venerdì 21 aprile 2017

"Ce l'hai ancora il motorino?"

Dal Giornale del Popolo del 21 aprile 2017
“Ce l'hai ancora il motorino?”. Io e l'amica ci facciamo questa domanda ogni primavera, quando, puntuale come l'indolenza tipica di questa stagione, arriva la newsletter che promuove il festival di musica alternativa che ci faceva uscire di casa, tanti anni fa, e restarci fino a notte inoltrata. Sfidavi il freddo con una borsa a tracolla e stivali senza calze per fare quelle cose che si fanno bene soltanto nei festival: flirtare, parlare di cose inutili e di musica difficile, sfidare la notte in motorino e usare il casco come pochette. Sarà stata la birra che scorreva a fiumi o la memoria che migliora tutto come un filtro di Instagram ma quelle sere le ricordiamo con emozione e nostalgia. E non è soltanto un tema di età (che comunque ha un suo innegabile peso se pensiamo che le stagioni di questi tempi le scandiamo con le serie tv e le fiction in uscita). Quello che ci manca è la leggerezza di quei tempi in cui ci si innamorava di musicisti e si credeva sinceramente di essere come loro: troppo importanti e alternativi per dirselo. Poi ci siamo distratte e il tempo è passato insieme alla voglia di scompigliarsi i capelli sotto il casco. Così quando arrivano quelle newsletter ci guardiamo negli occhi: facciamo quelle che non hanno tempo perché impegnate in troppe cose importanti o cerchiamo di rientrare nei jeans di dieci anni fa? Saremo, come ogni anno, indecise fino all'ultimo prima di finire ad accomodarci sul divano?



Genitori confusi. Molto confusi

Dal Giornale del Popolo del 14 aprile 2017

Al parchetto dominano tate e babysitter. Sorvegliano i nostri bambini che si arrampicano sullo scivolo e schivano le altalene chiacchierando tra di loro. Alcune diventano amiche, per circostanza e consuetudine, come accade alle mamme che hanno i bimbi nella stessa classe. Di mamme, al parchetto, ce ne sono molto poche. Sono in qualche ufficio a struggersi per non essere al parchetto, a cercare di tornare a casa in tempo per vedere almeno le creature in pigiama. Quelle poche che ci sono, al parchetto, a volte telefonano alle assenti. Recensiscono le tate degli altri bambini, si permettono di dirti (“perché ti assicuro che se accadesse a mia figlia vorrei che qualcuno me lo dicesse”) che l'ultima volta che l'hanno vista attraversare la strada non è stata molto attenta né particolarmente affettuosa con le creature. Tu sprofondi nel panico. I sensi di colpa cronici diventano acuti e come sempre ti ritrovi a chiederti: ma cosa sto facendo? Immagini di licenziarti in tronco, di avere improvvisamente una marea di tempo a disposizione per andare dall'estetista senza andarci con la delegazione delle bambine che osservano mentre quella poveretta stende lo smalto alla velocità della luce prima che la pazienza delle ragazze finisca e inizino a protestare. Pensi a come sarebbe organizzarsi diversamente e a quanto ti faccia paura tutto. Tutto. Dicono che da adulti si abbiano più certezze e tranquillità e invece è tutto il contrario. Non ci si capisce più niente. Per fortuna ci sono le mamme degli altri bambini che hanno un sacco di certezze.

A volte avere torto è bellissimo

Dal Giornale del Popolo del 7 aprile 2017
Comincia uno che alza la testa timidamente: “Cliegia al plurale fa?”. Chi controlla su Google senza dirlo, chi scuote la testa dicendo che non è possibile andare avanti così perché il computer ci ha reso tutti ignoranti, chi alza una mano con la soluzione che mette tutti d’accordo: “Ma sì ormai sono accettati entrambi i modi di scrivere”. Cominciamo con la grammatica delle elementari “Su qui, quo e qua l’accento non va”, “di, a, da, in, con, su, per, tra, fra”, cercando nella memoria di quelle cantilene imparate da piccoli una risposta ai dubbi di oggi. Ci salvano, appunto, soltanto quelle frasi fatte che la maestra di secoli fa ci ha fatto entrare in testa, tutto il resto sono dubbi e incertezze e ricerca disperata di una regola che ci orienti e ci faccia fare la figura, se non degli acculturati, almeno dei meno ignoranti della compagnia. Speriamo che ai nostri bambini non tocchi in sorte tanta ignoranza, ma sappiamo che molto probabilmente le nostre speranze sono vane. Perché sapranno molte parole in inglese, che gli insegnano fin dall’asilo (“giallo si dice IELLON, l’ho imparato oggi, mamma") ma poche regole grammaticali e pochi congiuntivi. E mentre ci disperiamo arriviamo a casa. E sul tavolo c'è una poesia: "È quella di Pasqua, l'ho imparata a memoria perché tu la potessi ascoltare". A volte avere torto è bellissimo.



