venerdì 16 dicembre 2016

La febbre del giovedì mattina

Dal Giornale del Popolo del 16 dicembre
Già li senti se si svegliano la notte, la mattina aspetti un po', perché al risveglio si è sempre un po' accaldati. Poi l'occhio da pesce lesso e un'insolita indolenza nell'aprire la casellina del Calendario dell'Avvento ti inducono a prendere il termometro. L'aggeggio non può che confermare ciò che persino tu avevi capito: febbre, alta ovviamente, perché per i bambini o è alta o non è. La febbre infrasettimanale per il genitore non supportato da nonni a distanza di cortesia è una sciagura inenarrabile che rivela una volta per tutte il nostro vero volto di genitori cialtroni. “Ma se sto male non posso mangiare la Nutella” “Certo che puoi, è comfort food”, dici stoppando quella bambina di buon senso inspiegabilmente atterrata nella casa della confusione. Parallelamente alla caccia alla baby sitter comincia la battaglia delle agende, dove l'uomo e la donna adulti e irresponsabili di casa cercano di capire chi abbia una giornata trascurabile e possa immolarsi per la salute della creatura. Vince lui perché lei ha pure sempre la riunione più importante dell'anno ma può connettersi via skype. La bambina, ovviamente resuscitata grazie alla Tachipirina, è allegra e felice e non le pare il vero di poter fare tutto quello che vuole: Winx e altri cartoni diseducativi sono tollerati purché faccia silenzio e non entri troppo nell'inquadratura della riunione. Così a mezzogiorno passato, tra briciole ovunque e un carico di ore di televisione che basterebbe per tutto l'anno la creatura si affaccia al computer: “Hanno finito di parlare quelli lì? Dai che guardiamo un po' di tv!”.


martedì 13 dicembre 2016

L'importante è non prenderla sul personale

Dal Giornale del Popolo del 9 dicembre

A scuola, in ufficio, a casa, siamo circondate da maschi e anche quando pensiamo di conoscerli fin troppo bene rimaniamo di sasso di fronte all'imperturbabilità che li contraddistingue. Dopo una giornata di ingiustizie e di ferite arrivi sfinita e pensi: ora ne parlo con lui, mi abbraccerà, guarderemo un film dopo aver steso una bottiglia di rosso in questa vigilia di anniversario. Racconti, spieghi, dici e quello obietta come un poliziotto che dovesse mettere a verbale: “Non raccontarmi quello che pensi tu, per favore, raccontami quello che è successo”. Racconti quello che è successo, ti attieni ai fatti, concedi che non bisogna mai aspettarsi granché, che in fondo è fisiologico che tutto deluda. E loro ascoltano. Non tirano fuori il cellulare perché tu hai già gli occhi iniettati di sangue e fiutano il pericolo. Poi dicono quello che dicono tutti i maschi in situazioni analoghe: “Non prenderla sul personale”. Neanche stessi parlando del parrucchiere low cost che ti ha fatto tornare a casa come un incrocio tra Milly Carlucci e Re Sole. Neanche stessi inveendo contro l'ingiustizia dei prezzi di Hermès. Tu racconti che la tua vita è in discussione che ti senti sola, incompresa, in un vicolo cieco e loro vorrebbero che tu non la prendessi sul personale. La situazione precipita e in un momento ritrovi tutta la forza che ti mancava perché finalmente hai un nemico chiaro. È lui, tutta colpa sua, perché non capisce, perché non ha il cavallo bianco, perché non ti ha regalato un brillante perché, esattamente sei anni fa a quest'ora, rifiutava di ballare al suo matrimonio che casualmente era anche il tuo. È lui. Ma è solo un piccolo sfogo. L'importante è non prenderla sul personale.

giovedì 8 dicembre 2016

I nostri bambini e il trattamento "laboratorio"

Dal Giornale del Popolo del 2 dicembre
In questa stagione fredda e invernale, che rende impraticabili parchetti e zone aperte, molti adulti ci cascano. Cascano nella tentazione di iscrivere i propri figli ai laboratori organizzati in ogni dove, purché siano in luoghi chiusi e riscaldati. Tentiamo in questo modo di risparmiare alle nostre case l'effetto post atomico che ha un pomeriggio di gioco con gli amichetti, quando bastano un paio d'ore a ritrovarsi Barbie nel frigorifero, macchinine nella vasca da bagno e più oggetti non identificati del solito sotto il divano. Beninteso, c'è anche chi lo fa pensando a degli scopi educativi e credendo dunque che imparare a fare il pane, a riparare biciclette, a colorare con i piedi e a fare Yoga sia un'esperienza imprescindibile per la crescita di bambini di quattro anni. In questo modo cerchiamo anche di avvicinarli all'arte, appioppandoli a guide appositamente istruite per fargli fare visite “multisensoriali” al museo di turno. I poveretti vanno, imparano, socializzano con altri bambini sottoposti al medesimo trattamento laboratoriale e poi tornano a casa. Mangiano cibo a km zero, biscotti senza olio di palma, imparano cose che la maggior parte dei loro genitori, che nei meravigliosi anni Ottanta si ingozzava di Tegolini come se non ci fosse un domani, non sapranno mai. Bambini così preparati dovrebbero essere allenati ad essere portati in alberghi da mille e una notte, quelli in cui scegliamo di passare gli unici due giorni di vacanza dell'anno. Rimpiangeremo di non avere una tata a cui affibbiarli quando, nel salone dove le colazioni costano come una cena di gala, loro strepiteranno chiedendo PANGOCCIOLE E SUCCO! Non c'è laboratorio che tenga. E forse questo è soltanto un bene.


