venerdì 29 luglio 2016

Io, che ho creduto alle promesse di un Lip Maximizer

Dal Giornale del Popolo del 30 luglio

Mi chiamo Laura, ho 36 anni portati discretamente, una taglia 44 che vivo con soddisfazione a giorni alterni. E credo alle pubblicità. Devo averlo scritto in faccia, in fronte, o tatuato inconsapevolmente in una parte visibile a tutti del mio corpo, perché sembrano capirlo tutti. Ogni tanto, a casa, osservo alcuni oggetti che mi ritrovo intorno e mi domando come sia possibile. Come sia possibile aver pagato dei soldi per un “Lip Maximizer”. È colpa (o merito) di quell’insuperabile beauty-expert di Dior, che un giorno è riuscito a convincermi che quel prodotto, un lucidalabbra, aveva reali proprietà miracolose e volumizzanti, fondamentali per le mie labbra sottili. Un secondo dopo mi ha dotato della matita per sopracciglia che ha finalmente permesso al mio viso di avere una cornice adeguata (“tesoro, le sopracciglia sono importantissime: sono la cornice del viso. E tu ha degli occhi così belli, valorizziamoli!”). Credo periodicamente anche alle meraviglie del supermercato, come gli hamburger vegetali, le verdure in forme accattivanti per attrarre i bambini, il dentifricio per i denti bianchi. Del resto ho ricordi di infanzia in cui, alle fiere e ai mercati, mi perdevo a osservare i venditori di stracci miracolosi e affettaverdure potentissimi. Credo a tutto. Per questo credo che le pubblicità on line personalizzate sui social network possa francamente considerarsi circonvenzione di credulona. Da rendere illegale al più presto. 

Del perché i maschi non si accorgono di nulla

Dal Giornale del Popolo del 22 luglio

"Accidenti, che tosse. Bè ma stai tranquilla: è grassa. Anche quella!”. La malcapitata racconta l’episodio come uno dei rari, rarissimi momenti, in cui il suo lui ha notato qualcosa di lei. Andiamo dal parrucchiere, spendiamo un quarto del nostro stipendio, ritorniamo bionde quando siamo partite corvine, rasate dopo essere uscite di casa con una coda di cavallo lunga fino al sedere. Andiamo dall’estetista, ci tatuiamo le sopracciglia in modo da averle sempre ordinate e sottostare ai dettami dei più rigorosi visagisti esperti di bellezza. Per non parlare di quando ci vestiamo da gran sera, finalmente fiere di avere occasioni mondane all’altezza dei nostri guardaroba. E loro? Niente. Se ci presentassimo in giro come straccione spettinate non noterebbero la differenza, si accorgono delle nostre borse-investimento solo quando sono talmente piccole da non poter contenere il loro portafoglio, il caricatore, i colori per intrattenere i bambini al ristorante, il loro telefono. Non si accorgono di niente. Eppure ogni benedetta volta glielo chiediamo: "Allora, come sto?". Ormai non ci scannerizzano neanche più alla velocità della luce per trovare le differenze; rispondo in automatico sfoderando un sorriso da professionisti: "Stai benissimo". Non si accorgono di nulla. E visto quello che ci dicono quando si accorgono di qualcosa, l'incoscienza è comunque una enorme benedizione.

Cuore di babbo

Dal Giornale del Popolo del 15 luglio

Prima di Edipo, prima di Freud. Mi domando se ci vogliano tutti questi riferimenti alti per motivare ciò che ogni figlia femmina sa nel profondo del suo cuore: non ci sarà maschio, marito, compagno, flirt che eguaglierà la nobiltà d'animo, la simpatia, la leggerezza dei nostri padri. Quelli che non hanno paura di niente perché hanno una fede sincera nella vita, quelli che ci riempiono di contanti, formaggi e salumi ad ogni viaggio come se partissimo per la guerra. Prima o poi i maschi che frequentiamo si scontrano con tutta quella generosità, si sentono minacciati, chissà, forse nel loro ruolo di maschi della specie. Loro, quelli moderni che spingono le donne a lavorare, quelli che si vantano di aver imparato a caricare la lavastoviglie come se significasse scalare il K2, quelli che sanno aggiustare cose in casa e pulire il filtro dell'aria condizionata. Loro, che sembrano non aver nulla da invidiare a chicchessia, prima o poi un piccolo scontro coi nostri padri irraggiungibili non possono che averlo. Non capiscono che soldi, salumi e consigli ce li darebbero anche se noi fossimo miliardarie, vegetariane, intelligentissime e assennate. Perché un padre, un babbo, a una figlia femmina dà tutto perché la generosità è la cifra del suo carattere e la misura infinita del suo amore. Non c’è nulla di edipico in tutto questo perché nessuna di noi cerca suo padre nel maschio che frequenta o che sposa. Ogni volta ci diciamo che solo madri come le nostre possono sopportare padri come i nostri. E però quando li guardiamo negli occhi, quei padri, sappiamo che non c’è abbraccio forte e sicuro come quello che un babbo riserva alla sua (eterna) bambina.

