venerdì 31 maggio 2013

Riderà chi ride ultimo. Variazioni sul tema di uno strazio

Dal Giornale del Popolo del 31 maggio

C'è un pantheon di canzoni che occorre sapere a memoria per dimenticare e combattere con granitica convinzione. In quel pantheon, insieme a quel concentrato di maschio paraculismo che fu Vedi Cara di Guccini, c'è anche Riderà del compianto Little Toni. Ascoltarla almeno una volta l'anno, durante la replica obbligata di Sapore di Mare, è come riaprire il diario del liceo. Poiché infatti si odia compiutamente ciò che si è amato disperatamente, occorre ricordare che per qualche tempo l'abbiamo ascoltata con quello struggimento sterile e inconsolabile che solo l'avere un utero ci consente di provare. È la favola dell'uomo che si fa da parte per amore della sua donna, il principe azzurro che molla il cavallo bianco allo scudiero e gli affida la principessa a cui lui rischia di spezzare il cuore. È l'idea che sia in qualche maniera nobile rinunciare all'amata invece che lottare per amarsi nel migliore dei modi possibili, è l'idea maliziosa e pericolosa che se amore e morte (cioè sofferenza) sono inesorabilmente intrecciate come ci ha insegnato l'epica greca, l'unico modo per limitare la sofferenza è diminuire un po' l'amore, passando la mano all'uomo non eroico ma ordinario che la farà ridere «perché ha pianto troppo insieme a me». Variazioni sul tema di uno strazio ben riassunte da un verso di Claudio Baglioni: “Ti ho fatto male per non farne alla tua vita”. Robe che ti fanno sognare e piacevolmente disperare. Finché un giorno realizzi che chi le cantava aveva solo nuove risate da suscitare altrove e vite diverse da preservare.

venerdì 24 maggio 2013

Le storie edificanti anti crisi e le insalate di Belen

Dal Giornale del Popolo del 24 maggio

Le storie positive degli altri devono essere una controindicazione della crisi, delle difficoltà economiche che sfiorano anche in più impensabili, impensieriscono persino gli scialacquatori seriali e provocano nei media un sussulto di coscienza che li spinge a dispensare pillole di positività e speranza in un mondo in cui tutto è precario. Così, per contraddire l'adagio cinico secondo cui “fa più notizia un albero che cade che una foresta che cresce” si sentono in dovere di dedicare uno spazio alla positività minimalista e tenace della foresta che cresce. Sotto questa categoria si annoverano decine di storie imprenditoriali di successo, racconti edificanti di giovani e donne (le categorie svantaggiate funzionano narrativamente meglio di tutte le altre) che grazie a una idea geniale hanno rivoluzionato la propria vita, inventandosi lavoro e fortuna. C'è la madre di tre figli che mette su un business casalingo e redditizio per lavorare da casa dopo la maternità; c'è l'altra madre (l'elemento pro life dev'essere considerato positivo nelle storie di questo genere) che inventa un blog di successo inspiegabilmente visitato da altre madri e incredibilmente oggetto di investimenti pubblicitari; c'è la ragazzina che comincia autofotografandosi davanti allo specchio (per gioco, perché chi comincia seriamente non va mai da nessun parte) e finisce fashion blogger di successo con inviti alle sfilate di tutto il mondo. E poi c'è Belen Rodriguez. Che dichiara di mantenersi in forma mangiando insalate. E un altro albero, rumorosamente, cade.

