Da Ticino7 del 19 aprile 2019
Della macchina di mia madre ricordo il rumore ad ogni curva
dei cd sistemati nella tasca dello sportello, che facevano impazzire mio padre.
Si narra, come in ogni epica il racconto si confonde con il sogno, che
all’ennesimo viaggio con quei rumori di sottofondo, lui abbia tirato giù il
finestrino, esasperato, per buttare fuori tutto quello che si muoveva in quella
macchina non sua. La storia riporta anche di sacchetti della spazzatura
trasportati giorni intera, nella più completa distrazione della guidatrice,
fino all’arrivo di lui. L’uomo che non vedrebbe un prete nella neve e che non è
in grado di assemblare una moka del caffè, quando si tratta di automobili
diventa un incrocio tra Sherlock Holmes e MacGyver.
È evidente che ho già smesso di parlare dei miei genitori e
ho iniziato a parlare di noi e, somma ambizione della rubrichista, anche di
voi. Perché possiamo essere belli o brutti, pigri o vivaci, innamorati o delusi,
ma sappiamo che non c’è niente di più privato dell’automobile. Pensatelo lunedì
mattina, quando il vostro vicino di semaforo si starà esplorando il naso in
attesa del verde. O quando la signorina in procinto di ingranare la marcia tirerà
fuori il rossetto per un ultimo ritocco guardando lo specchietto. O quando
vostro marito vi farà vergognare gridando dietro ai pedoni che vanno troppo
lenti sulle strisce pedonali. C’è un posto in cui ci permettiamo di essere più
vergognosamente, bestialmente e impresentabilmente noi stessi che non sia
l’auto?
Quelle di noi che si mettono al volante la mattina dopo aver
lanciato i bambini a scuola agganciano il telefono al vivavoce come un
prigioniero affronta l’ora d’aria. Venti minuti di strada per chiamare la
mamma, mandare un vocale alla tata perché prepari un sugo salvavita,
chiacchierare con l’amica del cuore senza che nessuno si senta autorizzato a
disturbare con richieste di qualcosa da prendere, aprire, pulire, trovare.
Il mondo non si divide tra chi in macchina si preoccupa del
crick e chi delle salviettine Fresh and Clean, ma tra chi la macchina la usa
per spostarsi e chi la venera come pied-à-terre. I bagagliai dei primi sono
puliti e dotati di cassetta degli attrezzi. Quelli dei secondi contengono un
cambio completo, la borsa del calcetto, i giochi dei bambini, i vestiti vecchi
da smaltire in qualche centro per l’usato. Soprattutto: perché usare il
bagagliaio quando ogni cosa può essere agilmente raggiunta se posizionata sul
sedile posteriore? La prova che l’acqua non scade l’abbiamo avuta più volte
d’estate, attaccandoci avidamente alla bottiglia d’acqua che giaceva da mesi
sotto il sedile del guidatore.
L’altro tema da affrontare è la guida. Non prima di aver
fatto una premessa importante: l’unica vera differenza genetica tra maschi e
femmine si vede nella marcia indietro: nessuna donna di mia conoscenza sa fare
la marcia indietro diritta come la fa un uomo. Fatta eccezione per questo
piccolo dettaglio insignificante (gli uomini non possono che eccellere in
qualcosa di utile soltanto a dimostrare la loro perizia, ma senza nessuna reale
ricaduta pratica di peso), il vero pericolo è il pilota che “ha frequentato un
corso di guida sicura”. Fate qualche kilometro come passeggero di un “pilota
sicuro” e pregherete di non essere mai salite sulla sua auto. Può essere un
uomo o una donna, ma giura che professionisti del settore gli hanno insegnato
che è estremamente sensato frenare fino all’ultimo secondo, sballottare il
passeggero nell’abitacolo e sgasare come forsennati. Di sicuro, in questi
corsi, ci deve essere almeno il vaffa finale.
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