mercoledì 30 novembre 2016

C'è un volto, dietro i nostri acquisti on line. E ci capisce benissimo

Dal Giornale del Popolo del 25 novembre

Per noi femmine costantemente affannate gli acquisti on line sono una via d'uscita miracolosa. Da mesi consultiamo le offerte acquerelli di Amazon, scandagliamo il web alla ricerca di vestiti da principessa non trash, buttiamo un occhio al sito della Apple con la tentazione di un autoregalo più costoso del solito. E però: niente. Aspettiamo l'ultimo minuto, sempre pensando che magari ci sarà un offerta migliore o (povere illuse) che avremo il tempo un giorno di fare uno di quei faticosissimi giri per negozi nei giorni prima di Natale. Non sarà così, non lo faremo e arriveremo fuori tempo massimo con la carta di credito in mano, il mouse dall'altra e il dubbio atroce che la reception degli uffici dei nostri maschi di casa sia chiusa nei giorni in cui dovrebbero arrivare i pacchi cruciali. Il tutto ora ha anche implicazioni sociali molto serie. Le ultime inchieste shock, infatti, ci hanno rivelato quanto sia difficile e dura la vita di coloro che lavorano nei giganti dell'on line, che sacrificano la loro vita per fare sì che i nostri regali arrivino in tempo sotto l'albero. Una volta era la produzione dei nostri oggetti che ci poneva dilemmi sociali, ora anche la consegna solleva dei problemi La mia amica bionda fedelissima di Zalando ha avuto un serio scompenso leggendo la storia di colei che è addetta a controllare le merci rese dai clienti. Ha letto la sua storia in un'inchiesta e le è sembrato di conoscerla. "Ti giuro - mi ha detto con gli occhioni spalancati - che io piego sempre benissimo la merce che restituisco!". E così, tra noi donne stritolate in tempi impossibili, tra noi che non promettiamo mai ai nostri figli che andremo a prenderli perché sappiamo che non potremo mantenere le promesse, si è creata una strana e sincera anche se virtuale solidarietà.

venerdì 11 novembre 2016

Quattro anni dopo, alla Casa Bianca

Dal Giornale del Popolo dell'11 novembre

La sera dell'election day qualunque maratona televisiva otteneva l'effetto di farmi venire voglia di aprire un libro. Poi la notte qualcuno ha tentato di svegliarmi dicendo che aveva vinto lui. La mattina ho fatto quel che facevo da piccola quando andavo a letto prima di conoscere il vincitore di Sanremo. Con la differenza che allora scoprivo verità come “trionfa Massimo Ranieri” e oggi mi toccano le analisi di Beppe Severgnini. Oggi, come quattro anni fa, continuo a domandarmi perché la nostra politica non interessi a nessuno (men che meno a noi) e la loro scaldi il mondo intero. E non parlo solo dei nerd che padroneggiano concetti come grandi elettori, Ohio, swing state. E neppure dei geopoliticamente consapevoli che ti guardano dall'alto in basso perché “non può non interessarti, sono loro i padroni dell'Impero”. Parlo della gente normale che non sa cosa sia la perequazione finanziaria ma di fronte alla parola “election night” sfodera i pop corn. E oggi siamo tutti qui. Disperati perché non ha vinto la parte giusta della storia, dimenticando che, democratici o conservatori, da quelle parti non si esce dallo schema di mogli in gonnella, figli sorridenti e partecipativi e fede cieca, ingenua, solida e ottusa nella propria nazione (con una sincerità francamente inesportabile al di qua dell'Atlantico, perché per noi il cinismo è per noi quello che per loro è il burro di arachidi). Forse il segreto è tutto nell'estrema televisività di tutto il côté, sempre a prescindere dai contenuti. Perché l'America produce Tarantino. Ma resta sempre quella di Peyton Place.
Queste righe la Ficcanaso le scrisse quattro anni fa, quando vinse di nuovo Obama. Oggi le ricicla, un po' qualunquisticamente e provocatoriamente, mutando in preoccupazione quella che allora era soddisfazione. 

mercoledì 9 novembre 2016

Del terremoto e di noi, scampati alla catastrofe di noi stessi

Dal Giornale del Popolo del 4 novembre
La paura ti chiude in casa. Ci sono anche studi che attestano che è aumentato il tempo che passiamo davanti alla tv in questi tempi bui di attentati e terrorismo. Qualche giorno fa, quando con tutta la truppa eravamo in quelle che i vostri giornali definiscono, con pietà e commozione, zone terremotate, in casa non ci voleva stare nessuno. La mattina, mentre la bambina lavava i denti con la solita indolenza, la terra ha iniziato a tremare per dirle di sbrigarsi. Lei ha continuato con il suo solito modo, fino a che non ha visto il terrore immobile negli occhi dell'adulto. Se davvero è il terremoto, mi dicevo, perché non viene giù tutto? La terra ha tremato tanto da far svegliare i maschi di casa. Ci siamo ritrovati tutti sotto gli stipiti delle porte e il fatto che avessimo avuto il tempo di arrivarci significava che era andata bene. Qualche ora dopo sorridevo comprensiva ma incredula a quegli amici e parenti che, a pranzo, avevano scelto di stare fuori alla griglia piuttosto che mettersi sotto un tetto, insicuro come lo sono tutti i tetti di quella zona da giorni, settimane, mesi. La sera abbiamo pensato con sollievo che quel vecchio letto non ha alcun cassetto porta cose sotto: se arriva una scossa possiamo metterci sotto al letto. Forse meglio dormire vicino alle bimbe, per essere pronti. Forse meglio non dormire affatto, o dormire con un occhio aperto e uno chiuso. È passata così una notte infinita, tra pensieri assurdi e preghiere sussurrate. Quella notte in cui abbiamo capito che non siamo al sicuro da nessuna parte e che ogni giorno siamo degli scampati alla catastrofe di noi stessi. Mi è tornata in mente una frase, letta secoli fa: la più grande poesia è un inventario.  





Segretarie

Dal Giornale del Popolo del 28 ottobre

Nel mondo in cui siamo tutti manager di qualcosa (project manager, team manager, sales manager) ci sono poche persone che accettano di buon grado qualifiche come quella di segretaria. Possiamo immaginare una lieve inversione di tendenza dopo la notizia che la segretaria (non personal assistant) del fondatore di Esselunga Bernardo Caprotti ha ricevuto in eredità dal suo capo svariati milioni di euro. La verità – e ve lo dico mettendomi addosso un'espressione compassionevole e sconsolata come quella che abbiamo noi reazionarie quando guardiamo le orde di tredicenni ricchissimi pascolare nei centri commerciali il sabato pomeriggio – è che di certo non esistono capi come Caprotti, ma neanche noi corrispondiamo all'identikit dell'impiegata semper fidelis. Vorrei dirvi che è colpa dell'euro, dell'Europa, dei fascisti e dei comunisti e probabilmente delle colpe le hanno tutti in egual misura. La verità è che pensare di stare 45 anni con la stessa persona è impossibile in casa, figuriamoci al lavoro. Mi domando se anche la signora Germana, al pari di tutti noi miseri impiegati con la qualifica di manager sul biglietto da visita, periodicamente si sentisse frustrata e incompresa e sul punto di non farcela più. E mi domando se saremmo capaci di dare del lei ai nostri capi come ha fatto la sciura Germana per quaranta e rotti anni. Noi, che i nostri manager li aggiungiamo su WhatsApp e li “laikiamo” su Facebook. Mi domando se della signora Germana siano più da invidiare – dopo i milioni di eredità – l'umiltà o lo fedeltà.

