mercoledì 30 novembre 2016

C'è un volto, dietro i nostri acquisti on line. E ci capisce benissimo

Dal Giornale del Popolo del 25 novembre

Per noi femmine costantemente affannate gli acquisti on line sono una via d'uscita miracolosa. Da mesi consultiamo le offerte acquerelli di Amazon, scandagliamo il web alla ricerca di vestiti da principessa non trash, buttiamo un occhio al sito della Apple con la tentazione di un autoregalo più costoso del solito. E però: niente. Aspettiamo l'ultimo minuto, sempre pensando che magari ci sarà un offerta migliore o (povere illuse) che avremo il tempo un giorno di fare uno di quei faticosissimi giri per negozi nei giorni prima di Natale. Non sarà così, non lo faremo e arriveremo fuori tempo massimo con la carta di credito in mano, il mouse dall'altra e il dubbio atroce che la reception degli uffici dei nostri maschi di casa sia chiusa nei giorni in cui dovrebbero arrivare i pacchi cruciali. Il tutto ora ha anche implicazioni sociali molto serie. Le ultime inchieste shock, infatti, ci hanno rivelato quanto sia difficile e dura la vita di coloro che lavorano nei giganti dell'on line, che sacrificano la loro vita per fare sì che i nostri regali arrivino in tempo sotto l'albero. Una volta era la produzione dei nostri oggetti che ci poneva dilemmi sociali, ora anche la consegna solleva dei problemi La mia amica bionda fedelissima di Zalando ha avuto un serio scompenso leggendo la storia di colei che è addetta a controllare le merci rese dai clienti. Ha letto la sua storia in un'inchiesta e le è sembrato di conoscerla. "Ti giuro - mi ha detto con gli occhioni spalancati - che io piego sempre benissimo la merce che restituisco!". E così, tra noi donne stritolate in tempi impossibili, tra noi che non promettiamo mai ai nostri figli che andremo a prenderli perché sappiamo che non potremo mantenere le promesse, si è creata una strana e sincera anche se virtuale solidarietà.

venerdì 11 novembre 2016

Quattro anni dopo, alla Casa Bianca

Dal Giornale del Popolo dell'11 novembre

La sera dell'election day qualunque maratona televisiva otteneva l'effetto di farmi venire voglia di aprire un libro. Poi la notte qualcuno ha tentato di svegliarmi dicendo che aveva vinto lui. La mattina ho fatto quel che facevo da piccola quando andavo a letto prima di conoscere il vincitore di Sanremo. Con la differenza che allora scoprivo verità come “trionfa Massimo Ranieri” e oggi mi toccano le analisi di Beppe Severgnini. Oggi, come quattro anni fa, continuo a domandarmi perché la nostra politica non interessi a nessuno (men che meno a noi) e la loro scaldi il mondo intero. E non parlo solo dei nerd che padroneggiano concetti come grandi elettori, Ohio, swing state. E neppure dei geopoliticamente consapevoli che ti guardano dall'alto in basso perché “non può non interessarti, sono loro i padroni dell'Impero”. Parlo della gente normale che non sa cosa sia la perequazione finanziaria ma di fronte alla parola “election night” sfodera i pop corn. E oggi siamo tutti qui. Disperati perché non ha vinto la parte giusta della storia, dimenticando che, democratici o conservatori, da quelle parti non si esce dallo schema di mogli in gonnella, figli sorridenti e partecipativi e fede cieca, ingenua, solida e ottusa nella propria nazione (con una sincerità francamente inesportabile al di qua dell'Atlantico, perché per noi il cinismo è per noi quello che per loro è il burro di arachidi). Forse il segreto è tutto nell'estrema televisività di tutto il côté, sempre a prescindere dai contenuti. Perché l'America produce Tarantino. Ma resta sempre quella di Peyton Place.
Queste righe la Ficcanaso le scrisse quattro anni fa, quando vinse di nuovo Obama. Oggi le ricicla, un po' qualunquisticamente e provocatoriamente, mutando in preoccupazione quella che allora era soddisfazione. 

mercoledì 9 novembre 2016

Del terremoto e di noi, scampati alla catastrofe di noi stessi

Dal Giornale del Popolo del 4 novembre
La paura ti chiude in casa. Ci sono anche studi che attestano che è aumentato il tempo che passiamo davanti alla tv in questi tempi bui di attentati e terrorismo. Qualche giorno fa, quando con tutta la truppa eravamo in quelle che i vostri giornali definiscono, con pietà e commozione, zone terremotate, in casa non ci voleva stare nessuno. La mattina, mentre la bambina lavava i denti con la solita indolenza, la terra ha iniziato a tremare per dirle di sbrigarsi. Lei ha continuato con il suo solito modo, fino a che non ha visto il terrore immobile negli occhi dell'adulto. Se davvero è il terremoto, mi dicevo, perché non viene giù tutto? La terra ha tremato tanto da far svegliare i maschi di casa. Ci siamo ritrovati tutti sotto gli stipiti delle porte e il fatto che avessimo avuto il tempo di arrivarci significava che era andata bene. Qualche ora dopo sorridevo comprensiva ma incredula a quegli amici e parenti che, a pranzo, avevano scelto di stare fuori alla griglia piuttosto che mettersi sotto un tetto, insicuro come lo sono tutti i tetti di quella zona da giorni, settimane, mesi. La sera abbiamo pensato con sollievo che quel vecchio letto non ha alcun cassetto porta cose sotto: se arriva una scossa possiamo metterci sotto al letto. Forse meglio dormire vicino alle bimbe, per essere pronti. Forse meglio non dormire affatto, o dormire con un occhio aperto e uno chiuso. È passata così una notte infinita, tra pensieri assurdi e preghiere sussurrate. Quella notte in cui abbiamo capito che non siamo al sicuro da nessuna parte e che ogni giorno siamo degli scampati alla catastrofe di noi stessi. Mi è tornata in mente una frase, letta secoli fa: la più grande poesia è un inventario.  





