venerdì 25 gennaio 2008

Donne e motori

Dal Giornale del Popolo del 25 gennaio

Googlare il nome del fidanzatino del liceo di tua sorella e trovare il suo sito personale. Scoprire che si è sposato in spiaggia come fino ad ora avevano fatto solo Ridge e Brooke, che ha una moglie e un paio di figli, che è bello ed eccessivo come era quando veniva a prendere in moto tua sorella e tu li spiavi e ascoltavi le loro telefonate alzando pianissimo la cornetta del telefono dell'altra stanza. Essere costretta ad andare a Parigi per lavoro senza neppure un paio d'ore di tempo per fare un saltino da Colette. Comprare dei meravigliosi stivali antipioggia gialli e di marca nel momento in cui il paese si avvia verso la siccità. Abbandonare la dieta di fronte a un pacco di Canestrelli al burro. Andare alla lezione di muscle definition in palestra ed essere pubblicamente ripresa dall'insegnante perché hai scelto i pesi troppo leggeri. Ricominciare per un'oretta a mangiarsi le unghie ascoltando sofismi crudeli. Mettersi a leggere una biografia di Coco Chanel e prendere sonno all'istante. Ingozzarsi di zuppe alla zucca fino a vedere arancione dappertutto. Tutto si può fare e tutto può capitare nello sforzo titanico, patetico eppure sacrosanto di archiviare un gennaio gelido. Persino trasecolare di fronte a un meccanico che ti annuncia che la nuova marmitta per il tuo motorino costerà quanto la tua ultima borsa di Vivienne Westwood e non è neppure un'edizione limitata. Tutto si può fare, ok. Ma è giusto che quell'energumeno in tuta blu ti insulti perché sei donna e non capisci niente di motori e poi ti guardi dall'alto in basso, manco fossi tu una marmitta e butti là la proposta indecente: "Bè, dai ti faccio pagare solo il pezzo di ricambio, poi magari la manodopera te la regalo". Lasciando intendere che la farebbe volentieri su di me, la manodopera. La manodopera? Cioè: non valgo neanche una marmitta tutta intera?

giovedì 24 gennaio 2008

mercoledì 23 gennaio 2008

Marvellous

È come ritrovare un paio di dr. Marten's dalla soffitta e trovarli ancora più splendidi e meravigliosi. Questo disco è tanto tenero e tanto bello.

venerdì 18 gennaio 2008

Non c'è Kate senza Pete

Dal Giornale del Popolo del 18 gennaio

Ieri sera mi sono iscritta a una newsletter e ho realizzato che non sono più nella fascia "sotto i 25", ma "tra i 25 e i 30". Ho parato il colpo con la diplomazia che solo una donna conosce, ovvero raccontandomi quanto ho guadagnato in femminilità e sicurezza in questi mesi splendidi in cui le unghie non le mangio più e ho smesso di fumare e bevo solo in compagnia e la sera esco, certo, ma senza bisogno di gridare al mondo che esisto tirando tardi e fumando tanto. Sbadigliavo contenta di questa mia nuova vita sana e consapevole, quando uno dei miei amici che della chiacchiera libera hanno fatto un mestiere (un giornalista, ahimè), ha creduto bene di farmi sapere come Kate Moss ha festeggiato i suoi 34 anni. All'istante ho smesso di pensare che festeggiare il compleanno sia terribilmente fuori moda e ho preso appunti. (Giacché grandi, autonome, posate sì, ma fuori moda mai). Pare dunque che Kate abbia organizzato una festa di 34 ore (una per ciascuno dei suoi anni), una sorta di due giorni itinerante nel cuore di Londra, con carrozzone di amici e fidanzato al seguito. Ad aiutarla a soffiare sulle candeline c'erano infatti il suo amico padrone della catena di abbigliamento Top Shop, qualche amica modella, il chitarrista dei Rolling Stones e un altro chitarrista che è più facile rubricare come la sua nuova fiamma. Non c'era, invece, Pete Doherty, il cantante dei Babyshambles con cui Kate ha condiviso anni di tira e molla, vita dissoluta, droghe e notti brave. Forse anche Kate ha messo la testa a posto? Ci pare già di vederla, spalle dritte e cuore sotto vuoto, che cancella il numero dal cellulare. Un altro paio d'anni e magari smetterà anche di saperlo a memoria. Vero Kate? Dicci che funziona così!

