venerdì 17 dicembre 2010

Il mal del wellness

Dal Giornale del Popolo del 17 dicembre 2010
Scrivo dalla sala relax di un centro benessere. Dio solo sa quanto sto rischiando. I templi della pace in terra non ammettono intrusioni del mondo esterno, così ho ben nascosto il mio macbook dentro l'asciugamano per la sauna. Sauna in cui non mi azzardo a entrare perché è piena zeppa. La popola quella tribù che da un decennio a questa parte ha scoperto la parola wellness e se n'è ammalata. Sì dev'essere stato, ad occhio e croce, una decina d'anni fa, forse contemporaneamente all'invasione della rucola. Mentre quella verduraccia verde faceva la sua intrusione dentro piadine, tagliate e insalate la gente scopriva di essere talmente stressata da aver bisogno di rigenerarsi. Qualche rudimento di latinorum per raccapezzarsi tra sanarium e tepidarium e siamo tutti arruolati nell'esercito. Giù al piano di sotto una signora in cuffia da doccia (quelle che ti regalano in albergo) si trascina dietro un panciuto signore di mezz'età in costume arancione in tutto simile a un marito. L'ha fatto uscire dal bagno salino alla sauna finlandese e tra poco trotteranno entrambi là fuori, in mezzo alla neve a 15 gradi sotto zero, per raggiungere la piscina di acqua bollente. «Ché dice che fa tanto bene alla pelle». Presto arriveranno anche qui, nella sala relax che pareva tale solo per quel cartello all'ingresso: “Ingresso riservato agli adulti”. Vai mai a pensare che in queste situazioni gli adulti possano trasformarsi in minacce peggiori dei bambini. Come se non bastasse qua di fianco è seduto un tizio che fino a ieri non aveva neppure mai messo piede in una sauna. Gliel'ho insegnato io. Pure il bagno di fieno: l'ho dovuto convincere che è una pratica che non mette in alcun modo in pericolo la sua virilità né il suo intelletto. Adesso è così a suo agio che non li sente nemmeno i tizi di mezz'età che si rincorrono dietro il vetro. Non si mangia neppure le unghie temendo di somigliare a loro un giorno. Ha imparato a rilassarsi, lui.

mercoledì 1 dicembre 2010

L'intervista


Ora ho trovato la versione completa dell'intervista a Lorenzo di Aldo Cazzullo. Eccola qui.

martedì 30 novembre 2010


Oggi Jovanotti si lascia intervistare da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera. La foto che hanno scelto non rende giustizia, i titoli neanche (anche se sono riusciti ad evitare la retorica del ragazzaccio che ormai è cresciuto). Comunque voi leggete, leggete per intero e per ora dovete comprare il Corriere, perché su internet non trovo il pezzo e ora non ho tempo di riscriverlo.
Io segnalo modestamente che
-Lorenzo da del lei a Cazzullo e io l'ho trovato così educato, così carino, così strepitosamente lui.
-Lorenzo ci informa che Teresa sua figlia che ha undici anni ascolta De Andrè e poi dice una cosa che andrebbe incorniciata: «Nella beatificazione laica che stanno facendo di Fabrizio si tende a dire che oggi manca un De André. Ma un cantautore che oggi emulasse De André non sarebbe attuale, non funzionerebbe. Gli darebbero il premio Tenco, che è un premio all'anzianità, a qualcosa che c'è già stato. La realtà è da un'altra parte. Gli strumenti della nostalgia e del rimpianto sono i più sbagliati per capire l'oggi, perché lo fanno sembrare brutto, triste, limitato: un culturista con poco cervello. La mia forma di resistenza è valorizzare l'oggi, vederne i segni vitali, fecondi». Vi dirò che più avanti cita pure Le luci della centrale elettrica, direttamente da quello snobbissimo e adorabile mondo indie.
-Infine dice che lui incontra tanti ragazzi interessanti e per provarlo usa questa espressione: «... gente che si iscrive a fisica, non a scienze della comunicazione, che è un'assurdità fin dal nome». Ah ah ah ah ah! Pure Lorenzo contro i comunicazionisti patentati.

