venerdì 16 dicembre 2011

I duri di un tempo

I mesi che gli hai dedicato non si contano. Le ore a decifrare i silenzi infiniti, fingendo che non facessero male neanche un po', ma che fossero un passaggio fisiologico e obbligato. I messaggi mandati a vuoto. Le compilation sprecate associando a quegli occhi di ghiaccio ogni canzone, dando nomi in codice ad ogni playlist. Le serate sorseggiando birre che ogni volta promettevano di essere quelle definitive, quelle dell'epifania in cui il maschio dal cuore duro come la sua pellaccia finalmente si rivela e scorrono i titoli di coda sul bacio più tenero della storia. E invece quelle birre sono finite tutte senza titoli di coda né sigla da canticchiare sotto la doccia. Il lutto domina fino al giorno in cui ti guardi allo specchio e pensi alla parte più costruttiva di quella mitologica canzone di Lucio Dalla, la estrapoli dal contesto dei lamenti che spaccano il cuore e la usi per affermare che in fondo è vero: “d'amore non si muore”. E infatti eccoti qui, viva, vegeta e interessata ad altro. Passan dei mesi, forse degli anni e tu stai già meditando di incartare regali per un tizio per bene. E lui ritorna. Come se certe birre si potessero bere di nuovo, certe playlist ricostruire, certi nastri riavvolgere. Dice che lui ha capito, che lui ha scoperto i suoi sentimenti. Peggio: lui ha scoperto di avere un cuore e ha persino deciso di usarlo. E magari tutto questo bastasse a riflettere sul tempismo crudele e sempre sfasato dell'amore. Magari. Invece torna, riappare, telefona. Insomma scoppia di quell'amore che tu una vita fa elemosinavi. E d'improvviso, non solo non fa nessun effetto ma è enormemente imbarazzante. È un imbarazzo che prima ancora è uno smarrimento culturale: cosa resterà di un tempo in cui i duri diventano dei teneroni e i titolo di Stato diventano degli investimenti ad alto rischio?

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