sabato 1 maggio 2021

Su cosa dovremmo piangere, se non su latte versato?

 Alla bambina che torna a casa con un brutto voto diamo una carezza nell’esatto momento in cui la spingiamo a guardare avanti. Da Ticino7 del 24 aprile 2021

Quelle lacrime devono diventare carburante per studiare di più, scrivere meglio, evitare le orecchie ai quaderni, avere una grafia più comprensibile e così via. Essere genitori, lo dico spesso, significa predicare perfettamente nell’esatto momento in cui ci si accorge di non avere neppure la forza per razzolare. Lo stesso vale con gli amici e con l’assortita gamma di delusioni di cui dobbiamo occuparci nel corso degli anni. Elenchiamone alcune, per aree tematiche: la vita di coppia (“capisci, non è solo che lui non è più quello di una volta, è che lui è sempre stato così e io dov’ero? Non me ne accorgevo?”); la delusione amorosa (“Ho sposato un’altra ma ancora giro la faccia dall’altra parte se lei, bellissima e con i figli per mano, si presenta sulla mia strada”); la delusione lavorativa (“Ho quarant’anni passati, non ho ancora scritto il libro della vita, non so l’inglese come vorrei e tutti sembrano avere lavori più interessanti del mio”); l’invidia sociale (“È imbarazzante, lo so, ma ogni volta che vedo qualcuno che posta foto in case grandi dotate di giardini e terrazzi mi viene il sangue amaro”). 

Agli amici diciamo che è importante farsene una ragione. Ai figli diciamo di reagire e di imparare dai propri errori. Ora, rivendico con orgoglio l’esortare gli altri a fare cose che noi stessi non riusciamo a fare, ma non posso fare a meno di domandarmi (come una Carrie Bradshaw dei poveri): quando, esattamente, abbiamo iniziato a confondere l’affetto con il coaching?

Quando, esattamente, abbiamo dimenticato che la cosa più preziosa sono gli amici che non hanno niente di saggio da dirti? In qualche momento della nostra vita dobbiamo aver pensato che voler bene significasse dire sempre le cose giuste come esortare a guardare avanti, passare oltre e imboccare il portone aperto da quello che potrebbe essere un duro ma in fondo provvido destino. Persino noi, per natura contemplatori malinconici e disperati delle porte che si chiudono, diciamo agli altri di comportarsi com’è giusto e di farsene una ragione. Quando la prima cosa ragionevole sarebbe dire che non c’è cosa più sacrosanta, giusta e liberatoria che piangere. Piangere. Piangere e piangere. Specie sul latte versato. Quanto meno per imparare che le lacrime possono finire.


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