venerdì 31 ottobre 2014

Ragazze, quei corpi *sono* perfetti. E il petizionismo abbruttisce

Dal Giornale del Popolo del 31 ottobre

Siamo diventati un popolo di lanciatori di petizione, mettitori di mani avanti ansiosi di puntualizzare che quello che vediamo scintillare nella pubblicità potrebbe non essere identico nella vita reale. Hai visto mai che qualcuno pensasse che il cioccolato e le nocciole danzassero nell'etere prima di tuffarsi nella dolce cialda del Kinder Bueno. O che gli omini antimacchia contenuti nel nostro detersivo non siano realmente pronti a mostrare i muscoli quando apriamo il flacone per far partire la lavatrice. Hai visto mai, dico io, che qualcuno non avesse capito che l'essere migliorativa ai limiti dell'ingannevolezza, è l'essenza della pubblicità. Nessuno si aspetta la verità, quella con i chiaro scuri e i pro e i contro. Chi ne volesse almeno una buona imitazione frequenterebbe i forum on line, dove c'è sempre un sedicente inflessibile recensore di qualunque cosa. Perciò voglio dire una cosa alle studentesse americane che hanno lanciato una petizione sul web perché si sono sentite offese dalla campagna di Victoria's Secret dove modelle magre ma con le rotondità al posto giusto posano in biancheria intima sotto lo slogan The perfect body, il corpo perfetto. Le studentesse obiettano che definire perfetti quei corpi è offensivo per le donne che non portano la quarantadue. Ragazze, quella è forse una delle poche pubblicità oneste. Quelle signorine sono davvero perfette. E lanciare petizioni per la revisione dei canoni di perfezione non vi renderà più a vostro agio con voi stesse. Soprattutto perché il “petizionismo rivendicativo” abbruttirebbe anche le migliori.

Zellweger, l'accettazione sociale e il decoupage

Dal Giornale del Popolo del 24 ottobre

Come abbiamo fatto a non capirlo prima? È lo stile di vita sano, sinonimo o mal che vada sottoinsieme della felicità, a rendere bellissime. Ma che dico bellissime: liscissime, prive di ogni ruga, tirate al punto da fare a meno di tutta l'espressività superflua. Perché rischiare una miriade di espressioni quando si può accontentarsi di quella giusta? Poi il caso vuole che quella giusta sia un ghigno in cui il sorriso è in predicato perenne di divenire tragedia e non c'è più niente da fare. Soprattutto: non c'è più niente da distinguere e una Donatella Versace è solo l'ultimo anello di una catena tragica che comincia con Nicole Kidman e prosegue con Meg Ryan o quel che resta di loro. Stiamo parlando della plastica, del botox, dei ritocchi e tutto quello che, come uno strato di decoupage su un mobile vecchio, si sovrappone fino a che un giorno ti svegli e non sai più se quella su cui hai iniziato a lavorare era una sedia o una lampada. Qualche giorno fa Renee Zellweger, l'attrice di Bridget Jones, è apparsa molto diversa da come ce la ricordavamo. Di fronte alle foto del passato fornite dai tabloid l'attrice ha detto che sono sciocchezze, è diversa perché finalmente vive una vita sana e più felice. Dopo decenni di assuefazione e quella che pensavamo una discreta accettazione sociale siamo ancora lì: il ritocchino va sempre negato. E rimane aperto il dilemma che ci assale di fronte a quelle anime deturpate da labbra a canotto e zigomi schizzati a un paio di centimetri dalla fronte: c'è davvero un canone di bellezza che non comprendiamo e a cui queste signore plasticamente rispondono? O semplicemente si sono fatte sfuggire il bisturi di mano?