venerdì 26 novembre 2010

Baci e vendite speciali


Dal Giornale del Popolo del 26 novembre
Quando dici che hai fatto il liceo classico e che ti diletti a scrivere i parenti la prendono subito dal lato che gli fa comodo: «Allora puoi scrivermi questo biglietto d'auguri». Non si capisce perché un curriculum vagamente letterario ti guadagni questa incombenza da parte di amici e congiunti. Nemmeno si capisce come mai la gente pensi che siccome ti diletti a scrivere su qualche giornale di sicuro avrai uno di quegli inviti stampa per le vendite speciali delle collezioni di grandi marchi. Quei pochi inviti arrivano per caso o per meriti acquisiti. Per esempio se un paio di anni fa hai comprato le scarpe più costose della tua storia vestiaria, è molto probabile che il grande marchio si degni, un giorno, di invitarti a una vendita speciale. Se quel giorno sei impossibilitata a recarti nel luogo di perdizione non puoi che affidarti ai racconti di un'amica, ottima inviata speciale. «Ci sono tutti i modelli», esulta appena entrata in quella specie di outlet improvvisato in cui ricche signore si recano in pellegrinaggio per ottenere scarpe che possono permettersi a prezzo pieno, ma che acquistano tutto un altro valore se ottenute con l'illecito mezzo di una svendita. Forse le signore non si strappano di mano tacchi preziosi come adolescenti al lancio della collezione limitata di Lanvin per H&M, ma sanno essere ugualmente spietate. L'amica è una professionista mica da ridere, arpiona il commesso torna vincitrice. In borsa ha due paia di scarpe che sommate non fanno il costo delle tue comprate anni addietro. Ti illudi che va bene così, che se non le avessi comprate svenandoti allora non le avresti potute indossare per la sera più importante della tua vita. Se non le avessi comprate allora non potresti ricordare quel primo bacio, dato con le prime Roger Vivier ai piedi. Non ha prezzo. Per tutto il resto, c'è il conto in rosso.

mercoledì 24 novembre 2010

FORMA e sostanza/sequel

Il fotografo Settimio Benedusi spiega il perché dell'esperimento delle foto di Martina Colombari allo Spazio FORMA. Qui.

FORMA e sostanza


C'è persino chi cita la ficcanaso. Già.

martedì 23 novembre 2010

Kate, Issa e noi ragazze


No perché poi se no finisce che uno pensa che qua la Ficcanaso abbia proprio preso i colpi. Due parole su Issa London, marca amata da Kate Middleton (e, pare, anche scelta per disegnare il vestito da sposa della futura moglie di William). Issa London non è affatto una marca sconosciuta, in Italia si trova eccome: a Milano da Brian&Barry e da Mariza Tassy in zona Brera. A Riccione nella snobbissima Boutique Antonia. Un tempo anche a Cattolica (chez Gaudenzi) si trovava, ora ne abbiamo perso le tracce. A Sansepolcro dal Ballerini. Kate non è Charlotte Casiraghi, cui Karl Lagerfeld regala gli straccetti che disegna, Kate si compra dei vestiti che si trovano anche nei negozi frequentati da noi ragazze che viviamo al di sopra delle nostre possibilità. È una di noi. Ah ah ah!
qui maggiori info e foto

Il giorno che abbiamo capito


Pass stampa, eterosessualità in vertiginoso calo, numerini per accedere per un tempo limitato al negozio e comprare un numero limitato di capi, bellissimi appendini e borsette, interessanti papillon da uomo. Betta ha visto questo per tutte noi, è andata all'inferno ed è tornata. «Neanche per un concerto si fa tutto questo», ha detto. Allora una saggia amica l'ha salvata, portandola verso un diluvio di carboidrati a colazione con cui brindare al giorno in cui abbiamo capito che il concetto di lusso democratico non è mai esistito.

lunedì 22 novembre 2010

He's back!


Corrado Guzzanti a Vieni via con me. Mitologgico.