Le parole sono (ancora) importanti

Dal Giornale del Popolo del 21 ottobre
Puoi farci da bridge? Pensavi a un main sponsor o a un village con tanti partner?

Puoi avere un point dove andare? Ci vediamo alle 4, ma vuoi che ti mandi un calendar? Mi è arrivato un complain perché non ero riuscito a fissare la call. Avevo pensato di riempire tutta questa rubrica delle espressioni che sentiamo tutti i giorni nei nostri uffici. Ma temevo che la reaction dei miei lettori potesse essere pessima. E il look&feel della rubrica ne avrebbe indubbiamente risentito. I luoghi che frequentiamo hanno un idioma tutto loro, primo segno di appartenenza a un gruppo di persone. In fondo non è abitudine degli amanti darsi dei soprannomi e condividere un linguaggio? E allora perché i luoghi in cui spendiamo il 90 per cento del nostro tempo dovrebbero fare eccezione? Abbiamo bisogno anche lì di un linguaggio per riconoscerci e di un codice di comportamento per capire chi mettere in copia nelle nostre mail. Tanti di noi imparano ad essere subito degli ottimi Forward Manager, altri si perdono nel reply to all e inviano ai clienti gli epiteti poco carini che avrebbero voluto affibbiargli condividendoli con il compagno di banco. Forse dovremmo fare un bel respiro, aprire una nuova mail, mettere nel campo destinari tutti i nostri colleghi e in cc i nostri clienti e poi inviare a tutti quell'indimenticabile spezzone di Palombella Rossa in cui Nanni Moretti prendeva a schiaffi una giornalista intenta a usare parole come “kitsch”. Non avremo modo di calcolare la redemption di un gesto del genere, ma ci prenderemmo delle belle soddisfazioni in cc. Perché “le parole sono importanti”.

L'amore liquido

Dal Giornale del Popolo del 7 ottobre
Ancora alle prese con gli strascichi del Brangelina gate abbiamo dovuto affrontare l'enorme scandalo scoppiato nella casa del Grande Fratello Vip, dove Stefano Bettarini ha elencato le donne con cui ha tradito l'ex moglie Simona Ventura. Il suo compare, l'ex pugile Clemente Russo, non l'ha redarguito, anzi ci ha messo il carico come un guascone da bar qualsiasi ed è stato cacciato dal bar più moralista d'Italia che è il Grande Fratello Vip. Pensatela come volete, ma per me la punizione noialtri voyeristi l'abbiamo avuta ieri, quando la vicenda ha provocato la resurrezione, nientemeno, della Gattamorta. Trattasi di Marina La Rosa, star del primissimo Grande Fratello, quello condotto da Daria Bignardi e dotato di un immenso Pietro Taricone, quello che bisognava commentare anche senza averlo visto, quello che andava disprezzato ma anche analizzato come fenomeno dei nostri (decadenti) tempi. A Dagospia Marina La Rosa ha detto cosa pensava della vicenda, raccontato gli anni di quel successo acerbo e travolgente, finendo per rivelarsi l'ennesima citazionista seriale di Zygmunt Bauman e della sua società liquida. È così liquida, questa società, che i protagonisti del Grande Fratello si trasformano in commentatori del Grande Fratello come i giocatori di serie A e che a coppia vip che divorzia, corrisponde coppia vip che si forma. Chiara Ferragni e Fedez starebbero ufficialmente insieme. Probabilmente il grado di liquidità di una società si misura in Like.

giovedì 6 ottobre 2016

"È molto difficile avere un amico del cuore"

Dal Giornale del Popolo del 30 settembre

La mattina si dedica ai pacchetti. Disegni, braccialetti, sorprese dell’uovo Kinder e altri ritrovati vengono avvolti in fogli di carta colorati chiusi con lo scotch o con elastici colorati e poi portati a scuola per essere distribuiti agli amici. “Ne faccio uno anche per Leo, ma lui è un maschio, ci vorrà un super eroe”. Ogni sera si conduce poi un’indagine approfondita per sapere se i regali sono stati graditi. Qualche volta anche a casa nostra arrivano pacchetti, opera a loro volta di altri amici che probabilmente impegnano allo stesso modo le colazioni delle loro madri. Devo informarmi: probabilmente c’è un significato pedagogico-educativo in questa volontà di fare regali agli altri bambini e impacchettarli con le proprie mani. Tanta tenerezza di genitori viene subito stroncata proprio dai bambini. “Francesca non è più mia amica del cuore”. Tu chiedi, informi, pensi che ti spiace perché in fondo la mamma di quella bimba era l’unica il cui nome associavi al volto correttamente. L’indagine fa emergere che la non amicizia è durata per circa cinque minuti, quando, non si sa per quale motivo, Francesca ha cambiato idea ed è tornata a dichiarare affetto all’amica che le porta i pacchettini ogni giorni. E lei, la piccolina dei pacchettini, è contenta che tutto sia andato bene ma ha capito una cosa: “È molto difficile avere un amico del cuore”. E, piccina mia, non hai ancora conosciuto la specie dei fidanzati. 

Brad e Angelina e le infelicità che si somigliano

Dal Giornale del Popolo del 23 settembre

La maggior parte di noi divide casa con maschi che negli anni hanno imparato a lasciare entrambe le scarpe nel punto centrale dei 30 metri quadrati che ospitano il soggiorno e la cucina. C'è di buono che svuotano la lavastoviglie con grande impegno, caricandosi, così, di una delle incombenze più odiate dalla donna di casa. Non sanno imburrare una fetta di pane e di fronte a una mozzarella di bufala piena di acqua nella confezione si sentono perduti come quando si ritrova senza telefonino. Poi arrivano i bambini e generalmente uno (spesso lei) gliele dà tutte vinte e l'altro (spesso lui) è quello inflessibile che “prima o poi bisogna dirgli di no” e in fondo uno scapellotto non ha mai fatto male a nessuno “perché quando ci vuole ci vuole”. Ieri il Daily Mail ci ha informato che Brad e Angelina si sono separati perché lui avrebbe alzato le mani sui bambini. Le immancabili fonti vicine alla coppia spifferano che lui è inaffidabile, lei nevrotica, lui cerca di dare regole ai bambini, lei è lassista, lui beve troppo, lei ha mille fissazioni. Le solite differenze inconciliabili che vengono fuori in tutte le relazioni perché in fondo in fondo uomini e donne sono inconciliabili. Vip o non vip. Così ci volevano Brad e Angelina per invertire i canoni dell'indimenticabile incipit di Anna Karenina, che ci ricordava “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”. Siamo proprio sicuri che, a parità di metri quadri tra cucina esalotto, non si somiglino incredibilmente anche le infelicità?

