venerdì 16 dicembre 2016

La febbre del giovedì mattina

Dal Giornale del Popolo del 16 dicembre
Già li senti se si svegliano la notte, la mattina aspetti un po', perché al risveglio si è sempre un po' accaldati. Poi l'occhio da pesce lesso e un'insolita indolenza nell'aprire la casellina del Calendario dell'Avvento ti inducono a prendere il termometro. L'aggeggio non può che confermare ciò che persino tu avevi capito: febbre, alta ovviamente, perché per i bambini o è alta o non è. La febbre infrasettimanale per il genitore non supportato da nonni a distanza di cortesia è una sciagura inenarrabile che rivela una volta per tutte il nostro vero volto di genitori cialtroni. “Ma se sto male non posso mangiare la Nutella” “Certo che puoi, è comfort food”, dici stoppando quella bambina di buon senso inspiegabilmente atterrata nella casa della confusione. Parallelamente alla caccia alla baby sitter comincia la battaglia delle agende, dove l'uomo e la donna adulti e irresponsabili di casa cercano di capire chi abbia una giornata trascurabile e possa immolarsi per la salute della creatura. Vince lui perché lei ha pure sempre la riunione più importante dell'anno ma può connettersi via skype. La bambina, ovviamente resuscitata grazie alla Tachipirina, è allegra e felice e non le pare il vero di poter fare tutto quello che vuole: Winx e altri cartoni diseducativi sono tollerati purché faccia silenzio e non entri troppo nell'inquadratura della riunione. Così a mezzogiorno passato, tra briciole ovunque e un carico di ore di televisione che basterebbe per tutto l'anno la creatura si affaccia al computer: “Hanno finito di parlare quelli lì? Dai che guardiamo un po' di tv!”.


martedì 13 dicembre 2016

L'importante è non prenderla sul personale

Dal Giornale del Popolo del 9 dicembre

A scuola, in ufficio, a casa, siamo circondate da maschi e anche quando pensiamo di conoscerli fin troppo bene rimaniamo di sasso di fronte all'imperturbabilità che li contraddistingue. Dopo una giornata di ingiustizie e di ferite arrivi sfinita e pensi: ora ne parlo con lui, mi abbraccerà, guarderemo un film dopo aver steso una bottiglia di rosso in questa vigilia di anniversario. Racconti, spieghi, dici e quello obietta come un poliziotto che dovesse mettere a verbale: “Non raccontarmi quello che pensi tu, per favore, raccontami quello che è successo”. Racconti quello che è successo, ti attieni ai fatti, concedi che non bisogna mai aspettarsi granché, che in fondo è fisiologico che tutto deluda. E loro ascoltano. Non tirano fuori il cellulare perché tu hai già gli occhi iniettati di sangue e fiutano il pericolo. Poi dicono quello che dicono tutti i maschi in situazioni analoghe: “Non prenderla sul personale”. Neanche stessi parlando del parrucchiere low cost che ti ha fatto tornare a casa come un incrocio tra Milly Carlucci e Re Sole. Neanche stessi inveendo contro l'ingiustizia dei prezzi di Hermès. Tu racconti che la tua vita è in discussione che ti senti sola, incompresa, in un vicolo cieco e loro vorrebbero che tu non la prendessi sul personale. La situazione precipita e in un momento ritrovi tutta la forza che ti mancava perché finalmente hai un nemico chiaro. È lui, tutta colpa sua, perché non capisce, perché non ha il cavallo bianco, perché non ti ha regalato un brillante perché, esattamente sei anni fa a quest'ora, rifiutava di ballare al suo matrimonio che casualmente era anche il tuo. È lui. Ma è solo un piccolo sfogo. L'importante è non prenderla sul personale.

giovedì 8 dicembre 2016

I nostri bambini e il trattamento "laboratorio"

Dal Giornale del Popolo del 2 dicembre
In questa stagione fredda e invernale, che rende impraticabili parchetti e zone aperte, molti adulti ci cascano. Cascano nella tentazione di iscrivere i propri figli ai laboratori organizzati in ogni dove, purché siano in luoghi chiusi e riscaldati. Tentiamo in questo modo di risparmiare alle nostre case l'effetto post atomico che ha un pomeriggio di gioco con gli amichetti, quando bastano un paio d'ore a ritrovarsi Barbie nel frigorifero, macchinine nella vasca da bagno e più oggetti non identificati del solito sotto il divano. Beninteso, c'è anche chi lo fa pensando a degli scopi educativi e credendo dunque che imparare a fare il pane, a riparare biciclette, a colorare con i piedi e a fare Yoga sia un'esperienza imprescindibile per la crescita di bambini di quattro anni. In questo modo cerchiamo anche di avvicinarli all'arte, appioppandoli a guide appositamente istruite per fargli fare visite “multisensoriali” al museo di turno. I poveretti vanno, imparano, socializzano con altri bambini sottoposti al medesimo trattamento laboratoriale e poi tornano a casa. Mangiano cibo a km zero, biscotti senza olio di palma, imparano cose che la maggior parte dei loro genitori, che nei meravigliosi anni Ottanta si ingozzava di Tegolini come se non ci fosse un domani, non sapranno mai. Bambini così preparati dovrebbero essere allenati ad essere portati in alberghi da mille e una notte, quelli in cui scegliamo di passare gli unici due giorni di vacanza dell'anno. Rimpiangeremo di non avere una tata a cui affibbiarli quando, nel salone dove le colazioni costano come una cena di gala, loro strepiteranno chiedendo PANGOCCIOLE E SUCCO! Non c'è laboratorio che tenga. E forse questo è soltanto un bene.