Angelina Jolie e la nuova definizione di coraggio

Dal Giornale del Popolo del 17 maggio

Ebbene sì. Ora i nostri uomini hanno un motivo per parlare delle tette di Angelina Jolie senza essere oggetto dei nostri insulti, anzi mostrando addirittura la volontà di coinvolgerci in uno di quegli argomenti socialmente irrinunciabili, il passepartout che ha aperto le porte dei nostri aperitivi a termini come bisturi, capezzoli, sangue, tubi. E da domani non cercheremo più mastectomia sul dizionario e ogni volta che lo faremo su Google ci comparirà l'immagine di lei, la fidanzata di Brad Pitt che ha voluto diminuire il rischio genetico di cancro immolando il suo decollete universalmente ammirato e sostituendolo con uno artificiale. Il risultato è ottimo, ha assicurato Angelina spiegando al mondo la sua scelta coraggiosa. E così, da un paio di giorni, il coraggio è un'altra cosa. Non la forza di sopportare il male, ma la capacità di fare tutto quel che è necessario per prevenirlo, la non paura del dolore fisico, accettato al prezzo di scongiurare il dolore più grande, la paura più vera che è quella incontrollabile. Noi che non ci siamo mai neppure operate di tonsille per la paura. Noi che nemmeno la chirurgia plastica abbiamo mai considerato per il terrore del dolore. La nonna che a settant'anni suonati doveva operarsi a una gamba e la sera prima dell'intervento chiamò tutti i parenti possibili nel tentativo di trovare complici per la fuga dall'ospedale. Noi ormai siamo delle cacasotto e irresponsabili, assimilabili forse solo a coloro che si rimpinzano di cibo spazzatura. La paura è una cosa che non è più ammessa se non come passaggio provvisorio prima del grande salto di coraggio, quello di privarsi di una parte di sé per diminuire la probabilità di soffrire domani. E anche questo, un po', ci fa paura

venerdì 10 maggio 2013

L'indispensabile fiaba a rischio circo

Dal Giornale del Popolo del 10 maggio

Una lista degli invitati compilata con i nomi in neretto nei giornali di gossip. Un abito da principessa vergine per cui hai l'obbligo morale di ringraziare non solo lo stilista (Ermanno Scervino) ma anche l'Isola dei famosi e la Tisanoreica che hanno riportato la ciccia nei confini delle curve. Un'esplosione di fiori bianchi abbaglianti. Una Barbie appositamente creata per l'evento col solo scopo di farci domandare se sia nata prima Valeria Marini o la sua bambola personalizzata. E poi ancora i testimoni assortiti come i biscotti di una vecchia scatola di Ore Liete (da Gigi D'Alessio a Fausto Bertinotti, passando per Ivana Trump) e infine l'arcidiscussa diretta sulla Rai dal sagrato, perché, ovviamente, l'interno della cerimonia è stato blindato per proteggere le coronarie del celebrante. C'è talmente tanto da discutere del matrimonio di Valeria Marini col suo imprenditore Giovanni Cottone che occorre dichiararne l'assoluta indispensabilità. Quel matrimonio ci serve e ci è servito. A sentirci superiori alla marmaglia armata di smartphone che immortalava gli invitati e cercava di sbirciare dietro gli ombrelli bianchi che proteggevano la sposa. Abbiamo avuto modo di cliccare sulla foto successiva mormorando «ve lo meritate Beppe Grillo». Il fatto è che c'è qualcosa di inevitabilmente cafone nel dichiarare al mondo, sia esso rappresentato da 3 o da 700 invitati, che si ha la presunzione di passare la vita con la persona che in quel momento ci pare ragionevole non lasciare andare. Ecco. Ma allora tanto vale un'esplosione come quella di Valeria Marini, dove ogni inquadratura sembra gridare: ma quando mi ricapita? Molto meglio di Keira Knightley, l'attrice androgina che s'è sposata con pochi amici in un paesino in Provenza con un vestito già messo e i capelli “phonati” di fresco. Com'era? Voglio la fiaba. Ecco, w la fiaba. Anche se somiglia più spesso a un circo.

mercoledì 8 maggio 2013

«Stiamo insieme, ma non è una cosa seria». Pd e Pdl e la trombamicizia in politica

