di celebrarlo coniando persino il terrificante nome di Dantedì per il 25 marzo, data in cui secondo gli studiosi sarebbe iniziato il celebre viaggio del Sommo nell’aldilà. 

Essere adulti significa anche affrontare gli incubi dell’adolescenza con serenità, pertanto ci accostiamo nuovamente all’opera con l’onestà intellettuale di chi ha superato il ricordo delle notti passate a studiare le parafrasi, capendo quasi tutto all’Inferno e dannandosi trai canti del purgatorio a quelli del Paradiso. Fa parte del gioco, dicevano i professori, Dante eleva il linguaggio progressivamente spingendolo il lettore a compiere un viaggio a propria volta.

Nel fioccare di iniziative per l’anniversario, c’è solo da scegliere dove ricominciare. Sono questi i momenti in cui si benedicono la banda larga, gli airpods e i contenuti meravigliosi che si trovano su Youtube o Spotify, come i podcast di Alessandro Barbero, storico dell’università di Genova ormai diventato icona pop per la capacità di raccontare storie e consentire a gente di mezz’età di recuperare ciò che la memoria (o un’ignoranza più radicata di quanto si pensi) seppellisce.

In questi giorni di celebrazioni dantesche guardiamo con inedita benevolenza anche il padre delle bambine, che si era messo in testa di avvicinarle al Sommo in tenerissima età. Ne era nata la tipica querelle pedagogica tra noi aspiranti montessoriane e il maschio sterminatore di sfumature: mettendole di fronte a tali difficoltà rischi di farle sentire perennemente inadeguate e sai che il bambino è una spugna (l’ho dice l’ultimo post proposto dall’algoritmo) ma non va forzato, le librerie devono essere ad altezza bambino e tu invece sembri volerle posizionare su una scala altissima. Poi è arrivato in casa persino il Dante di Geronimo Stilton e abbiamo alzato le mani. 

Ora la discussione si fa interessante, un po’ come con la professoressa del liceo, quando uscendo dal torpore adolescenziale si alzava la mano in protesta contro la somma ingiustizia d’aver posizionato Achille, Paolo e Francesca e prima di tutto l’amato Ulisse tra le fiamme dell’inferno. Un po’ affrontiamo Dante come una puntata di Amici, un po’ ci stupiamo del suo aver creato, settecento anni fa, situazioni che ancora oggi ci scaldano e ci coinvolgono. E oggi anche le bambine sono dalla nostra parte: “Bè, dai era certamente più colpa di Paolo che di Francesca e Achille, in fondo, faceva soltanto bene il suo lavoro di soldato!”.


L'era della suscettibilità e le colpe di Sissi

Da Ticino7 del 27 marzo 2021

 “Alla gente è stato insegnato a concepire un libro come uno specchio, invece che come una porta – o una finestra, insomma: un modo di guardare fuori”. La citazione di Fran Lebowitz è utile a spiegare perché L’era della suscettibilità (Guia Soncini, Marsilio) è un libro diverso da ciò che pensavamo fosse. Qui s’era pronti a lodare la capacità di tirare al respiro d’un saggio ciò che poteva essere detto nello spazio di uno degli articoli di giornali cui l’autrice c’ha abituato: il mondo d’oggi fa infinitamente pena con questa sua smania che ogni cosa sia innocua per non offendere nessuno e di gente pronta a offendersi, signora mia, oggi ne abbiamo a palate. “Sotto la notizia d’uno studio sul vaccino per il Coronavirus, i lettori del New York Times commentavano che il nome Imperial College offende i paesi che furono colonizzati dall’Impero britannico. Forse eravamo scemi anche prima, ma non potevamo notificarlo al giornale che leggiamo e al resto del mondo ogni volta che ci portavamo in bagno il telefono”.

Le notizie sono quelle che leggiamo di frequente, alzando gli occhi al cielo come si fa con le cronache dell’assurdo. Come quando la Disney rende disponibili in streaming vecchi titoli come Gli Aristogatti, ma per non incorrere nelle ire degli indignati perenni (i suscettibili, li definisce Guia Soncini) inserisce un disclaimer (trigger warning): “Questo programma include rappresentazioni negative e/o maltrattamenti di persone o culture”. La scrittrice J.K.Rowling viene accusata di essere transfobica per aver twittato in difesa di Maya Forstater, licenziata per aver detto che il sesso biologico esiste. Soltanto pochi giorni fa negli USA Condè Nast revocava l’incarico alla direttrice designata di Teen Vogue, Alexi McCammond, in seguito alle proteste per dei tweet offensivi contro le minoranze etniche pubblicati anni prima e poi cancellati. Le scuse non bastavano, soprattutto dopo che uno dei maggiori inserzionisti del giornale aveva ritirato gli assegni. Non è una tirata lagnosa in favore della libertà di espressione, piuttosto un manuale (Soncini si prende l’ingrato compito di spiegare termini come cancel culture, mansplaining, hate speech, slut shaming) disseminato di riferimenti pop imprescindibili. A un certo punto capirete perché è tutta colpa di una pubblicità L’Oreal degli anni Ottanta, di Lady Diana e della principessa Sissi. Il perché non ve lo anticipo: gli odiatori di spoiler sono particolarmente suscettibili. 



