domenica 26 novembre 2017

Di vite digitali

Dal Giornale del Popolo del 13 ottobre
Mi autodenuncio: ho partecipato a un workshop sull’imprenditoria digitale femminile. Non starò a mettere in campo le attenuanti, che pure sono tutte verissime e valide. Non vi dirò che sono stata costretta a farlo, che mi sono seduta in prima fila perché c’erano posti vuoti da riempire, che ho fatto partire gli applausi del pubblico per compiacere il mio capo. Non vi dirò tutto questo perché tutto questo non mi giustifica e non mi assolve. Ho ascoltato tutto quello che una donna di successo ha raccontato sulla sua vita digitale e su come ha fatto a fare della propria vita un mestiere. Rispetto ad altri casi analoghi l’ho trovata anche simpatica e piacevole e l’ho ascoltata. Ha raccontato di come abbia deciso di raccontare al mondo (cioè al web) tante fasi della sua vita: dalla nascita dei bambini alla ristrutturazione della casa, passando per l’organizzazione delle ferie. Il video che ci ha fatto vedere raccontava alcune di queste cose e ovviamente ogni passaggio includeva il logo di un marchio che, si deduceva, aveva offerto i propri beni e servizi in cambio di quella visibilità. Dunque noi presenti abbiamo dedotto che tutto questo le permetta di guadagnarsi la pagnotta. Sono sicura che molte di noi, quelle che erano lì per caso e quelle che erano lì di proposito, hanno pensato: perché non io? Cosa mi manca per fare una cosa del genere? Non più tardi di qualche giorno fa, del resto, un insospettabile mi ha proposto di farmi pagare i post su Instagram. Ecco, sarà che questo ottobre mi porta a riflessioni profonde, ma mi sono domandata: quand’è che abbiamo deciso che l’unica via d’uscita a questa crisi fosse quella di trasformare la nostra vita in un lavoro? E soprattutto: durerà abbastanza perché anche i più somari come me imparino a guadagnarci?



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