venerdì 11 gennaio 2008

La teoria della scala anticendio

Dal Giornale del Popolo del l'11 gennaio 2008

Tutto accade perché non c'è la scala antincendio, mentre noi siamo sempre convinte che ci sia. Il salvacondotto, la via d'uscita anche nella situazione più straziante. Si deve tutto ai film americani. Quelli che c'è il finale palesemente ingiusto in cui loro due si lasciano facendo trionfare le ragioni della ragione invece di quelle del cuore e tu sei lì sul divano che fremi, perché non può finire così. Il fatto che è un film lo capisci perché, effettivamente, non finisce così. Prendiamo Pretty Woman. Anche lasciando perdere tutto il manuale di gestione dello shopping che è comunque un lascito importantissimo di quella pellicola, il film ci permette di individuare, e anche nominare, il cosiddetto piano scala antincendio. Julia Roberts e Richard Gere si lasciano perché "non può funzionare". Lei è una prostitua, lui un grosso manager, ma soprattutto: lei vuole un principe azzurro con un cavallo bianco e lui può offrirle solo un appartamento e qualche appuntamento ogni tanto. Lasciate per favore perdere il fatto che voi direste sì all'appartamento e a un Richard Gere fidanzato a intermittenza. Dunque. I due si mollano ma poi lui capisce che lei è la sua principessa, torna indietro in limousine, va sotto la sua finestra con un mazzo di fiori (e Dio solo sa quanto noi ragazze di provincia siamo vulnerabili ai fiori) e le grida il suo amore come lei lo vuol sentire (e sottolineo "come lei lo vuol sentire"). Poi corre a salvarla usando la scala antincendio che esiste in tutti i film americani. Bacio. Sigla. Si tratta, per intenderci, di quel che accade in Notting Hill (altra pietra miliare) e non in Casablanca (motivo per cui la pellicola è vietata a noi capricciose). Capito adesso? Capito perché al "voltiamo pagina" non siamo mai capaci di crederci fino in fondo? Capito perché le finestre sono piene di sciocche ragazze alla finestra ad aspettare un mazzo di fiori per fare pace? Non siamo noi, è il cinema che ci ha disegnate così.

mercoledì 9 gennaio 2008

Ma Sarko ha una convenzione con Dior?

Lo stesso (bruttissimo) anello per due donne (grazie a Betta per la segnalazione). Sarko ci ricorda il Richard di Samantha, che commissionando i regali per la sua bella al segretario finiva per fare clamorose figure di merda. Sex and the city, come sempre, anticipa la realtà. Sì, vabbè, ma adesso non mettetevi ad aspettare che Mr. Big vi strappi dalle braccia del Petrovski di turno per dire che amerà voi for ever and ever!

Salvate Britney

Eccessiva e incosciente, Britney, alla fin fine è tutte noi, smarrite su vie che credevamo safe. Droghe, amicizie sbagliate, tagli di capelli assurdi. Certo, se le è cercate tutte. Ed è per questo che va salvata... imperativo che si può tranquillamente tradurre con lasciata in pace. Good luck, Britney!

venerdì 4 gennaio 2008

Testamenti d'inizio anno

Dal Giornale del Popolo del 4 gennaio 2008

Cinque, sei, sette, otto. L'anno buono per la dieta è il 2008. Tre, due, uno. Forza ragazze la cellulite non è nessuno. Tra un esercizio e l'altro giusto il tempo di scrivere due righe, prima della fine. Intesa come fine della rubrica perché credo abbia i giorni contati, è tempo di cambiare e dopo due anni in effetti gli argomenti si ripetono. Sarà per questo che, complice lo sforzo fisico, pensavo a testamenti, lasciti e affini. Se infatti sono certa di avere schiere di amiche pronte a una guerra civile per il mio guardaroba, non credo di aver tanto da lasciare sul piano delle idee. D'altronde con guru come Alfonso Signorini, non c'è certo bisogno di Ficcanase in giro. Però la massaggiatrice che mi ha fatto il massaggio con riflessuologia plantare che mi hanno regalato a Natale mi ha detto, testuale, che devo «liberare le mie emozioni, raccontarmi, parlare, arrabbiarmi e non tenermi tutto dentro che poi mi viene la dermatite». E quindi io mi libero, parlo, sclero. Faccio ciò per cui Dio ha creato le femmine, insomma. Cambio idea ogni trenta secondi e provo un acuto piacere nel contraddirmi, però credo che alcuni punti fermi si possano comunque elencare. Nutro un odio profondo per la french-manicure, la Pinko bag e i bauletti di Vuitton (tranne quello di trent'anni fa che ho trafugato a mia nonna). Credo nella magrezza come filosofia di vita e invidierò sempre quelle stecchine. Credo che indossare dei tacchi con disinvoltura ti garantisca una migliore qualità della vita, almeno quanto avere un ventre piatto ti assicura un'ottima compagnia maschile. E lo dico adesso, lo dico a voi, perché lo so che il giorno in cui diventerò famosa quando mi intervisteranno dovrò dire che odio cose come l'ipocrisia e il conformismo e detesto la mondanità. E chissà, magari dirigerò Vogue e mi toccherà pure dire che le modelle devono essere più grasse. Ricordatevi di queste righe, in quell'infausto giorno in cui sarò sulla copertina di Vanity Fair.

