lunedì 24 ottobre 2011

Votate votate

Quella qui a fianco è bellissima, queste non sono da meno.

venerdì 21 ottobre 2011

Dunque, Giulia

Dal Giornale del Popolo del 21 ottobre
Non Deva, non Apple, non Coco, non Moses, non Tallulah, non Suri, non Shiloh, non Zahara, non Dalia. Semplicemente Giulia. Neanche una “r” in cui esercitare la snobbissima pronuncia francese. Sì c'è la pronuncia della “g”, ma è roba discreta, che i parenti italiani di Carla Bruni sapranno comunque benissimo riprodurre, perché quella è gente che i francesismi ce li ha nel sangue e non per nulla ha una nipote che non ha bisogno di un nome esotico per darsi un tono sociale. Ebbene sì, dopo un'infinità di mesi di gestazione è nata la primogenita di Carla Bruni e Nicolas Sarkozy. I giornali frettolosi le avevano dato un nome (Dalia) che presto è stato smentito, rivelando una scelta che avrebbe potuto fare tranquillamente la Sora Lella di Frascati. O forse no. Ed è proprio questo il punto. L'immensa aristocraticità di scegliere un nome ordinario è parente dello snobbismo irresistibile del no logo, è l'eleganza del non farsi notare, è la capacità di essere strafighe con le ballerine e i capelli raccolti in uno chignon improvvisato. È quella semplicità, che i ricchi non di rado fanno sconfinare in sciatteria, che noi provinciali non potremo mai riprodurre né mai vorremmo, impegnati a vagliare nomi che distraggano dai cognomi per niente notevoli della nostra prole. Dalle mie parti si spettegolò a lungo quando la moglie del barista del paese, incinta di due gemelli, giurò a tutti di voler dare alle figlie i nomi di due eroine di soap opera. Non erano Brooke e Taylor, dunque non vale la pena riportarli, il punto è che noialtre andammo in fibrillazione. E da allora immaginiamo la scena: «Se sarà femmina, la chiameremo Jessica». Tanto ci sarà sempre una zia che la chiamerà Gessica.

venerdì 7 ottobre 2011

It's simple

Dal Giornale del Popolo del 7 ottobre
E pensare che giusto ieri avevano deciso di non comprarsi l'iPad. Meglio un viaggetto, si erano detti quei due pieni di un buon senso rimasto al giudizio di un anno fa: né carne né pesce. Ovvero né computer né iPhone. La carne e il pesce, tra cui i miei amici si erano permessi di scegliere il dessert, li aveva inventati lui. Steve Jobs, che è morto ieri. Ne danno notizia tutti i giornali del mondo, abbiamo sfogliato già ieri per tutto il pomeriggio le foto delle invenzioni Apple, quelle del cordoglio dei fan, quelle dei ritratti di Steve Jobs nel corso degli anni, baldanzosi anche quando consumati dalla malattia. Sorridendo gli diremmo oggi che lui che ci ha insegnato l'importanza della bellezza nelle tecnologie ora dovrà fare i conti con qualche divinità del buon gusto. Perché certo lui era legittimato a essere alternativo e “different”, come aveva sempre raccomandato al prossimo di essere. Peccato che dopo di lui decine di migliaia di persone abbiano iniziato a pensare che la vita è un casual friday e a presentarsi in ufficio o ai matrimoni con girocolli spiegazzati e blue jeans. Ha cambiato il mondo anche così. Compiendo gesti e sciorinando invenzioni che molti altri, dopo di lui, non avrebbero affatto saputo gestire. Noi oggi compriamo le borse prendendo le misure (hai visto mai che l'iPad non c'entrasse), ma la verità è che passeranno mesi prima che impareremo a usare un terzo delle funzioni di quell'oggetto di cui ormai non possiamo fare a meno. E nel frattempo arriveranno nuovi modelli a cui adattare borse e intelletto. E da lassù, speriamo, il vecchio Steve non riderà affatto, si sistemerà il maglione e continuerà a spiegarci con pazienza che “it's simple”.