venerdì 26 ottobre 2012

Il successo degli altri e le urgenze domestiche

Dal Giornale del Popolo del 26 ottobre
Succede che ci si perde di vista perché il tempo passa e le città sono grandi e le vite diverse e i lavori distanti. Succede che una credeva di aver solo comprato una televisione e fatto una figlia e poi un giorno scopre che tutto questo l'ha precipitata nell'altra metà del mondo, quella di chi fa la spesa al mattino e in un nuovo locale nota le barriere architettoniche. Poi un giorno basta un click in più su Google, una lettura meno distratta e ti ritrovi un nome con cui hai condiviso, nientemeno, la prima esperienza di lavoro. Quel lavoro che era divertente solo perché ti faceva cambiare città, ma tutto il resto erano noia e scartoffie e non ci voleva un genio per capirlo: non faceva per te. In quel lavoro c'era uno che condivideva con te lo sfruttamento che giustamente si impone a uno stagista. Insieme abbiamo organizzato cose, sistemato rassegne stampa e inventariato vecchi regali di Natale nel seminterrato in cerca di oggetti che i nostri capi potessero riciclare per le feste imminenti. Poi «siccome è facile incontrarsi anche in una grande città» e, alla fine, barriere architettoniche o no, i locali sono sempre quelli, capita di scoprire che il lavoro che a te è servito a sentirti inutile, per l'altro è stato un trampolino. Considerati i compagni delle medie ormai sparsi in giro per il mondo dietro a lavori dai nomi inglesi e accattivanti, qui a sorvegliare il fortino della provincia (geografica e culturale) siamo rimasti in pochi. Ce ne sarebbe abbastanza per abbandonarsi a una salutare dose di pessimismo del venerdì. Ma grazie a Dio l'urgenza di liberare i vestiti imprigionati nella lavatrice piena d'acqua e quella di rimuovere la cappa franata sui fornelli della cucina ci ha restituito il senso delle proporzioni. 

venerdì 19 ottobre 2012

Ottobre e la tentazione del beige

Dal Giornale del Popolo del 19 ottobre

Avere quarant'anni è forse meglio che non averne più trenta. Ce lo siamo dette guardandoci in fatta di fronte all'ennesima vetrina in cui cerchiamo ristoro in queste giornate uggiose. Perché ottobre è tempo di necessità da guardaroba («Ho urgentemente bisogno di un paio di stivaletti bassi», scrive l'amica che invano immaginiamo a piedi nudi in mezzo a una strada) e di verità anagrafiche. Viviamo una sorta di adolescenza dello stile, un momento in cui basta una gonna troppo corta a sembrare una donna che tenta disperatamente di sembrare più giovane e basta un mocassino troppo classico a finire ingiustamente inserite nel circolo delle signore che lavorano part time e fanno volontariato. Siamo in difficoltà e l'abbiamo capito quando ci siamo ritrovate a lodare la “sobrietà” della collezione firmata da Maison Martin Margiela per H&M (nei negozi dal 15 novembre). In certi momenti di smarrimento il beige appare sempre come una via d'uscita. Un capo spalla, una una cosa dalle forme retrò, oppure uno di quei trench che costano un occhio della testa, ma poi «durano per sempre» (come se gli altri, quelli che costano una cifra ragionevole, si decomponessero nell'armadio). Le carte di credito fremono mentre noi cerchiamo il capo che ci farà assomigliare a quelle giovani donne educate che attraversano Milano in bicicletta con le scarpe basse, le gambe magre dentro i jeans, i capelli lisci e sciolti, il cestino di vimini pieno di verdure biologiche, i figli comodamente assestati sul sellino, neanche l'ombra di una goccia di sudore sulla fronte, nessun ghigno di fastidio all'ennesima buca sull'asfalto. Il loro spolverino beige sembra la concessione di una giovane donna alla tendenza più classica della moda. Il nostro sancirebbe la lapide sulla giovinezza perduta. Dev'essere per questo che il beige rimane sempre e solo una tentazione.

venerdì 12 ottobre 2012

Una tata è per sempre

Dal Giornale del Popolo del 12 ottobre

L'invito per il ricevimento privato, quello serale a Buckhingham Palace, l'ha declinato per paura di fare troppo tardi. Il giorno delle nozze di William e Kate trasmesse in mondovisione lei è andata alla cerimonia e poi è tornata a casa, probabilmente in tempo per qualche telefilm, senza utilizzare il cartoncino che chiunque avrebbe fatto a botte per avere. A quella anziana signora dall'aspetto dolce e severo lady Diana affidava i propri bambini mentre combatteva col cerimoniale di corte o badava a tenere alla larga Camilla. William e Harry l'adoravano e qualche giorno fa, quando lei è morta, solo una missione militare ha impedito ad Harry di partecipare al funerale. William ha lasciato sola la moglie nell'ennesima visita di rappresentanza ed è volato a dire addio alla sua tata. La mamma di quando la mamma non c'era, la mamma di rinforzo anche quando la mamma c'era. Perché alla fine ogni casa è uguale e se una persona normale non sa come gestire le lavatrici e tenere vivi i fiori e procacciarsi del cibo e magari pronunciare due parole che vadano oltre le necessità di sopravvivenza, figurarsi cosa può accadere nella casa di una che si sarà pure liberata dall'incombenza del ferro da stiro ma vive con l'aggravante della principessitudine. Nevrosi raddoppiate, perenne senso di inadeguatezza e poi due paia di occhioni che ogni sera ti guardano come a dire che a loro basta solo il tuo affetto, ma tu sei troppo occupata a macerarti perché non glielo dimostri abbastanza. In tutto questo Diana aveva al fianco una persona fidata. L'unica che non ha mai venduto i propri ricordi intrisi di intimità altrui a nessun giornale o trasmissione televisiva. L'unica che ha fatto da tata anche a lei. Perché c'è sempre bisogno di una tata. Soprattutto da grandi.