Tornare in palestra, con un istruttore che ti fa sentire al liceo

Dal Giornale del Popolo del 16 settembre

La app per gli addominali conteggia benevolmente anche le quattro calorie bruciate nei quattro esercizi infilati controvoglia durante la pubblicità del film. La app per la corsa tiene conto degli sforzi degli ultimi sei mesi e invia virtuali pacche sulla spalla per invitare gli sportivi della domenica a riprendere gli allenamenti trascurati. In alcune evoluzioni di queste app fitness esiste anche la possibilità di essere incitati da una voce pre impostata o di condividere via social i propri sforzi per ricevere qualche Like dagli amici virtuali. Alcuni di noi le hanno scaricate tutte, per sentirsi in pari con l'amica volenterosa e sportiva o, ardite, per consumare davvero qualche caloria in maniera costante. Con cotanto armamentario tecnologico ci sentiamo pronte a tutto, anche ad affrontare questo mese di stoici propositi, irrealistiche diete e rigorose riorganizzazioni delle dispense e degli spazi in casa che è settembre. Per questo certi inviti in quei luoghi dimenticati che sono le palestre ci fanno sorridere. Andiamo controvoglia, giusto per fare un favore all'amica rientrata dalle ferie con una verve incontenibile. Essere accolte da un istruttore che ti chiede se sai saltare la corda non aiuta e tu, con le unghie curate e le lenti a contatto giuste, ti senti (sempre e di nuovo) la tredicenne che temeva le ore di educazione fisica alle medie. Poi inizi, salti la corda e non inciampi neanche troppo. Tiri pugni come una million dollar baby dei poveri e pensi già che potresti davvero andare oltre la lezione di prova se esistessero dei guantoni rosa. E pensi che nessuna app potrebbe reagire come il tuo istruttore di boxe in quella palestra per niente cool, che alla vista del tuo uno-due di pugno acrobatico osserva: “Questo lo fanno solo i supereroi nei fumetti”.

mercoledì 7 settembre 2016

Io, te e il messaggio post serata

Dal Giornale del Popolo del 2 settembre 2016

“Grazie, siamo stati bene, è stato bello vederci. Eccetera eccetera”. Tantissimi di noi hanno l’abitudine di recensire post evento le serate passate con gli amici, forse per guadagnarsi un invito successivo, forse per rassicurare indirettamente quella padrona di casa ben consapevole di aver cucinato una pasta orrenda, ma sinceramente contenta di aggiungere dei posti a tavola (specialmente quando l’invito consente di sfoderare qualche nuovo accessorio per la tavola). Ho sempre riso di questa abitudine, così superflua perché la bellezza, se e quando c’è, è così evidente che non sopporta sottotitoli. Proprio mentre ragionavo di questa abitudine strana mi è arrivato un messaggio del genere (eh sì: la pasta che c’era in tavola era veramente pietosa). E a quel punto, sarà l’età, ma invece di indignarmi mi sono commossa, rassicurata sull’affetto dell’amico. A volte abbiamo bisogno di sentirci dire proprio le cose che sappiamo da chi conosciamo. Abbiamo bisogno di sentirci abbracciati e coccolati. Di sentirci dirci le cose che sappiamo e di dirle, noi stessi, non alla nostra bacheca di Facebook, ma a qualcuno dotato di nome e cognome. Così qualche giorno fa ho preso coraggio e ho detto grazie al tizio che mi ha regalato dei costosissimi e bellissimi scarponi da montagna, comprando così la mia sopportazione per le prossime stagioni lontanissime dal mare.

Il gossip sui tradimenti è più veloce di Bolt


Dal Giornale del Popolo del 26 agosto
È l’uomo più veloce del mondo, lo sprinter dei record incredibili che ha trionfato anche alle ultime Olimpiadi. Ed è proprio per festeggiare i successi di Rio che Usain Bolt si è concesso una notte brava in cui avrebbe tradito la storica fidanzata con una signorina che lo ha immortalato con il suo smartphone per poi diffondere lo scatto sui social. Mentre “l’amante” era impegnata a raccontare ai tabloid di mezzo mondo i particolari piccanti della sua notte col campione la fidanzata taceva. Ma i suoi comportamenti sui social non sono passati inosservati. Pare infatti che abbia messo “mi piace” a un commento che criticava così il comportamento del campione: “Quando la tua ragazza è Selfridges e la tradisci con Primark”. È come dire: hai la possibilità di vestire Hermès e scegli Benetton. Noi donne abbiamo espresso solidarietà come si fa in questi casi di fronte alle ingiustizie palesi, come se amore e attrazione potessero rispondere alle leggi della fisica, della logica, del tornaconto. Eccezione fatta per il tradimento di Brad Pitt con Angelina Jolie ai danni di Jennifer Aniston (che si configura come una rarissima e comprensibile riunione di elementi appartenenti agli stessi mondi) i tradimenti e le storie d’amore sono fatti per farci dire: ma come diavolo è possibile che quello stia con quella e abbia tradito quella e ora stia con quell’altra? Questo serve a farci sentire sempre migliori, noi che, al posto degli altri, avremmo fatto sicuramente le scelte e le trasgressioni giuste. L’importante, insomma, è avere qualcosa di cui parlare.

I miei sandali per un paio di giga

Dal Giornale del Popolo del 19 agosto 2016

In questi ultimi giorni di vacanza ho studiato con grande attenzione i social, dribblando i messaggi di "impossibile aggiornare il feed" resi frequenti da una connessione a manovella, per sapere tutto di voi: delle vostre vacanze in Salento, delle vostre diete ingrassanti, delle vostre gite in barca in acque cristalline, dei numerosi piatti gustosi che avete immortalato con gli hashtag giusti. Ho appreso anche del vostro incredibile interesse per le Olimpiadi, constatando che anche voi siete come quel maschio che prima di andare a letto esulta per un oro. Per la donna è l'occasione di scoprire l'esistenza di un oggetto che genera addirittura uno sport: la carabina. Ho spiato le vite smeralde delle nuove star dei social sviluppando una insana passione per quella di Gianluca Vacchi che mi ha consumato quasi tutti i giga della connessione. Così a Ferragosto il mio gestore telefonico mi ha avvisato: la pacchia sta per finire. È da allora, dottore, che sono in astinenza e non spio la vita di alcuni di voi, voi che avete le vacanze marittime per cui io avrei un guardaroba perfetto. È il dramma di avere sempre una valigia pronta per Capri e di essere deportate a morire di freddo in montagna. Così, alla seconda notte in cui, dopo aver sognato i miei sandali boho chic, ho sognato una storia d'amore con Fedez, ho deciso di comprare giga in più. E farmi i fatti vostri per non pensare ai miei. 