La duchessa e i calzini del principe

 Da Ticino7 del 20 marzo 2021

 “Io adoro le nonne”. Meghan Markle ha un tono giulivo mentre racconta di aver risposto in questo modo ad Harry dopo la proposta di incontrare la nonna e prima di apprendere che il protocollo richiedeva un inchino. Del resto, come lei stessa ha detto nella lunga intervista rilasciata ad Oprah Winfrey insieme al marito, non aveva mai googlato il suo amato. Il fatto che fosse un principe e che la nonna si qualificasse come Regina poteva legittimamente esserle sfuggito. Come ogni capolavoro, l’intervista è un tale insieme di ingenuità, perfidie e assurdità da risultare imperdibile. 

Antropologi ed esperti di politica estera, a rapporto: ci vorreste voi per commentare il candore con cui la giovane accusa di rigidità la monarchia inglese (un’istituzione che probabilmente la rigidità l’ha inventata, come ha scritto qualcuno) e l’assoluta tranquillità con cui sostiene di essere una donna di mondo, perciò abituata a incontrare gente famosa, “sai, vivo a L.A. e qui si incontrano continuamente celebrities”.

Psicologi a rapporto: nessuno a Palazzo, a detta dei due duchi riparati Oltre oceano per sfuggire alla trappola della Monarchia, si preoccupa di come ci si sente, solo di come si appare. E qui arriva il passaggio più esplosivo e problematico per i reali, secondo cui un imprecisato membro della famiglia avrebbe espresso preoccupazioni razziste sul colore della pelle di Archie. 

Harry racconta di aver cercato di incontrare la nonna, ma l’appuntamento prima confermato sarebbe stato annullato per i troppi impegni della Regina. “Quindi la Regina non fa ciò che la Regina vuole?” chiede Oprah maliziosa, giocando su un immaginario pubblico fatto di principesse sul pisello e regine di cuori onnipotenti e ansiose di tagliare teste. 

Eppure, forse la notizia più esplosiva è che guardiamo Meghan e Harry con l’accondiscendenza che si riserva agli innamorati: gente priva di senso del ridicolo, abituata a raccontarsi ciò che vuole e circondata da gente che aveva capito tutto da tempo ma mai si era premurata di dirgli la verità. E la verità, tesoro mio, è che avevi sposato un principe e oggi ti ritrovi con un marito con il calzino a metà polpaccio. O forse è questo il prezzo da pagare per averlo portato in un paese pieno di costumisti ma povero di cerimonieri? 



Orietta, il liscio e il mare

Da Ticino7 del 13 marzo 2021

Nella più completa e totale incoscienza, abbiamo iniziato a prenotare pezzi di vacanze. Oggi le foto di quella casa sul mare ci rendono forti e speranzosi, insieme alle giornate che si allungano. Su quel terrazzo che ricorda quello di Montalbano fantastichiamo di chiacchiere, calici di vino e sigarette a notta fonda. Sappiamo che è molto più probabile che quel mare impetuoso ci veda addormentate prima del tramonto e lo consideriamo comunque un lusso. C’è stato un momento imprecisato dell’inverno in cui abbiamo capito che prenotare ci avrebbe dato forza. E oggi che tremiamo nel pensare cosa ci riserverà il futuro, sappiamo che aver riservato ci dà speranza; un po’ come la giacca leggera comprata pochi giorni prima di essere rinchiusi in casa. 

Quella stessa ingenua speranza che, a ormai una settimana dalla chiusura del festival di Sanremo, ci ha trasmesso Orietta Berti, già destinataria di tutto il nostro entusiasmo prima dell’apertura delle danze. Dal duetto Maneskin-Manuel Agnelli ci aspettavamo i sentimenti strappa mutande che in effetti si sono scatenati, dall’usignolo di Cavriago l’eleganza che abbiamo avuto. “Grazie Amedeo”, ha detto salutando dopo l’esibizione della terza sera. Come quelle zie che ti guardano accondiscendenti quando ti fai il ciuffo di capelli strano e ti fai chiamare in un modo nuovo, magari Amadeus come il conduttore di Sanremo, ma per loro resterai sempre il tuo nome di battesimo. Orietta e con lei i meravigliosi Extraliscio ci hanno fatto venire voglia di qualcosa di antico che oggi appare più rivoluzionario che pensare alle vacanze: ballare.

Coi loro brani da balera ci siamo immaginati alla sagra della tagliatella sulla Riviera Adriatica oppure a quella della bistecca nelle colline dell’entroterra marchigiano. Seduti sulla panca intorno ai tavoli condivisi rivestiti di carta, con il bicchiere basso di vino e le tagliatelle al sugo trangugiate prima di scatenarsi a ballare, restando – noi giovani o presunti tali – a lato della pista, perché il centro è dei vecchi, quelli che si allenano tutto l’anno e volteggiano con una grazia senza pari guardandosi negli occhi, mentre noi fantastichiamo di quanto debbano essere innamorati per farlo. A loro il nostro sentimentalismo non interessa, sanno che il segreto è restare occhi negli occhi senza mai guardare i piedi. Fissare lo sguardo su ciò che dà la direzione, può essere anche una serata in riva al mare.