venerdì 5 novembre 2010

Non ci sono più le minorenni di una volta


Dal Giornale del Popolo dell'8 novembre
E pensare che noi l'avevamo iniziato a pensare qualche tempo fa, poco dopo il dilagare dei pantaloni skinny a vita bassa, che ammazzano le gambe e liberano le maniglie dell'amore, ma migliorano l'aspetto del gluteo e rivelano impietosi l'età di chi li indossa. Dicevamo, ecco, che quando eravamo giovani noi la moda assecondava in pieno i complessi delle adolescenti e così noialtre affondavamo in enormi pantaloni da rapper, in grado di coprire grazie che sarebbero state da censurare solo molti anni dopo, quando ci saremmo decise a scoprirle. Indossavamo maglie larghe e informi e le nostre madri si sgolavano invano con quei «tira su le spalle, che sembri già gobba». Insomma, noi sì che avevamo dei complessi. I valori non ce li avevamo neanche noi e anzi già allora, come in tutte le epoche, eravamo “giovani d'oggi”, colpevoli di aver preferito la tv alle manifestazioni di piazza dei nostri genitori. Il tubo catodico ci aveva liberato molto più delle rivendicazioni delle nostre madri sulle proprietà dell'utero e sinceramente parlando crescere con Non è la Rai ci è piaciuto moltissimo. Già allora gli adulti si indignavano e la cosa ci stava benissimo. Avevamo dei complessi, noi. Avevamo un disagio esistenziale, noi. Avevamo avuto un'infanzia ovviamente problematica e un'adolescenza mediamente ribelle. Avevamo giocato a Barbie, noi. E lungo tempo l'abbiamo passato a far fare a Barbie e Ken acrobazie sessuali censurate solo da quel loro esistere unicamente in plastica. Ecco noi credevamo d'aver fatto tutto abbastanza bene in termini di rivoluzioni e di scandalizzazione degli adulti/genitori/benpensanti. Poi bastano una Ruby e un Bunga Bunga e ci ritroviamo in coda con gli adulti/genitori/benpensanti di oggi a dire che non ci sono più le minorenni di una volta. E allora, minorenni o no, come dice il mio amico saggio e arguto: «Se le poco di buono ci precederanno nel regno dei cieli, è meglio cominciare a prendere il biglietto».

venerdì 29 ottobre 2010

L'ora di fare tardi

Dal Giornale del Popolo del 29 ottobre
È iniziato l'inverno. Si possono anche osare gonne corte, perché i collant coprono provvidenzialmente le ginocchia che dopo i vent'anni scendono la china della flaccidità. È iniziato l'inverno ed è indiscutibile che se mangi e bevi come un tricheco un maglione di cachemire copre gonfiori e sensi di colpa. È iniziato l'inverno e ritrovare le gonne che avevi diligentemente riposto sei mesi fa ti fa sentire meglio. Se provandole le trovi inspiegabilmente grandi puoi raccontarti che sei dimagrita, «come tu magrita», mi dice sempre la badante di mia nonna che è l'unica ad aver capito come farmi felice. Di fronte a quei capi che non puoi più indossare ti si pone un problema etico non indifferente: tenerli nell'armadio, segretamente sapendo che prima o poi ingrasserai di nuovo, o tentare il folle volo e farli sparire aggrappandoti con la forza di volontà alla taglia 42? È iniziato l'inverno e, al netto dei dilemmi etici che si consumano nella cabina armadio, è un bel periodo. Il berretto di lana ti libera dalla schiavitù della messa in piega, i guanti bordati di pelliccia ti danno un'aria per bene, gli stivali col tacco sono più comodi di mille sandali scivolosi. Questo salutare esercizio di positività iniziato per non pensare a questo freddo che spacca le ossa si è infranto quando ci hanno detto che nella notte tra sabato e domenica si consumerà l'orrendo evento del ritorno dell'ora solare. O forse legale? Non lo so. La Ficcanaso si rifiuta di comprendere queste cose (e dunque di dar loro un nome). Sabato sera sarà tutto un discutere su come bisogna spostare le lancette dell'orologio (lui lo saprà e tu no) e domandarsi se i cellulari moderni lo fanno da soli oppure no. Sarà una domenica mattina disorientata in cui ci vorranno almeno un paio d'ore per capire che diavolo di ore sono. E nel frattempo dovunque starai andando sarai già in ritardo.

venerdì 22 ottobre 2010

Discutiamoci


Dal Giornale del Popolo del 21 ottobre
Dice: «Com'è possibile che tu non abbia visto Manhattan?» Dice: «Com'è possibile che tu non ami Woody Allen?». Dico: «Io amo Woody Allen solo che è un'altra di quelle passioni a cui non ho ancora avuto tempo di dedicarmi». E comunque Manhattan non l'ho visto ma ho l'impressione che ci sia di mezzo una qualche donna nevrotica e pedante alla quale tu surretiziamente cerchi di paragonarmi. Dico che probabilmente tu non l'hai capito, ma noi stiamo finalmente litigando, sì una di quelle discussioni belle e buone che ci siamo negati per tanto tempo, pensando che non fosse necessaria, pensando di non averne il tempo, pensando di poterne fare a meno. Litigare è un impegno serio, occorre non perdere un istante della conversazione, appuntarsi mentalmente tutti i buchi nella difesa dell'altro e poi sferrare il colpo decisivo quando lui è distratto, magari dopo un accenno di esitazione appena riconoscibile al telefono, mostrarsi per un attimo ferite in modo che lui possa sentirsi in colpa e dunque essere inevitabilmente
vulnerabile. Dobbiamo trovare un motivo vero per litigare, mi dico. Le sedie troppo costose, la sessione folle di shopping, l'invito a cena di quella persona che proprio non sopporti, un film, un libro, la politica. Abbiamo (e avremo) un sacco di motivi validi per litigare ma abbiamo scelto il motivo più medio, banale e impresentabile dell'universo. La gelosia è una cosa talmente tribale e retrograda che non litigheremo mai per gelosia. Non appena avrò cancellato di nascosto il numero della tua collega alta e bionda tutto tornerà come prima. E potremo esercitarci ad azzuffarci sulla diavoleria blu ray che vuoi sostituire al mio amato lettore Vhs.

