domenica 4 luglio 2021

Siamo tutti bravi a educare i figli degli altri

 

Da Ticino7 del 3 luglio 2021 

“Due anni, ritrovato vivo dopo 36 ore da solo nei boschi”. Ci sono storie di cronaca che bucano il torrente di immagini e parole con cui siamo bombardati tutti i giorni. Una decina di giorni fa è successo con il caso di questa notizia. Nicola, 21 mesi e una vita in campagna nell’Appenino tosco emiliano con mamma, papà e fratellino, viene messo a letto prima di cena e scompare. I genitori si accorgono della sua mancanza intorno a mezzanotte, lo cercano fino alla mattina e solo allora danno l’allarme. Passa un numero interminabile di ore fino a che un giornalista, inviato di una tv, ritrova il bambino in fondo a un dirupo: qualche graffio, tanta paura, ma sta bene. Riabbraccia finalmente la mamma. Ma nelle foto si vede che ha i sandali ai piedi, gli inquirenti indagano sul motivo dell’allarme dato in ritardo dai genitori. Qualcuno avanza dei sospetti: troppe cose che non tornano, troppo strana la vita di quella famiglia che abita nell’appennino tosco romagnolo in mezzo al nulla, curando le api. 

Scatta più o meno inconsciamente il riflesso condizionato di noi tutti bravi a educare i figli degli altri. Noi sì, che avremmo installato una recinzione intorno a casa, spogliato il bambino prima di metterlo a letto, chiuso la porta a chiave, chiamato immediatamente le forze dell’ordine. Noi sì, che non vivremmo mai in un posto in cui non prende neppure il cellulare e la banda larga è un sogno. Noi sì, che avremmo fatto le cose giuste. E non è solo il senno del poi, gli stessi genitori di Nicola tornando indietro hanno detto che si sarebbero comportati diversamente, ma la sindrome di saper sempre cosa fare quando i figli non sono i nostri.

I nostri che hanno rischiato di buttarsi dalla tromba delle scale, i nostri con cui abbiamo corso per entrare in metropolitana, rischiando che entrasse il passeggino e restassimo fuori noi, i nostri che sono vivi e vegeti per miracolo. Come noi del resto: mandati all’asilo senza mutande, portati in macchina senza cintura, infilati nella sottocoperta di un gommone anni Ottanta quando s’era deciso d’andare in mare nonostante le onde.

Miracolo. È una parola che in molti hanno scomodato nella vicenda del piccolo Nicola. Sì, io credo che sia un miracolo. Solo per un miracolo i nostri figli possono sopravvivere a quell’impasto di buone intenzioni, idiozie, imperfezioni e amore che è l’essere genitori. È un miracolo amare e lasciarsi amare.

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