venerdì 10 ottobre 2014

Il vaccino che non c'è

Dal Giornale del Popolo del 10 ottobre

Ancora una passata di shampoo e sarebbe finita a prospettare un ritorno della Sars o dell'influenza aviaria. Sono le ultime due malattie che mi sono venute in mente, lei, la mia vicina di doccia nella piscina che non frequentavo da davvero troppo tempo, si è limitata a parlare del virus Ebola. “Perché con tutta la gente che entra in queste piscine, vuoi vedere che non arriva pure l'Ebola?” ha detto come se il virus potesse prendere un biglietto dell'autobus ed entrare dall'ingresso principale con la faccia diabolica come facevano i virus del cartone Esplorando il corpo umano. Dalla mini enciclopedia tratta da quel cartone animato ho imparato l'esistenza dei globuli rossi; con l'Allegro Chirurgo l'esistenza del Pomo d'Adamo. Le mie conoscenze mediche si fermano lì e non mi rimane che sperare che nelle nostra discendenza compaia prima o poi qualcuno che pratica professioni davvero utili (se non un'estetista, almeno un medico, Signore mio). Continuando a insaponarmi con sempre maggiore vigore ho cercato di riportare equilibrio nel discorso, dicendo quelle cose che persino un'ignorante che non guarda un telegiornale da giorni ha ormai sentito da qualche parte: il contagio avviene solo per contatto diretto con un malato, l'incubazione può durare fino a 21 giorni e le basilari norme di igiene personale servono più degli allarmismi. Però non ho avuto il cuore di dirle davvero tutta la verità, quella scomoda, dura, difficile da accettare. Che purtroppo contro l'ottusità non c'è vaccino. 

venerdì 3 ottobre 2014

George e Amal, c'è posto per voi

Dal Giornale del Popolo del 3 ottobre

Le case piccole e i traslochi sono spietati. Ti mettono di fronte a tutto quello che hai custodito per anni e che sembrava così indispensabile mentre prendeva polvere sullo scaffale più alto della libreria più piccola. Poi arrivano delle necessità impellenti (imbianchi casa o sei costretta per cause di forza maggiore a fare gli scatoloni) e tutto si rimette in discussione. Ad ogni ritrovato ci siamo guardate con l'amica fidata, cercando nell'approvazione altrui un rimedio al nostro incommensurabile sconforto. Tra la polvere sono saltati fuori diversi libri ormai inservibili e una miriade di rotocalchi. A un occhio non esperto poteva sembrare spazzatura e invece c'era tutto, conservato con una precisione che se applicata ai risparmi o ai conti di casa ci renderebbe ricche. Vado in ordine sparso: copertina di Chi con Berlusconi pre lifting con figli e nipoti; matrimonio Gregoraci-Briatore con svariati approfondimenti sulle difficoltà di allattamento del piccolo Falco (qualcuno ricorderà che una improvivsa visita della Guardia di Finanza fece andare via il latte alla signora Briatore); bibliografia nutrita di matrimonio Kate e William, compreso monografico di Newsweek intitolato “Keat the Great”; le prime foto di Shiloh Jolie-Pitt su People; un Panorama strappalacrime dopo la morte di Pietro Taricone. Ora abbiamo molta polvere sulle mani, qualche cimelio scampato alla furia ordinatrice e molto spazio. Molto spazio per le lunghissime gambe della signora Clooney e per almeno un paio di foto di quello che molti giornali hanno avuto il coraggio di definire “matrimonio a sorpresa”, solo perché s'è svolto in albergo anziché in un altro posto.

La privacy per un pugno di like

Dal Giornale del Popolo del 26 settembre

A ormai due anni dalla nascita della figlia Blue Ivy, Byoncé ha diffuso un video in cui posa provvista di pancione ignudo insieme al marito Jay Z. Solo così –forse – si sopiranno le maldicenze sulla falsità della sua gravidanza, che qualcuno ipotizzava risultato di una madre surrogata per il solo fatto che la cantante non si era mai fatta fotografare nuda col pancione. Certo qualcuno continuerà a fantasticare, perché la madre dei complottisti è sempre incinta, ma in genere buona parte di noi può mettersi l'animo in pace perché “ha visto” quanto basta. Perché fotografare (e filmare) non basta se non c'è qualcuno che può ammirare le nostre prodezze. Quello che è maledettamente vero per le celebrità è terribilmente vero anche per i comuni mortali. Perché noi ci scandalizziamo se Belen Rodriguez pubblica su Facebook non solo le sue foto ma anche quelle del figlioletto. Ma poi siamo sempre alla scrivania della compagna di ufficio a commentare gli scatti di amiche perse di vista da anni che su Facebook esibiscono la prole. Byoncé l'ha fatto in un concerto, Belen usa Instagram tutti i giorni. Lo fanno quasi tutte le celebrità. E sopratutto lo fa la metà delle mamme attente e consapevoli, regine di case piene di vestiti in cotone organico e giochi di legno. Teoricamente molto contrarie a diffondere foto dei piccoli. Ma pronte a tradire qualunque principio per un pugno di like.