martedì 12 luglio 2016

Le vacanze e il mio posto del cuore

Dal Giornale del Popolo del 1 luglio

Il posto dei mirtilli, il luogo segreto di ciascuno di noi che nella memoria diventa mitico. Di questo parlava la rubrica di Michele Fazioli sul GdP di sabato scorso e seguendo la discussione che ne è seguita su Facebook ho cercato nella mia memoria: ce l’ho un posto del cuore? Di sicuro le vacanze con mia nonna, quando partivamo in pullman 3/4 nipoti affidati alle sue cure per andare alla vacanza in montagna della parrocchia. Per mia sorella e mia cugina erano gli anni dei primi fidanzatini, io invece restavo attaccata alla nonna (avrà avuto poco meno di 70 anni allora) e imparavo che si può avere carattere anche in montagna e andare per sentirei con gonna di jeans e scarpe da camminata con la zeppa. L’altro ricordo sono le vacanze in Jugoslavia (ancora orgogliosamente non ex), con viaggi infiniti e un mese intero a lasciarci bruciare dal sole guardando quel mare da sogno. Poi quella vacanza assurda in cui mia sorella maggiore ha pensato bene di sfiorare la morte e io venivo rimpatriata affidata alle cure di amici e a casa ero preoccupatissima perché la mamma non tornava mai dall'ospedale e l'inizio della scuola si avvicinava senza che noi avessimo fatto la tradizionale spesa di cancelleria. Da allora in Sardegna non ci siamo mai più ritornati tutti insieme. E poi quell’altra volta in montagna, io ero già più grande, e mia mamma batteva le mani in modo ridicolo per tenere lontane le vipere dal sentiero. E noi ci vergognavamo di lei. Proprio come fanno oggi i nostri bambini quando vedono noi, sciocchi, ballare sulle note di Vorrei ma non posto

Sentirsi in pace, facendo un puzzle

Dal Giornale del Popolo dell'8 luglio

È il periodo delle libertà. Libertà di stare in vacanza e immortalarsi felici sui social, libertà di mettersi in costume e rivendicare la propria forma fisica non perfetta. Le ultime sono state Emma Marrone e Clio di Clio Make Up, entrambe ansiose di raccontare a tutti quanto sono in pace col proprio corpo. Qualcuno le ha criticate, qualcuno le ha ammirate, in tutti i casi l’istinto di molte di noi è stato: e io? E io, se fossi famosa ed esposta a continue fotografie a figura intera con tanto di impietosi paragoni con l’anno precedente, cosa farei? In fondo leggiamo i giornali di gossip, guardiamo gli altri sui mezzi pubblici, spiamo le loro immagini sui social o le zeppe della vicina, rabbrividendo per il rumore del rimando del tallone sudato sulla scarpa, per pensare: sono così anche io? Quei sandali che ho comprato con tanto entusiasmo fanno lo stesso, insopportabile, rumore? Guardiamo gli altri per guardarci allo specchio, sentirci migliori o peggiori, ma comunque, avere un metro di paragone, perché alla fine siamo più interessati a noi stessi che a qualunque altra cosa. Forse dovremmo ricominciare tutti a disegnare. Come la bambina di quattro anni che ieri si è scusata: mi spiace ma ti ho fatto meno bella di me nel disegno e anche più piccola. Adesso il più grande del disegno è il padre della bambina, quello che le insegna il metodo infallibile per fare i puzzle che lei applica con rigore, mettendo prima in fila tutti i pezzi di contorno. Probabilmente la mamma tornerà più grande del disegno quando imparerà a fare i puzzle. O almeno a non fare rumore con i sandali d’estate. 

The floating pears e quell'opera d'arte che si chiama amicizia

Dal Giornale del Popolo del 30 giugno

C’è chi è partito all’alba, chi si è messo in macchina nel cuore della notte, chi ha preso un giorno di ferie infrasettimanale cercando di evitare ciò che è parte integrante dell’attrazione: la gente. C'è chi ci è andato apposta per lamentarsi dei disservizi dei treni, c'è chi non ci è andato in protesta contro l'arte, la contemporaneità, l'arte contemporanea e il popolo bue che si mette in fila per camminare su una passerella arancione. In ogni caso non c'è categoria che non abbia sentito il dovere di esprimere sui socia la propria opinione sulla passerella di Cristo sul lago d'Iseo. Noi sciocchi che siamo rimasti a casa senza nessuna motivazione ideologica abbiamo spulciato le bacheche e i profili di tutti i nostri conoscenti, scoprendo di avere accanto grandi esperti d'arte camuffati sotto le spoglie di gente normale. Qualcuno ha appoggiato Vittorio Sgarbi, qualcuno Philippe Daverio, c'è anche chi ha tirato in mezzo la decadenza culturale dell'Occidente. E poi c'è chi mi ha portato a casa un pezzo del tessuto arancione che ricopre The Floating Piers. Regalandomi la possibilità di un selfie. E ho pensato che l'amicizia è davvero un'opera d'arte.