Dei David di Donatello e di un grande momento di teatro in tv

Dal Giornale del Popolo del 31 marzo 2017
A forza di fare scorpacciate di tv spazzatura siamo diventati ansiosi di mostrarci spettatori intelligenti, in grado di “riconoscere” - nel piccolo schermo – ciò che è vero e ciò che è finto. Come se davvero importasse. Arrivando al punto vorrei dirvi che la performance di Valeria Bruni Tedeschi sul palco dei David di Donatello è stata meravigliosa. I David di Donatello sono gli “Oscar” del cinema italiano e Valeria Bruni Tedeschi (sorella di, sia detto per dare ancora lavoro alla sua psicanalista) è salita sul palco per ritirare il premio come miglior attrice ottenuto grazie a La Pazza Gioia, film di Paolo Virzì in cui interpreta, al fianco di Micaela Ramazzotti, una donna malata di mente. Salendo sul palco Valeria ha ringraziato l'analista, gli uomini che l'hanno amata e quelli che l'hanno abbandonata, l'amichetta che ha condiviso con lei la focaccia il primo giorno di scuola facendola sentire meno sola. Il dibattito (se di questo si può parlare) si è scatenato perché a tanti è sembrata pazza davvero. Pazza come la protagonista del film, non in grado – come siamo tutte noi in certe sere devastanti ma meravigliose – di dire una parola senza piangere e ridere insieme. È stato un grandissimo momento di televisione e di teatro e, francamente, non si capisce cosa c'entrino la verità e un improbabile fact checking delle emozioni. Diversi Sanremo fa un tizio minacciò di buttarsi dalla balaustra dentro l'Ariston e l'eterno Pippo Baudo corse in diretta a salvarlo. Oggi non so ancora se la scena fosse scritta nel copione oppure no. Immagino di sì ma mi interessa relativamente. Nessuno di noi, durante la Traviata, corre sul palco a verificare che Violetta abbia smesso di respirare. È perché lo stesso spettacolo va in scena da qualche centinaio di anni? Perché abbiamo imparato a conoscerlo? O perché abbiamo imparato a godercelo? Un'altra domanda e arrivo alla filosofia, citando la tragedia greca come se gli studi classici mi fossero serviti. Ma mi fermo e ringrazio i David di Donatello per averci dato un meraviglioso momento di teatro e di tv, nell'anno disgraziato in cui persino alla Cerimonia degli Oscar hanno fatto irrompere alla realtà con la storia della premiazione sbagliata a La La Land.



Buonanotte bambine libere (e non per forza ribelli)

Dal Giornale del Popolo del 17 marzo 2017
Non c'è madre che conosco e che non si sia accaparrato il libro delle storie della buonanotte per bambine ribelli. Storie semplificate di donne grandi e intelligenti, che hanno fatto della propria vita qualcosa di utile senza necessariamente sposarsi a un principe azzurro dotato di cavallo bianco. Rita Levi Montalcini, Cocò Chanel e tante altre sono le protagoniste di una raccolta di racconti che dovrebbe strapparle agli stereotipi della Disney (ormai fin troppo evoluti anche loro) e restituircele “ribelli”. Niente può trovarmi più d'accordo, in linea di principio, poi la diffusione quasi virale di questo libro mi ha fatto pensare. Forse mi ha fatto pensare perché negli stessi giorni in cui se ne parlava sui social network (erano i difficili giorni della Festa della Donna), la bimba di quattro anni se ne usciva con “il corpo è mio e decido io per il mio corpo”. Niente di più intelligente da dire di fronte alla sorella di 3 anni che minacciava di spalmarle la crema sui puntini della varicella, ma mi sono domandata: davvero vogliamo che siano “ribelli”? Ribelli a che cosa? Per loro desideriamo che siano mature, intelligenti, capaci di decidere con discernimento senza farsi abbindolare da qualche maschio sciocco, vogliamo che non siano sciocche abbindolatrici di maschi, vogliamo che studino, speriamo che siano in grado di mettere in fila due parole in italiano corretto e che sappiano far di conto. Vogliamo che siano intelligenti come il papà e più sicure di noi. Vogliamo che possano fare il lavoro che gli piace e che non siano costrette un giorno a sentirsi dire che è impossibile farlo volendo anche occuparsi dei propri figli. Desideriamo che credano che il cielo non è vuoto e che sappiano leggere grandi romanzi senza stancarsi mai. Vogliamo, in una parola, che siano migliori di noi. Soprattutto di noi che non siamo state ribelli abbastanza da costruirci una vita da finire sui libri per bambine. Vogliamo che siano felici. E, forse, più che la ribellione c'entra la libertà.