Poseidone re del mare, andiamo a comandare

Dal Giornale del Popolo del 12 agosto

Un sondaggio tra le bambine di due-quattro anni che popolano il portico dotato di wi-fi in cui la ficcanaso scrive queste righe ha rivelato che, tra i mestieri del futuro che ciascuna sogna di fare da grande ci sono: la ballerina, la mamma, il dottore delle persone, il dottore degli orsi e persino la moglie. Non una che si sognasse sportiva o principessa. Il campione selezionato per il sondaggio comprendeva anche la bambina di due anni e mezzo che qualche giorno prima, sfogliando una riduzione dell'Iliade per bambini, aveva omaggiato così Poseidone: “Poseidone, re del Mare, andiamo a comandare”. Il dettaglio serve a farci capire che no, non c'è speranza e le nostre più nobili intenzioni e aspirazioni non sono minimamente ritenute interessanti dai nostri figli. Ecco, il massimo contributo che posso dare alla questione delle “cicciottelle” è esattamente questo. Riassumo per chi, in questi giorni, avesse vissuto i social in maniera incostante e precaria: un direttore di giornale è stato licenziato per aver definito “cicciottelle” tre atlete olimpiche in un titolo. Le bambine intervistate domani saranno dottoresse, ballerine, mamme e probabilmente qualcuna di loro (visto anche l'imparentamento con la sottoscritta) sarà cicciottella. Ma la cosa che più gli auguriamo è di essere felici a prescindere da tutti questi dettagli. E di saper ridere di gusto di fronte a qualunque battuta o titolo di giornale per quanto indelicato possa essere. Insomma: andiamo a comandare.

venerdì 29 luglio 2016

Io, che ho creduto alle promesse di un Lip Maximizer

Dal Giornale del Popolo del 30 luglio

Mi chiamo Laura, ho 36 anni portati discretamente, una taglia 44 che vivo con soddisfazione a giorni alterni. E credo alle pubblicità. Devo averlo scritto in faccia, in fronte, o tatuato inconsapevolmente in una parte visibile a tutti del mio corpo, perché sembrano capirlo tutti. Ogni tanto, a casa, osservo alcuni oggetti che mi ritrovo intorno e mi domando come sia possibile. Come sia possibile aver pagato dei soldi per un “Lip Maximizer”. È colpa (o merito) di quell’insuperabile beauty-expert di Dior, che un giorno è riuscito a convincermi che quel prodotto, un lucidalabbra, aveva reali proprietà miracolose e volumizzanti, fondamentali per le mie labbra sottili. Un secondo dopo mi ha dotato della matita per sopracciglia che ha finalmente permesso al mio viso di avere una cornice adeguata (“tesoro, le sopracciglia sono importantissime: sono la cornice del viso. E tu ha degli occhi così belli, valorizziamoli!”). Credo periodicamente anche alle meraviglie del supermercato, come gli hamburger vegetali, le verdure in forme accattivanti per attrarre i bambini, il dentifricio per i denti bianchi. Del resto ho ricordi di infanzia in cui, alle fiere e ai mercati, mi perdevo a osservare i venditori di stracci miracolosi e affettaverdure potentissimi. Credo a tutto. Per questo credo che le pubblicità on line personalizzate sui social network possa francamente considerarsi circonvenzione di credulona. Da rendere illegale al più presto. 

Del perché i maschi non si accorgono di nulla

Dal Giornale del Popolo del 22 luglio

"Accidenti, che tosse. Bè ma stai tranquilla: è grassa. Anche quella!”. La malcapitata racconta l’episodio come uno dei rari, rarissimi momenti, in cui il suo lui ha notato qualcosa di lei. Andiamo dal parrucchiere, spendiamo un quarto del nostro stipendio, ritorniamo bionde quando siamo partite corvine, rasate dopo essere uscite di casa con una coda di cavallo lunga fino al sedere. Andiamo dall’estetista, ci tatuiamo le sopracciglia in modo da averle sempre ordinate e sottostare ai dettami dei più rigorosi visagisti esperti di bellezza. Per non parlare di quando ci vestiamo da gran sera, finalmente fiere di avere occasioni mondane all’altezza dei nostri guardaroba. E loro? Niente. Se ci presentassimo in giro come straccione spettinate non noterebbero la differenza, si accorgono delle nostre borse-investimento solo quando sono talmente piccole da non poter contenere il loro portafoglio, il caricatore, i colori per intrattenere i bambini al ristorante, il loro telefono. Non si accorgono di niente. Eppure ogni benedetta volta glielo chiediamo: "Allora, come sto?". Ormai non ci scannerizzano neanche più alla velocità della luce per trovare le differenze; rispondo in automatico sfoderando un sorriso da professionisti: "Stai benissimo". Non si accorgono di nulla. E visto quello che ci dicono quando si accorgono di qualcosa, l'incoscienza è comunque una enorme benedizione.

