venerdì 25 gennaio 2013

Ve la meritate Carmen Russo

Dal Giornale del Popolo del 25 gennaio 2013

Sarà che dobbiamo ancora tutti riprenderci dal fatto che Carmen Russo ha venduto l'esclusiva del proprio parto a una non ben identificata (ma di certo coraggiosa) televisione. O forse è l'ennesima ecografia diffusa via social network del figlio di Belen Rodriguez. Sta di fatto che in giro c'è gente indignata. Gente che si strappa il mouse per la spettacolarizzazione a cui vengono sottoposti i pargoli dei nostri vip. Gente incredula perché il figlio di Shakira e Piquet oltre a chiamarsi Milan è stato vestito con scarpette griffate a due giorni dalla nascita e immortalato su Twitter. Il che fa la gioia dei fustigatori dei costumi altrui, ovviamente, perché non c'è palestra di moralismo più efficace di quella degli spazi commenti dei siti o dei social network. Però poi ti nasce un figlio e che fai? Non metti una tenerissima foto del primo dente? Con quegli occhioni così grandi e quei video in cui va pazzo per il telefonino. «È incredibile, gli piace tantissimo», diciamo intimamente gratificante del quoziente tecnologico-intellettivo dell'infante. Le peggiori, in questo carosello, sono quelle che prendono in giro la sovraesposizione mediatica dei figli dei vip e intanto non hanno più una foto pubblica senza figliolanza. Perché non resiste nessuno. Il massimo merito nella nascita dell'articolo è nell'aver spento la tv per una sera, eppure c'è un orgoglio sottile nel mostrarlo al mondo. Che ormai vuol dire mostrarlo sui social network. E spesso alle foto della famiglia felice s'appiccica la tiritera della madre martire che rinuncia alla messa in piega, alle cene fuori e alla manicure per il bene dei suoi cuccioli. Voi, che ci propinate i vostri pargoli in ogni salsa e poi li incolpate, innocenti, della vostra sciatteria. Voi. Voi ve la meritate Carmen Russo.

venerdì 18 gennaio 2013

Leggings are not pants

Dal Gdp del 18 gennaio 2013
Non ci scandalizziamo per i punkabbestia, gli anelli al naso e le orecchie traforate di orecchini. In fondo apparteniamo a quella generazione che ha iniziato a tatuarsi quando era ancora un gesto anticonformista. Però accade che gironzoliamo per il centro e vediamo queste processioni ininterrotte di ragazzine: gambe lunghissime, jeans strettissimi, capelli lisci e freschi di piastra. È da un po', insomma, che il grande tema dell'abbigliamento delle adolescenti ha fatto capolino tra i discorsi profondi di noi ragazze attempate. Noi, che siamo state adolescenti quando avere gli occhiali da nerd era una vergogna e non un vezzo modaiolo, guardiamo queste gazzelle dagli occhi da cerbiatto e non ci raccapezziamo più. Possibile che i brufoli siano passati di moda? E dove sono finiti i complessi, che noi caricavamo in spalla dal mattino presto e abbandonavamo solo la sera di fronte ai telefilm che ci avevano sognare adolescenze californiane? Oggi riflettiamo che mentre noi abbiamo trascorso coperte da abiti informi l'unico tempo in cui avevamo carni abbastanza sode da essere mostrate, queste ragazze sembrano non avere paura alcuna di mostrarsi. Vi risparmiamo la riflessione che è una sicurezza solo apparente, ma di fatto possiamo affermare che è a loro, e solo a loro, che si può perdonare per un attimo l'utilizzo di fuseaux o calze coprenti come fossero pantaloni. Per noi è troppo tardi. E parliamo a noi perché altri intendano: chi ha più di quindici anni non può recuperare il tempo perduto. Guardiamoci in faccia e diciamocelo: le magliette non sono vestiti e i leggings non sono pantaloni.