martedì 12 ottobre 2010

Alla nostra età

Dal Giornale del Popolo dell'8 ottobre
Un viaggio di qualche mese, altri due tatuaggi e poi sono sicura che mi verranno in mente un sacco di altre cose da fare ancora. Guardiamo le foto di sei anni fa ed eravamo così immensamente giovani e sembrava così ieri che non ci capacitiamo: dove siamo state tutto questo tempo? Ebbene sì, in questi giorni il gruppo di amiche di riferimento riflette su tematiche spinose e nostalgiche. Cerchiamo di compilare un curriculum collettivo degli anni che sono passati anche se noi non ce ne ne siamo rese conto. Una si è rasata i capelli e li ha fatti ricrescere, una si è tolta delle voglie dalla pelle e dei rompiscatole di torno, tutte ci siamo laureate, qualcuna ha ossigenato i capelli, qualcuna s'è sposata, qualcuna sta per farlo, qualcuna stava per farlo poi ha pensato che forse non c'è tutta questa fretta e prima bisogna trovare un accordo su che tipo di matrimonio mettere in piedi. Per essere delle Piccole Donne postmoderne non siamo certo state con le mani in mano. Certo, ci mancano ancora quei due tatuaggi e quel viaggio di qualche mese, ma in fondo ne abbiamo fatte abbastanza per essere fiere di noi stesse e abbastanza poche per pensare che abbiamo ancora un carnet di esperienze interessanti da scoprire. Abbiamo anche fatto voti solenni, tipo che non ci rifaremo mai il seno e che ci aiuteremo a vicenda a non cedere al botox per non finire come Meg Ryan, Carla Bruni e tutte quelle signore benestanti, di cui si vedono solo gli zigomi aggirarsi per via Nassa dietro enormi borse di Vuitton. Ecco abbiamo fatto tanto e promesso tanto. Ci siamo anche tolte delle soddisfazioni. Ma siamo arrivate alla soglia dei capelli bianchi senza capire che parole come “uccide fortifica” non potevano che essere pensate per un uomo da Tiziano Ferro.

mercoledì 6 ottobre 2010

Alla mia età


Ebbene no, non sono interessata alla vita sessuale di Tiziano Ferro.

venerdì 1 ottobre 2010

Per un pugno di applicazioni

Dal Giornale del Popolo del 1 ottobre
Un giorno forse anche da queste parti arriverà il mercato libero e spostare un appuntamento dall'estetista non sarà come chiedere udienza alla regina d'Inghilterra. Come spesso accade, avere amiche americane serve a farti capire quanto è retrogrado il posto in cui vivi. Loro non si capacitano che per farsi dare lo smalto e togliere le cuticole occorra addirittura prenotare, perché a New York in qualunque nail saloon non si aspetta mai più di 15 minuti per essere rimesse a nuovo. Non si capisce, mi domandavo ieri con ira e furore, perché spendere dei soldi sia diventato così difficile. I negozi chiudono sempre troppo presto, parrucchieri e centri estetici hanno la fila fuori e quando domandi se per caso è rimasto un buco libero ti guardano come se pretendessi di intrufolarti in ciabatte sul red carpet degli Oscar perché «ovviamente è tutto prenotato» o «mi dispiace il negozio sta chiudendo». Sarà per questo che l'altro giorno, in assoluta astinenza da shopping di cose indossabili, mi sono infilata in un H&M ben prima della chiusura. A volte una ragazza ha un tale bisogno fisico di spendere soldi in cose che non siano lavandini, idraulici, ferri da stiro e dentisti che finisce per ritrovarsi in un camerino con addosso una gonna da quindicenne. Sono gli inconvenienti di non avere più vent'anni: un giorno ti guardi allo specchio e realizzi che hai passato una vita a farti i complessi, ma tra pochissimo avrai VERAMENTE le rughe e sarai VERAMENTE flaccida per via dell'inesorabile passare del tempo. Alcune reagiscono mettendosi a dieta, altre comprando una gonna cortissima. Poi arriva lui e commenta che è una gonna da ragazzina delle elementari vestita per la recita di fine anno. Giusto una battuta prima di buttarsi sul nuovo iPhone4. Tutta l'applicazione di una postventenne, non vale un pugno di applicazioni Apple.

