venerdì 10 febbraio 2012

La gestione delle lacrime (La Fornero non c'entra)

Dal Giornale del Popolo del 10 febbraio 2012
«Adesso faccio un bel pianto». Per mio padre è un proposito di liberazione come una doccia dopo una corsa di dieci chilometri. Da sempre sostiene che piangere sia bellissimo e salutare. C'è un ramo della famiglia dalla lacrima facile. Sono i “sensibili”, quelli simili al nonno che, buon'anima, se n'è andato per un colpo prima che noi nascessimo e prima che quella generalessa di mia nonna portasse a termine il compito di rendergli la vita una corsa a ostacoli tra divieti e scene di gelosia che lui seraficamente ignorava. Il ramo degli insensibili, in tutto simili alla generalessa, vanta una predisposizione molto meno spiccata alle lacrime. Beninteso, tutti piangono. Ma i secondi lo fanno quando è davvero necessario e pertinente; gli altri, invece, diventano delle fontane quando nessuna convenzione sociale lo prescrive. La gestione delle lacrime resta una questione complessa, soprattutto se si è uomini, perché una donna che piange non fa testo. Generalmente quando ti vedono piangere danno sempre la colpa agli ormoni, che è un po' come fare commenti razzisti di fronte ai crimini commessi dagli stranieri. Sta di fatto che lui dice che tu ultimamente piangi per tutto, perché il film su Margaret Thatcher è tutto tranne che strappalacrime. Così mentre lui si interroga sulla lettura politica dello sciopero dei minatori e del conservatorismo inglese tu non sai se sia più straziante la demenza senile della lady di ferro o il suo amore per il marito morto e nel dubbio piangi doppiamente. «Ma tu non piangi mai?». «Certo che piango». «E quando?». «Per lo sport, per lo sport piango». Chissà se pensa anche lui allo spot con David Beckham in mutande per H&M.

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