Cuore di babbo

Dal Giornale del Popolo del 15 luglio

Prima di Edipo, prima di Freud. Mi domando se ci vogliano tutti questi riferimenti alti per motivare ciò che ogni figlia femmina sa nel profondo del suo cuore: non ci sarà maschio, marito, compagno, flirt che eguaglierà la nobiltà d'animo, la simpatia, la leggerezza dei nostri padri. Quelli che non hanno paura di niente perché hanno una fede sincera nella vita, quelli che ci riempiono di contanti, formaggi e salumi ad ogni viaggio come se partissimo per la guerra. Prima o poi i maschi che frequentiamo si scontrano con tutta quella generosità, si sentono minacciati, chissà, forse nel loro ruolo di maschi della specie. Loro, quelli moderni che spingono le donne a lavorare, quelli che si vantano di aver imparato a caricare la lavastoviglie come se significasse scalare il K2, quelli che sanno aggiustare cose in casa e pulire il filtro dell'aria condizionata. Loro, che sembrano non aver nulla da invidiare a chicchessia, prima o poi un piccolo scontro coi nostri padri irraggiungibili non possono che averlo. Non capiscono che soldi, salumi e consigli ce li darebbero anche se noi fossimo miliardarie, vegetariane, intelligentissime e assennate. Perché un padre, un babbo, a una figlia femmina dà tutto perché la generosità è la cifra del suo carattere e la misura infinita del suo amore. Non c’è nulla di edipico in tutto questo perché nessuna di noi cerca suo padre nel maschio che frequenta o che sposa. Ogni volta ci diciamo che solo madri come le nostre possono sopportare padri come i nostri. E però quando li guardiamo negli occhi, quei padri, sappiamo che non c’è abbraccio forte e sicuro come quello che un babbo riserva alla sua (eterna) bambina.

martedì 12 luglio 2016

Le vacanze e il mio posto del cuore

Dal Giornale del Popolo del 1 luglio

Il posto dei mirtilli, il luogo segreto di ciascuno di noi che nella memoria diventa mitico. Di questo parlava la rubrica di Michele Fazioli sul GdP di sabato scorso e seguendo la discussione che ne è seguita su Facebook ho cercato nella mia memoria: ce l’ho un posto del cuore? Di sicuro le vacanze con mia nonna, quando partivamo in pullman 3/4 nipoti affidati alle sue cure per andare alla vacanza in montagna della parrocchia. Per mia sorella e mia cugina erano gli anni dei primi fidanzatini, io invece restavo attaccata alla nonna (avrà avuto poco meno di 70 anni allora) e imparavo che si può avere carattere anche in montagna e andare per sentirei con gonna di jeans e scarpe da camminata con la zeppa. L’altro ricordo sono le vacanze in Jugoslavia (ancora orgogliosamente non ex), con viaggi infiniti e un mese intero a lasciarci bruciare dal sole guardando quel mare da sogno. Poi quella vacanza assurda in cui mia sorella maggiore ha pensato bene di sfiorare la morte e io venivo rimpatriata affidata alle cure di amici e a casa ero preoccupatissima perché la mamma non tornava mai dall'ospedale e l'inizio della scuola si avvicinava senza che noi avessimo fatto la tradizionale spesa di cancelleria. Da allora in Sardegna non ci siamo mai più ritornati tutti insieme. E poi quell’altra volta in montagna, io ero già più grande, e mia mamma batteva le mani in modo ridicolo per tenere lontane le vipere dal sentiero. E noi ci vergognavamo di lei. Proprio come fanno oggi i nostri bambini quando vedono noi, sciocchi, ballare sulle note di Vorrei ma non posto

Sentirsi in pace, facendo un puzzle

Dal Giornale del Popolo dell'8 luglio

È il periodo delle libertà. Libertà di stare in vacanza e immortalarsi felici sui social, libertà di mettersi in costume e rivendicare la propria forma fisica non perfetta. Le ultime sono state Emma Marrone e Clio di Clio Make Up, entrambe ansiose di raccontare a tutti quanto sono in pace col proprio corpo. Qualcuno le ha criticate, qualcuno le ha ammirate, in tutti i casi l’istinto di molte di noi è stato: e io? E io, se fossi famosa ed esposta a continue fotografie a figura intera con tanto di impietosi paragoni con l’anno precedente, cosa farei? In fondo leggiamo i giornali di gossip, guardiamo gli altri sui mezzi pubblici, spiamo le loro immagini sui social o le zeppe della vicina, rabbrividendo per il rumore del rimando del tallone sudato sulla scarpa, per pensare: sono così anche io? Quei sandali che ho comprato con tanto entusiasmo fanno lo stesso, insopportabile, rumore? Guardiamo gli altri per guardarci allo specchio, sentirci migliori o peggiori, ma comunque, avere un metro di paragone, perché alla fine siamo più interessati a noi stessi che a qualunque altra cosa. Forse dovremmo ricominciare tutti a disegnare. Come la bambina di quattro anni che ieri si è scusata: mi spiace ma ti ho fatto meno bella di me nel disegno e anche più piccola. Adesso il più grande del disegno è il padre della bambina, quello che le insegna il metodo infallibile per fare i puzzle che lei applica con rigore, mettendo prima in fila tutti i pezzi di contorno. Probabilmente la mamma tornerà più grande del disegno quando imparerà a fare i puzzle. O almeno a non fare rumore con i sandali d’estate. 

The floating pears e quell'opera d'arte che si chiama amicizia

Dal Giornale del Popolo del 30 giugno

C’è chi è partito all’alba, chi si è messo in macchina nel cuore della notte, chi ha preso un giorno di ferie infrasettimanale cercando di evitare ciò che è parte integrante dell’attrazione: la gente. C'è chi ci è andato apposta per lamentarsi dei disservizi dei treni, c'è chi non ci è andato in protesta contro l'arte, la contemporaneità, l'arte contemporanea e il popolo bue che si mette in fila per camminare su una passerella arancione. In ogni caso non c'è categoria che non abbia sentito il dovere di esprimere sui socia la propria opinione sulla passerella di Cristo sul lago d'Iseo. Noi sciocchi che siamo rimasti a casa senza nessuna motivazione ideologica abbiamo spulciato le bacheche e i profili di tutti i nostri conoscenti, scoprendo di avere accanto grandi esperti d'arte camuffati sotto le spoglie di gente normale. Qualcuno ha appoggiato Vittorio Sgarbi, qualcuno Philippe Daverio, c'è anche chi ha tirato in mezzo la decadenza culturale dell'Occidente. E poi c'è chi mi ha portato a casa un pezzo del tessuto arancione che ricopre The Floating Piers. Regalandomi la possibilità di un selfie. E ho pensato che l'amicizia è davvero un'opera d'arte.

