Dal Giornale del Popolo del 6 ottobre 2017
Mia nonna – l’ho detto più volte – indossava scarpe con il
tacco anche in montagna. Ricordo perfettamente le scarpe da tennis con zeppa
che la accompagnavano nelle gite tra i monti con i nipoti che si era portata
dietro nella vacanza in montagna con la parrocchia. Tra quei nipoti c’ero
ovviamente anche io, la più piccola di tutto il gruppo. Da piccola le chiedevo
di fare pomodori gratinati in quantità industriale così che li potessimo
congelare e non rimanere senza dopo la sua morte. Da giovane faceva di giorno
la parrucchiera e di notte la sarta e nel mezzo cresceva tre bambini tra cui
mio padre, che da piccolo voleva fare il prete. Un giorno lui tornò a casa dal
seminario un po’ ombroso e lei capì subito che la vocazione non ce l’aveva più.
Fu lei a farglielo capire e a farlo capire a mio nonno. Si dice che una volta
mio nonno le abbia fatto una scenata di gelosia. Lei ha scioperato in cucina
per tre giorni finché lui non è tornato a Canossa. Morto mio nonno ha avuto
numerosi pretendenti che ha respinto in malo modo come faceva con tutti. Non
era dolce né tenera. Una volta io e mia sorella protestammo perché non avevamo
in casa lo stereotipo della nonna con i capelli bianchi che coccola i nipoti.
Non l’ho mai sentita lamentarsi di un malanno. Non portava le calze e metteva
la legna nel camino acceso direttamente con le mani. Era invincibile e c’era
sempre. Tranne quando andava in villeggiatura da mia zia, la sua figlia
maggiore, per la disperazione di mio zio. Era una presenza ingombrante e non
discreta. Se penso – quando esco dall’egocentrismo tipico dei figli – che è
stata la suocera di mia madre mi sento male. Ma è la nonna migliore che potessi
avere. E la festa dei nonni l’avrebbe fatta festeggiare agli altri.
Nessun commento:
Posta un commento