Mortadella e champagne

Dal Giornale del Popolo del 10 marzo 2017
Ultimamente, dalle nostre parti, si stappano bottiglie di champagne. Tutti a chiedere cosa festeggiamo e noi a rispondere, con quella nonchalanche degli snob, che noi festeggiamo ogni giorno, che ci godiamo la vita ogni secondo. Non riveliamo neanche sotto tortura che stappiamo bottiglie pregiate ricevute a Natale per via del provincialissimo timore che lo champagne, nel nostro sgabuzzino che tutto contiene, si senta fuori posto e vada a male. Quando oggi pomeriggio ci ha chiamato la maestra annunciando che quei puntini rossi nella pancia della bambini sono senz’altro varicella, dato che c’è un’epidemia, abbiamo pensato alla bottiglia di champagne. Il tempo di una esclamazione lasciata a metà e subito abbiamo pensato che poteva andare peggio. Poteva ammalarsi nell’unica vacanza dell’anno ai Caraibi. Poteva ammalarsi prima della festa del suo compleanno, organizzata da mesi ingaggiando l’animatrice che, a detto della quasi cinquenne, trucca bene e e fa bene i palloncini (“Io conosco le sue capacità, mamma”). Poteva ammalarsi in un periodo di lavoro più intenso di questo. Poteva ammalarsi in un giorno diverso dal giovedì, non fornendomi alcun materiale per questa rubrica che scrivo di corsa prima di andare a sincerarmi, io snaturata, delle sue condizioni. Poteva succedere, soprattutto, quando avevamo finito le bottiglie di champagne.




A Carnevale ogni vestito vale

Dal Giornale del Popolo del 24 febbraio 2017

Sarà un'istintiva e spontanea selezione delle occasioni di fatica, ma il carnevale dei bambini lo trascuriamo da tempo. La domanda "da cosa vestirai la creatura?" ci mette più in difficoltà dell'appuntamento -sempre rimandato - con la bilancia. Principesse? Cavalieri? Fatine? Per una che nella sua vita si è vestita (nell'ordine) da fiore, topo, suora e Mami di Via Col Vento, i vestiti da principesse smorfiose sono inaccettabili esteticamente e moralmente. Le maestre dell'asilo devono pensarla come noi, così hanno dato ordini chiari perla festa della scuola: maglietta con mezzo di trasporto e costume realizzato dai genitori. Lo scorso anno, con direttive analoghe, abbiamo portato a casa un costume da coccinella realizzato con orlo svelto e Vinavil, che la sera si era già completamente disfatto. “Mamma perché i miei pallini da coccinella si staccano sempre?”, chiedeva l’innocente. Anche quest’anno affrontiamo l’annuale appuntamento col bricolage. Armate di pennarello indelebile e colori per la stoffa faremo del nostro meglio, anche se i costumi sono due. E la direttiva è realizzare un camion e una mongolfiera. Del resto chi non penserebbe a una mongolfiera come agile mezzo di trasporto per evitare il traffico?

E lo sconto per genitori confusi?