giovedì 3 gennaio 2008

Nevica ed è come agosto

Nevica, nevica, nevica! A Milano nevica e noi (intesi come noi tre che siamo in città a lavorare) siamo tutti con simil mon boot e cappello da sci. Tutti sono preoccupati e dovrei esserlo anche io, che già stamattina in motorino si sciava, ma è mooolto bello. E poi c'è quella solidarietà tra reduci in città, come in agosto
(credit della foto: Därio)

mercoledì 2 gennaio 2008

Quando si dice il made in Italy

Si ciancia di declino e iniezione di fiducia e Panorama cosa dice? "Abbiamo ancora la gnocca da esportare". Grazie ragazzi!

Buone feste

Dal Giornale del Popolo del 28 dicembre

È perché "Le parole sono importanti" (come diceva Nanni Moretti), che ce ne sono tantissime. Per tutte le occasioni. Ci sono parole per studiarsi, per conoscersi, per coinvolgersi. Ci sono parole per riempire il tempo e intrattenersi. Parole per non parlarsi più, parole per amarsi o per non amarsi, parole per restare senza parole. Infinite, le categorie. Di questi tempi, per dire, c'è il classico "buon Natale" per i timorati di Dio o il disimpegnato "buon anno" per quelli che più che il cielo vogliono ingraziarsi la buona sorte. Ecco, con tutte le parole che ci sono perché uno deve ridursi a dire a un altro "Buone feste"? Come se non fosse abbastanza c'è anche chi, oltre all'augurio, sbaglia il mezzo. La mattina di Natale mi alzo di buon ora per scartare i regali e dare una soddisfazione a Babbo Natale (lavoratore usurato e ben oltre i 65 anni) e non faccio in tempo ad alzarmi dal letto che sono sommersa dai biip. Gli auguri di buone feste direttamente sul cellulare. Un incubo, una tortura: lo stesso messaggio mandato a tutti i numeri della rubrica. Il mio spirito reazionario e retrogrado si ribella ma mentre medito una vendetta a suon di biglietti scritti a mano e con pensieri che sgorgano dal profondo del cuore altri biiip a raffica sommergono il mio spirito libero e alternativo. Finché non mi ricordo di quel tale. Quello che a una lettera strappalacrime, spaccacuore, una lettera verità partorita in una notte insonne dopo anni di incubazione più o meno inconsapevole, ha risposto "ok". A quell'altro che dopo orde di parole importantissime mi ha salutato con "ci sentiamo". A tutte le amiche dei falsi "non prendertela", "l'amicizia è più importante di qualunque cosa" eccetera eccetera. Allora con giorni di ritardo ho scritto a tutti un sms. Diceva: "Buone feste".

L'invidia sotto l'albero

Dal Giornale del Popolo del 21 dicembre

Giardini addobbati come luna park, presepi di venti centimetri quadrati con una densità di pastori e pecore che neanche in centro la vigilia di Natale e poi dolci calorici, cotechino e zampone, regali impacchettati con carte riciclate dall'anno precedente, nonne sovrappeso che frugano sotto il materasso per cercare le banconote da distribuire ai nipoti. L'elenco delle cose che non succederebbero mai a casa di Carla Bruni è tanto lungo quanto impresentabile. Ci penso da giorni e ormai so che il motivo per cui quella donna genera tanta antipatia da queste parti è l'invidia. Scuotevo la testa mentre commettevo il solito abuso edilizio costruendo alla Sacra famiglia una campagna pericolante con legne rubate al camino e realizzavo che trattasi di invidia antropologica. Il concetto è complesso e merita di essere approfondito prima che il panettone ci ottunda definitivamente la mente. L'invidia, capite, non è per le gambe lunghe come autostrade, il sorriso perfetto, la carriera da modella e da cantante, il flirt col presidente Sarkozy. Perché uno a dieta ci si può mettere, a strimpellare una chitarra può imparare, persino a concupire un presidente si può impegnare. In un sacco di campi la dedizione rappresenta un ottimo surrogato del talento. Solo che, ecco, pronunciare frasi del tipo: "sono fedele soltanto a me stessa e mi sento una gatta e non sono fatta per la monogamia", fino al sublime "non sono snob" con la noncuranza e la delicatezza di una che dal salumiere ordina un etto di prosciutto non può che essere una dote innata. È l'invidia viscerale per uno spirito da vera snob che si libra alto nel cielo, mentre il nostro resta incastrato alle luci dell'albero di Natale.