Segretarie

Dal Giornale del Popolo del 28 ottobre

Nel mondo in cui siamo tutti manager di qualcosa (project manager, team manager, sales manager) ci sono poche persone che accettano di buon grado qualifiche come quella di segretaria. Possiamo immaginare una lieve inversione di tendenza dopo la notizia che la segretaria (non personal assistant) del fondatore di Esselunga Bernardo Caprotti ha ricevuto in eredità dal suo capo svariati milioni di euro. La verità – e ve lo dico mettendomi addosso un'espressione compassionevole e sconsolata come quella che abbiamo noi reazionarie quando guardiamo le orde di tredicenni ricchissimi pascolare nei centri commerciali il sabato pomeriggio – è che di certo non esistono capi come Caprotti, ma neanche noi corrispondiamo all'identikit dell'impiegata semper fidelis. Vorrei dirvi che è colpa dell'euro, dell'Europa, dei fascisti e dei comunisti e probabilmente delle colpe le hanno tutti in egual misura. La verità è che pensare di stare 45 anni con la stessa persona è impossibile in casa, figuriamoci al lavoro. Mi domando se anche la signora Germana, al pari di tutti noi miseri impiegati con la qualifica di manager sul biglietto da visita, periodicamente si sentisse frustrata e incompresa e sul punto di non farcela più. E mi domando se saremmo capaci di dare del lei ai nostri capi come ha fatto la sciura Germana per quaranta e rotti anni. Noi, che i nostri manager li aggiungiamo su WhatsApp e li “laikiamo” su Facebook. Mi domando se della signora Germana siano più da invidiare – dopo i milioni di eredità – l'umiltà o lo fedeltà.

Le parole sono (ancora) importanti

Dal Giornale del Popolo del 21 ottobre
Puoi farci da bridge? Pensavi a un main sponsor o a un village con tanti partner?

Puoi avere un point dove andare? Ci vediamo alle 4, ma vuoi che ti mandi un calendar? Mi è arrivato un complain perché non ero riuscito a fissare la call. Avevo pensato di riempire tutta questa rubrica delle espressioni che sentiamo tutti i giorni nei nostri uffici. Ma temevo che la reaction dei miei lettori potesse essere pessima. E il look&feel della rubrica ne avrebbe indubbiamente risentito. I luoghi che frequentiamo hanno un idioma tutto loro, primo segno di appartenenza a un gruppo di persone. In fondo non è abitudine degli amanti darsi dei soprannomi e condividere un linguaggio? E allora perché i luoghi in cui spendiamo il 90 per cento del nostro tempo dovrebbero fare eccezione? Abbiamo bisogno anche lì di un linguaggio per riconoscerci e di un codice di comportamento per capire chi mettere in copia nelle nostre mail. Tanti di noi imparano ad essere subito degli ottimi Forward Manager, altri si perdono nel reply to all e inviano ai clienti gli epiteti poco carini che avrebbero voluto affibbiargli condividendoli con il compagno di banco. Forse dovremmo fare un bel respiro, aprire una nuova mail, mettere nel campo destinari tutti i nostri colleghi e in cc i nostri clienti e poi inviare a tutti quell'indimenticabile spezzone di Palombella Rossa in cui Nanni Moretti prendeva a schiaffi una giornalista intenta a usare parole come “kitsch”. Non avremo modo di calcolare la redemption di un gesto del genere, ma ci prenderemmo delle belle soddisfazioni in cc. Perché “le parole sono importanti”.

L'amore liquido

Dal Giornale del Popolo del 7 ottobre
Ancora alle prese con gli strascichi del Brangelina gate abbiamo dovuto affrontare l'enorme scandalo scoppiato nella casa del Grande Fratello Vip, dove Stefano Bettarini ha elencato le donne con cui ha tradito l'ex moglie Simona Ventura. Il suo compare, l'ex pugile Clemente Russo, non l'ha redarguito, anzi ci ha messo il carico come un guascone da bar qualsiasi ed è stato cacciato dal bar più moralista d'Italia che è il Grande Fratello Vip. Pensatela come volete, ma per me la punizione noialtri voyeristi l'abbiamo avuta ieri, quando la vicenda ha provocato la resurrezione, nientemeno, della Gattamorta. Trattasi di Marina La Rosa, star del primissimo Grande Fratello, quello condotto da Daria Bignardi e dotato di un immenso Pietro Taricone, quello che bisognava commentare anche senza averlo visto, quello che andava disprezzato ma anche analizzato come fenomeno dei nostri (decadenti) tempi. A Dagospia Marina La Rosa ha detto cosa pensava della vicenda, raccontato gli anni di quel successo acerbo e travolgente, finendo per rivelarsi l'ennesima citazionista seriale di Zygmunt Bauman e della sua società liquida. È così liquida, questa società, che i protagonisti del Grande Fratello si trasformano in commentatori del Grande Fratello come i giocatori di serie A e che a coppia vip che divorzia, corrisponde coppia vip che si forma. Chiara Ferragni e Fedez starebbero ufficialmente insieme. Probabilmente il grado di liquidità di una società si misura in Like.