Dal Giornale del Popolo del 17 febbraio 2017

Generalmente, quando andiamo al ristorante, ci armiamo di giochi, matite, penne e colori. Puntualmente il colore che serve alle creature è quello rimasto a casa. Oppure quel punto di blu che la sorella sta utilizzando è che ovviamente serve a entrambe nello stesso medesimo istante. Pur di non farle schiamazzare in luogo pubblico estraiamo dalla borsa di tutto, i più sfrontati di noi - genitori pronti a chiudere un occhio sulla presentabilità educativa per non perdere quella sociale - estraggono il cellulare e consumano tutti i Giga del proprio abbonamento per far tacere le creature con un cartone. Farle tacere è spesso l'unica preoccupazione che abbiamo in luogo pubblico. Come all'ultimo matrimonio, quando la quattrenne ha esternato ad altissima voce il suo scontento per la bomboniera: "Ma mamma il regalo è bruttissimo", ha detto a portata di orecchie di troppe persone estraendo il crocifisso fatto a mano scelto dagli sposi. E noi, che le mandiamo pure a scuola dalle suore, ci siamo messi una mano sulla coscienza, pensando a quel ristoratore di Padova, che ha applicato uno sconto "bimbi educati" a una comitiva i cui figli facevano le tabelline mentre gli adulti mangiavano. Chissà quando arriverà lo sconto per noi, genitori confusi che non sappiamo come far abbassare i toni ai pargoli.

Leotta contro Balivo, o del vallettismo che torna a Sanremo (per fortuna)

Dal Giornale del Popolo del 10 febbraio 2017
Chi legge da tempo questa rubrica sa che non si scappa: oggi ci tocca parlare di Sanremo. Per ribadire il nostro amore in questo tradizionale evento televisivo, per batterci valorosamente contro chi lo disprezza, per ribadire la libertà di chiunque di vestirsi come accidenti gli pare, anche (e soprattutto) di procaci giornaliste che si presentano con un abito che possono permettersi per parlare di violazione della privacy. Il catfight social è noto. Diletta Leotta, giornalista Sky di esagerata bellezza, si presenta sul palco dell’Ariston, non già per adornarlo con la sua avvenenza, ma per parlare di un caso di hackeraggio del suo telefono che l’ha portata, diversi mesi fa, a vedere spiattellate ovunque alcune sue foto osè scattate nell’intimità. L’idea - discutibile – di andare sul palco dell’Ariston a parlarne è stata aspramente criticata da Caterina Balivo, presentatrice Rai, che ha twittato che non si può parlare di privacy con un vestito tanto provocante. La cosa ha scatenato una bufera e pure noi poveracci in sala mensa, il giorno dopo, ci stracciavamo le vesti. La sottoscritta difendeva ovviamente a spada tratta la signorina Leotta di fronte a un nutrito gruppo di uomini e donne baliviste. Leotta contro Balivo e un po’ bionda contro mora, pin up contro ragazza normale, procace contro seriosa. E non possiamo che tirare un sospiro di sollievo all’idea che questo festival scandalosamente privo di veline scateni del vallettismo alla bisogna. Quanto meno su Twitter.



Il nostro contributo al dibattito sulla post verità

Dal Giornale del Popolo del 3 febbraio 2017

“Tu cosa ne sai delle regole dell’asilo? Tu mi porti e poi te ne vai, io invece ci rimango tanto tempo, quindi le so io le regole dell’asilo”. Le discussioni in punta di diritto le facciamo alle sette e mezza del mattino, dopo aver lungamente dibattuto su quale sia l’abbigliamento adatto per andarci, all’asilo; dopo aver scartato abiti con lustrini che abbiamo limitato alle feste comandate e cerchietti improbabili con fiocchi da uovo di Pasqua in testa. Al colloquio la maestra, che parrebbe più titolata a conoscere le regole dell’asilo visto che ci passa un congruo numero di ore giornaliere, spiega che ci capisce molto bene. Che certe battaglie dialettiche con la quattreenne avvocatessa in erba le ingaggia anche lei. Spiega che comunque è una brava bambina, molto precisa, attenta, piena di fantasia, con le idee molto chiare su quale sia il compagno dell’asilo con cui convolerà a nozze tra molti anni (“No, non voglio invitarlo a giocare a casa mia. Tanto da grandi ci sposeremo e avremo tutto il tempo”). Spiega che è molto educata e che le piacciono molto le storie. Noi ci domandiamo quale figlia abbia conosciuto e osserviamo con mestizia che probabilmente è soltanto con noi che rivendica diritti e regali (“Non è giusto che tu lavori tutto il giorno e poi ci fai vedere solo un cartone. Bisogna trovare una soluzione che vada bene a tutti e quindi si fa come dico io”). “Comunque si vede che è una bambina molto seguita”, conclude la maestra; dando un contributo inconsapevole ma significativo al dibattito sulla post verità. incredulo.