domenica 19 giugno 2016

Tempo di libertà, tempo di spoiler

Dal Giornale del Popolo del 17 giugno

Scarichiamo, comperiamo, otteniamo quello che ci serve quando ci serve e il palinsesto delle nostre serate televisive ce lo costruiamo autonomamente a seconda dei nostri impegni. È una delle libertà che andiamo celebrando con maggiore fierezza fino a che non mostra il suo lato negativo. Quest’oggi, mentre voi 20 poveracci starete leggendo queste righe, io avrò appena saputo come finisce Gomorra. Ma la verità è che anche adesso, mentre quelle righe le scrivo, so già un sacco di cose delle ultime due puntate che devo ancora godermi davanti alla tv. Giri per l’ufficio tappandoti le orecchie, avvisi tutti i tuoi conoscenti di evitare anticipazioni, eviti pericolose frequentazioni di social network e di giornali. E poi, proprio come quando capiti in un posto assurdo e incontri un ex che non avresti mai voluto vedere, appena abbassi la guardia ti arriva l’anticipazione che non avresti mai voluto sentire. Insomma di Gomorra sai tutto, ma ti mancano ancora i dettagli. Quelli che faranno la differenza tra una serata davanti alla tv e una notte insonne. E arrivi a pensare che, forse, quello spoiler è stato provvidenziale, perché ti ha preparato al peggio che immaginavi dalla prima puntata ma speravi non si avverasse mai. Da domani scatterà la ricerca di una nuova serie tv da attendere con ansia. Almeno fino a che non troverà pace questo meteo inclemente, che ci ha privato dell'estate regalandoci settimane di vantaggio sulla prova costume che abbiamo bellamente sprecato.

L'immagine della donna

Dal Giornale del Popolo dell'11 giugno

Tutta la nostra smania educativa nei confronti dei bambini è riconducibile ai giocattoli di legno. Spendiamo soldi e fatica e rischiamo incidenti domestici perché Dio solo sa quanto siano pesanti da tirarsi dietro quei bellissimi ritrovati in legno da foreste protette. Però sono sacrifici che affrontiamo volentieri per avere la coscienza plasticamente pulita. In fondo è quello che facciamo coi nostri maschi, quando ogni anno a Natale proviamo a rifilargli magliette insolite o quelle cravatte in maglia che ci piacciono tanto. “Eh, sa lui non la indossa, ma sono sicura che possa piacergli”, ho detto una volta a un commesso di Hermés che con la
risposta alla mia provincialissima affermazione mi ha insegnato più di cinque anni di greco e latino: “Se non ce l’ha, c’è un motivo. Noi uomini abbiamo le idee molto chiare”. E voi donne, era il sottotitolo non detto, continuate a regalarci quello che piace a voi invece di impacchettare quel che piace a noi. Uomini e bambini, in questo, hanno un’identica, benedetta, dittatoriale e a tratti invidiabile conformazione mentale. L’altra sera una bambina di quattro anni mi ha chiesto di disegnarle delle bamboline da colorare. Ne ho disegnate venti e in mezzo ce n’erano una con gli occhiali, una coi pantaloni e la salopette, una con un taglio anni Ottanta da Lory del Santo ai tempi d’oro. Le ha bocciate tutte. Ha colorato solo le ultime cinque che, su sua espressa richiesta, erano sorridenti, felici, con vestito e capelli lunghi. Ho guardato sconsolata le costruzioni di legno e i giochi intelligenti con cui l’ho tirata su. E ho continuato a disegnare bamboline figlie di una visione sessista della donna, abbandonando tutti i miei nobilissimi propositi. 

«Mamma, perché Dio continua a creare?»

Dal Giornale del Popolo del 3 giugno

"Mamma, perché Dio continua a creare?". Giugno, pedicure fatta, costume comprato: ancora ci tocca a imprecare contro questo tempo incorreggibile, con la pioggia che continua a rovinare i weekend e a rendere non asciugabili i panni che continuiamo a lavare. "Mamma perché Dio continua a creare?". Da quando, esattamente avevo dichiarato guerra ai carboidrati e perché periodicamente mi ritrovo a farmi questa domanda e a constatare che ha ragione chi proclama che la dieta Dukan riesce a ciascuno una sola volta nella vita? "Mamma, perché Dio continua a creare?". "Bè, perché è Dio". Certo, penso stendendo i panni inasciugabili, che quella scelta un po' casuale della scuola dalle suore sembra funzionare: conosce anche l'esistenza di Dio. "Mamma, perché Dio continua a creare". Al catechismo di una volta si disegnava Dio come un occhio dentro un triangolo e si imparavano i comandamenti, dev'essere che queste scuole moderne cercano sempre spiegazioni più complesse o dev'essere che i bambini di oggi hanno tendenze esistenzialiste. "Continua a creare perché ci ha creati ed è come se uno costruisce una macchina, poi ci deve mettere la benzina". "Mamma, perché Dio continua a creare?". Bello che le creature abbiano certe uscite, tempo di qualche anno ci odieranno come rappresentanti dell'ottuso mondo degli adulti, quindi godiamocela. "Continua a creare - butto là pensando che in fondo è meglio accendere l'asciugatrice anche se siamo a giugno - perché continua a volerci bene". "Ah già, è vero".

venerdì 27 maggio 2016

Belen, noi e il teorema del costume intero

Dal Giornale del Popolo del 27 maggio
Puntuale come la debolezza primaverile e il disagio da aria condizionata non è la prova costume, bensì la prova costume intero. Arriva infatti il momento nella vita di un essere umano di sesso femminile in cui il costume intero risulta attraente e persino seducente. A qualcuna capita dopo stagioni invernali particolarmente caloriche, ad altre dopo operazioni che richiedono protezione dal sole per alcune cicatrici, ad altre dopo gravidanze ravvicinate. Altre (e forse sono i casi più gravi) sostengono di averne riscoperto semplicemente lo stile e leleganza. Sta di fatto che tutte costoro, a un certo punto, si trovano a provare proprio il costume intero, cioè quel capo di abbigliamento che anni prima avevano abbandonato con gioia buttandosi nelle braccia dellemancipatissimo bikini. Qualcuna arriva anche a comprare costumi interi on line. La prima prova, fatta di nascosto nel bagno dellufficio, lascia intuire ciò che lo specchio di casa confermerà e cioè linfallibile teorema pronunciato dallunica di noi che (per ora) non è caduta nel tranello del costume intero. Primo postulato: è impossibile che il costume intero stia bene. Secondo postulato: se non ti sta bene il bikini e speri che ti stia bene il costume intero la delusione sarà ancora più grande. Devessere per questo che una marca di costumi ha scelto di far posare una testimonial come Belen Rodriguez in costume intero: certe velleità è meglio smorzarle sul nascere.