Qui e su Revolvere.net
Trombamici. È un termine che usiamo solo noi nati prima degli anni Novanta, noi generazionalmente schiavi delle definizioni. È il termine della terza via, quella, pericolosa e divertente, per cui non si stava insieme ma ci si comportava come se. Quella, per molti di noi, è stata una tappa importante, non tanto a livello di istituto (che è sempre esistito), quanto di definizione. C'era finalmente una parola per dire quello stato che anni dopo persino Facebook avrebbe riconosciuto e identificato con un nome più discreto. Il sospetto che Pd e Pdl fossero legati da qualcosa di molto simile alla trombamicizia ci ha lambito la prima volta qualche giorno fa, quando al termine di un lungo editoriale di Ezio Mauro su Repubblica ci è parso di capire quanto segue: questo governo lo facciamo perché s'ha da fare, ma chi pensa che questo significhi amnistiare culturalmente il ventennio berlusconiano si sbaglia di grosso: siamo diversi (noi migliori degli altri) e non sarà certo un governo Letta a farcelo dimenticare. Il secondo indizio è arrivato sabato mattina con l'intervista di Walter Veltroni al Corriere della Sera. Con garbo e lessico da romanziere Walter ha invitato entusiasti e cinici rispettivamente a scendere dal pero o tirare un sospiro di sollievo: destra e sinistra esistono ancora, eccome se esistono. Perché certo nella lunga intervista c'erano le ipotesi complottarde su Preiti, le riflessioni sulla formula giusta per il Pd, ma più di tutto c'era la rivendicazione di una diversità irriducibile e benedetta. Almeno fino a lunedì mattina. Quando torneremo a metterci le mani nei capelli per le Biancofiore e i Brunetta coi Fassina e le Bindi. E giù
a mettere il veto su Berlusconi alla Convenzione per le riforme, come se 'sto governo fosse nato come un'erbaccia di nascosto e il nome del cavaliere ce l'avesse infilato dentro qualcuno a tradimento. È questo puzzle di una maggioranza assurda che non accetta se stessa ad aver fatto diventare questione di interesse nazionale persino l'inutile scelta dei sottosegretari. È qui che vengono in mente i trombamici, che la sera si prendono la sera, ma il mattino dopo non si salutano. È solo che quella della trombamicizia non è mai una relazione biunivoca. C'è sempre uno dei due (non sempre lo stesso, i ruoli si scambiano di frequente) che vorrebbe qualcosa di diverso. Il classico “qualcosa di più” di fronte a cui l'altro srotola le frasi sul che cosa è in grado dare in questo momento, le ex ingombranti, il passato difficile, il proverbiale bisogno di capire se stesso (che è sempre più facile che non ritrovare la formula giusta per il Pd). Insomma, in questa fase il Pd è quello che esclude categoricamente una cosa seria. «Però domani ci rivediamo, eh?». 

venerdì 3 maggio 2013

Carla Bruni, il grasso e la saggezza delle rughe

Dal Giornale del Popolo del 3 maggio

Dopo il terzo cambio dell'armadio con un terzo degli abiti inservibili perché fuori misura, la nostra si è armata di pazienza. O forse di furore. Di sicuro di coraggio. Sacchetti interi hanno preso la via della pattumiera. Dentro non c'era niente di grave, magliette di sette otto stagioni fa, consunte, inservibili, di sicuro troppo corte per certe stagioni della vita e della meteorologia. L'amica del repulisti lo racconta con un misto di fierezza e senso di colpa, come se avesse risposto dopo anni alla avance di un molestatore non troppo disprezzato. Emozione, brivido, non sai se hai fatto la cosa giusta ma intanto l'hai fatta e questo ti procura ogni volta una sensazione ambigua. Carla Bruni ha raccontato a Vanity Fair di essersi messa un giorno di fronte all'armadio e di essersi posta, dopo la gravidanza della sua seconda figlia, la domanda a cui la metà di noi ragazze rinuncia a rispondere per mesi, a volte anni: «Butto l'intero guardaroba o provo a dimagrire?». Seguono molte frasi importanti, che compiono egregiamente l'importante funzione sociale a cui sono destinati i giornali femminili: raccontare i vip come se fossero persone normali, che affrontano i nostri medesimi problemi e alla fine ne escono, perché l'intento didattico rende interessante ogni storia. Carla racconta poi di essere stata in analisi e di esserlo ancora. Quando l'età avanza, dice, è ancora più importante. «Le rughe senza saggezza sono noiose. Io voglio diventare matura. Voglio diventare saggia». È qui che ci siamo sentite legittimate a non buttare nessuna taglia 42. Ognuna, in fondo, ha il diritto di stamparsi in testa un traguardo che le permetta di sognarsi diversa e sufficientemente conformista.