La fregatura del buon esempio

Dal GdP dell'11 gennaio 2013

Quando succede la bocca si spalanca, i più scaltri indossano un'espressione sbalordita e schifata: «E questa dove l'hai sentita?!». I genitori vivono nell'incubo che un giorno la creatura innocente faccia il suo ingresso nell'universo verbale del turpiloquio (perché succederò prima o poi) e lo faccia davanti a qualche conoscente compunto. In quell'occasione (perché si presenta primo o poi) il sottotesto è ciò che nessuno ha il coraggio di dire ad alta voce: evidentemente ha sentito certe espressioni dal padre o dalla madre perché anche i pedagogicamente analfabeti sanno che imparano per imitazione, le creature. È questa nozione di cultura spicciola diffusa in ogni strato della società che fa sentire chiunque legittimato a imporre la buona educazione verbale ai futuri genitori. Quando tutto quello che vi hanno predetto si avvererà si aprirà per voi unvarco nella foresta dei sensi di colpa. E allora avrete l'illuminazione che da queste parti si teorizzava molto tempo addietro: questa storia del buon esempio è una fregatura pazzesca. In tutti i campi e in quello dell'educazione dei nanetti in particolare. Come se tutta la vicenda di ritrovarsi in casa uno di quegli affarini non fosse una gara dall'esito totalmente imprevedibile a prescindere dal tipo di allenamento. Come se gli sforzi e la dedizione contassero più della volubile fortuna. È della speranza che a questi ragazzi vada tutto come deve andare. Con un angelo custode molto competente e nonostante il nostro pessimo esempio.


venerdì 4 gennaio 2013

Un armadio di buoni propositi

Dal Giornale del Popolo del 4 gennaio 2013

Il proposito di non fare più propositi l'abbiamo disatteso giusto ieri. Quando ci siamo ripromesse di non ridurci così anche l'anno prossimo. Comprare l'agenda i primi giorni dell'anno è pericolosissimo, perché nove volte su dieci non si trova quel che si cerca. L'anno scorso ce l'abbiamo fatta, ma quest'anno il 2012 dev'essere finito prima del previsto perché non c'è stata una mezz'ora libera per comprare quell'anonima Moleskine nera che nessuno smartphone potrà mai sostituire. Sta di fatto che ieri eravamo in due, davanti a quello scaffale desolato dove rimanevano solo modelli inutilizzabili. In giro per il mondo c'era gente con l'agenda giusta e io e quell'altra ragazza lì a contenderci i loro scarti. A un certo punto la compagna di sventura dà il colpo di reni, getta il cuore oltre l'ostacolo e annuncia: «Basta, prendo questa anche se è diversa da quella che uso da anni. Posso cambiare!». Si allontana soddisfatta, di certo più dello slancio che dell'acquisto. Quanto a noi siamo tornate a casa dopo aver implorato la commessa di farci acquistare un'agenda tutta rovinata ma del modello giusto, di quelle che tengono esposte perché la gente le sfogli. È stato come comprare a casa con l'ombretto tester della profumeria. Un sospiro di sollievo tirato non troppo forte per non attrarre i microbi. La commessa si è persino prodigata in uno sconto del 15 per cento. Sempre meglio che essere esortate, da un'altra commessa pochi giorni prima, a comprare un vestito stretto come sprone a entrarci prima o poi. Come se i nostri armadi non fossero come le agende. Pieni di propositi.

Il mio regno per un camino

Dal Giornale del Popolo del 28 dicembre 2012

Dice che non bisogna abituarsi. Il pranzo sempre pronto, il fuoco che arde nel camino, le babysitter gratis e volontarie sono lussi da vacanze di Natale col parentado in subbuglio perché siamo quelli che non si vedono mai. Dice di non farci il callo che poi, una volta tornati a casa, ricomincia la solita vita che benediciamo pure perché l'indipendenza è la cosa più importante e figurarsi se la barattiamo per un paio di comodità piccolo borghesi che facilitano il sostentamento. Così domani si riparte, le valigie pronte e i regali già cambiati nella tradizionale sessione di shopping post natalizio che serve a sostituire le taglie sbagliate e a rimpinguare il carnet dei doni. Si riparte e dice che non bisogna guardarsi indietro, pensare al paesello e a quei giorni da figli viziati, perché in fondo alla strada ci sono l'autonomia e la libertà e il fatto che tutto questo non sia riscaldato dal camino è un vantaggio: vuoi mettere la scomodità di gestirne uno in città? Ci lasciamo alle spalle quattro giorni da bamboccioni a spese dei genitori e ora ci ritroviamo felici e frastornati come il giorno dopo una sbronza perfetta, di quelle in cui si perde il senno senza smarrire la ragione. E tutto così leggero, sfuocato e perfetto che dura quasi per un'intera mezz'ora di viaggio. Poi comincia la ricerca della giustificazione per tornare, in solitudine, e restare una settimana intera  a fare niente. Un po' come quando si manometteva il termometro per guadagnare qualche giorno in più a casa da scuola, sprofondati sul divano ad ammazzarsi di televendite. Bamboccioni si resta sempre.