mercoledì 18 maggio 2016

Brad, Marion e quella scenografia irresistibile

Dal Giornale del Popolo del 13 maggio

35 kg. Quello che probabilmente è il peso del vostro ultimo bagaglio a mano sta scuotendo il mondo del gossip che lo associa al peso di Angelina Jolie. La signora Pitt è in effetti (ancora) più magra del solito e i malevoli sostengono che la causa del dimagrimento vertiginoso sia il patema d’animo per il tradimento da parte del marito. Le fonti anonime citate dai giornali di gossip sostengono che Brad Pitt abbia perso la testa per Marion Cotillard, attrice francese il cui peso non è oggetto di alcuna analisi e che ha recitato con lui nel film “Allied”. Ora io non farò alcuna osservazione, ma mi limiterò, come fanno i giornalisti dei giornali seri che vi piace leggere, a mettere insieme alcuni fatti. In “Allied” Marion e Brad interpretavano una coppia di amanti. La Cotillard ha vinto un Oscar per l’interpretazione di Edith Piaf. Sì, la cantante di Je ne regrette rien, non mi pento di nulla. Uno degli ultimi film di Marion la vede nei panni della tremenda Lady Macbeth. Aggiungete che Brad e Angelina si sono conosciuti sul set di Mr. & Mrs. Smith, dove interpretavano una coppia di agenti segreti in crisi e mentre il pubblico si godeva le esplosioni nella loro casa al cinema, il matrimonio di lui nella vita reale, con Jennifer Aniston, implodeva. Ecco, mettete in fila tutto questo. E ditemi se non state pensando anche voi, come me, che certe volte la vita ha una sceneggiatura che nessun film può riuscire ad eguagliare.

Cuba, una vita fa. Prima di Chanel

Dal Giornale del Popolo del 6 maggio

Era una vita fa e noi eravamo giovani, universitarie e devote alla Lonely Planet. Eravamo alla ricerca del miglior Mojito di Cuba quando un ragazzo del luogo ci propose di tornare con noi in patria. Chissà se c'era anche lui, quel ragazzo che abbordò maldestramente tre ragazze bionde in un viaggio di luglio, l'altra sera, durante la sfilata di Chanel a L'Havana. Abbiamo rivisto le strade e i palazzi sui avevamo lasciato il cuore, gli occhi e lo stupore, una vita fa. Le abbiamo riviste in decine di fotogallery dei giornali che celebravano l'incredibile successo della collezione di Karl Lagerfeld presentata a Cuba. Il primo evento internazionale dopo cinquant'anni di isolamento. Abbiamo seguito la nostra isola (chi va a Cuba e la gira in lungo e in largo su una cinquecento presa a noleggio non può che sentirla per sempre come la sua isola) nei racconti sui social, sfondo perfetto per decine di foto da fashion blogger e influencer. I siti di tanti giornali celebravano Gisele Bundchen col basco del Che e ci hanno rivelato, entusiasti, che i cubani adorano Chanel. Per un attimo ci siamo indignate. Una sana indignazione radical chic nel vedere che il disgelo con Cuba porta navi di turisti americani e delegazioni del mondo fashion in cerca di photo opportunity. Ma e passata subito. Del resto la revolucion è un diritto di tutti. Ed è importante che sia  fotogenica.

Adesso che la cucina è al suo posto

Dal Giornale del Popolo del 29 aprile

Adesso che abbiamo il lavandino angolare in acciaio inox antigraffio, sovrastato da un miscelatore di marca tedesca, la cucina può dirsi completa. Soprattutto da quando nei tubi scorre anche lacqua e il forno si accende senza provocare blackout nellappartamento e nel palazzo. Cè una cucina nuova e nellarco di poco più di una settimana abbiamo svuotato quella vecchia e riempito quella nuova. In mezzo ci sono stati scarponi di operai spaccapiastrelle, polvere delle suddette piastrelle che ha continuato a depositarsi per giorni, serate di cene fuori forzate e una strana eco nei giorni in cui doveva asciugarsi lintonaco. Ecco. Se vi capitasse di rifare una volta nella vita la cucina di casa vostra, sappiate che quello è il momento più pericoloso. Quello in cui, in quella casa polverosa ci arrivate solo a tarda sera, dopo aver ampiamente vissuto fuori tutto il resto della giornata e osservate quei muri, solo pochi giorni prima ingombri di pensili ed elettrodomestici e ora completamente sgombri. Almeno 10 metri quadrati di spazio inatteso. Ci starebbe una cabina armadio coi fiocchi, con tanto di posto per le scarpe e spazio borse razionalmente organizzato. Durerà poco. A un certo punto arriverà la cucina nuova e spazzerà via i più spinti sogni di riorganizzazione. Vi ritroverete a sistemare nei pensili utensili che sarebbero utilissimi a uno chef stellato pensando alla scusa per domani sera: Ceniamo fuori, dai. Non vorrai mica rovinare la cucina nuova?

Lunga vita alla ultras dei colori pastello

Dal Giornale del Popolo del 21 aprile un pezzo lunghissimo. Qui.

Il weekend delle cadute rovinose

Dal Giornale del Popolo del 15 aprile

Nel weekend in cui il mio parrucchiere ha sbagliato tutto per la prima volta, il mio iPhone nuovo è caduto. Laddetto del servizio assistenza Apple che mi ha risposto al telefono ha sopportato lo sfogo, capito che il tema era riparare quellaggeggio o sostituirlo immolando la mia carta di credito, prima che colui che me lo aveva regalato una settimana prima se ne accorgesse. Laddetto del servizio assistenza Apple mi ha indirizzata allApple Store più vicino. Laddetto dellApple Store più vicino era una ragazza con un accento simpatico che ha notato la ricercatezza dei miei occhiali. Mi ha strappato un sorriso nonostante il cuore (e il vetro) spezzato. La seconda addetta allassistenza Apple mi ha chiesto come stessi mentre mi faceva firmare una strana cosa sul suo iPad digitale e intanto mi diceva che con una modica cifra il mio telefono sarebbe stato riparato. Quando? Dopo unora. Lho abbracciata, ringraziata, ho resistito alla tentazione di baciarla e intanto mi sono fatta consigliare una custodia nuova di zecca e costosa per il mio aggeggio. Mentre aspettavo la riparazione, ho girovagato per i negozi del centro commerciale che ospitava lApple Store. E non vuoi festeggiare lo scampato pericolo con un acquisto da niente? E quella camicia in seta, che ha il pregio di esaltare la scollatura e nascondere i fianchi, la vuoi lasciare dovè? Quando sono tornata a prendere il mio telefono avevo speso  poco meno dellequivalente di un telefono nuovo. E avevo maturato la ferma intenzione di comprarmi un altro prodotto Apple il prima possibile.