giovedì 30 settembre 2010

Tutto Beautiful in sei minuti


Contate quante volte compare la frase: Ridge è confuso.

venerdì 24 settembre 2010

Che barba, che noia


Dal Giornale del Popolo del 24 settembre
Io penso che non ci sia coppia italofona che non abbia mai fatto la scena delle coperte di Sandra e Raimondo. Ce l'avete tutti in mente come la sigla di quei cartoni di immenso tempo fa. A letto, la sera, dopo una giornata di assurdità da sitcom che solo la vita reale può imitare degnamente. Lui legge la Gazzetta dello Sport, lei si mette a dormire aspettando che lui spenga la luce. Comincia ad agitare i piedi furiosamente, le coperte si scompongono, ma lui no. Legge. Per un impressionante numero di anni tutte le puntate di Casa Vianello si sono concluse così, con una scena direttamente tratta dalla trincea di ogni coppia che si erge in camera da letto. Sandra e Raimondo ci mancano terribilmente come ci manca una cosa che si è stati abituati a vedere per troppo tempo. Una cosa s'è addirittura snobbata, ma che in anni di noiosi pomeriggi a casa con la tv accesa ha fatto sedimentare una familiarità imprevista. Nella morte di Raimondo e nel seguirlo di Sandra dopo pochi mesi è riscoppiato quel romanticismo che tentiamo di soffocare tutti i giorni, pensando che sia la stessa cosa dell'amore che si corteggia nelle innumerevoli trasmissioni di Maria De Filippi. E allora voi direte, come dite, lo so, che la Ficcanaso vive una mutazione imprevista verso la bontà e i buoni sentimenti man mano che gli anni passano e i capelli bianchi aspettano dietro l'angolo. Ma la Ficcanaso oggi piange Sandra e Raimondo come si piange una coppia che nel sua irresistibile scontatezza fa venire balzane idee. Fa venire persino voglia ai più insospettabili di vincere quell'allergia agli anelli all'anulare sinistro. Solo per il gusto di agitare i piedi furiosamente sotto le coperte ogni maledettissima sera.

giovedì 23 settembre 2010

Non amate lo sport

Dal Giornale del Popolo del 17 settembre
Gli ultimi tempi sono stati segnati da rivelazioni devastanti e verità sconvolgenti. Prima Tiger Woods infestato di amanti e coinvolto in un divorzio milionario, poi il calciatore inglese Rooney che avrebbe tradito la moglie con svariate escort persino quando lei era incinta. L'ombra della vergogna ha per un attimo offuscato anche Casillas, il portiere della nazionale spagnola che per festeggiare la vittoria del mondiale baciò in diretta tv la fidanzata giornalista che lo stava intervistando, regalandoci un motivo per appassionarci allo sport. Una squinzia di cui non ricordiamo il nome ha millantato una love story con il bel capitano e l'allarme si è sparso in tutto il mondo che l'aveva eletto eroe romantico-sportivo dell'anno. Poi tutto è risultato una bufala: lei ha smentito, lui ha smentito, i giornali hanno ritrattato. Ma noi avevamo già iniziato a riflettere. Il fatto è che, tra notizie vere o bufale, qui le rivelazioni si fanno sconcertanti. Nell'ordine. Gli uomini rischiano di tradire le loro mogli. Il rischio aumenta in maniera direttamente proporzionale al tasso di fascino e successo posseduto dall'uomo in questione. L'uomo fedifrago non si ferma davanti a niente, neppure di fronte alla gravidanza della moglie. Fosse solo questo. Abbiamo passato una vita a sentir celebrare i sani valori dello sport, quelli che cominciano con lo spirito di squadra e finiscono con l'autodisciplina e il senso del sacrificio. Poi in un attimo e arrivato il doping e poi questo tornado di rivelazioni che ci ha dimostrato che non c'è luogo immune dalla perdizione. E allora tanto vale ricominciare a perdere la testa per cantanti e artisti notoriamente poco raccomandabili. Ai concerti ci si diverte certo più che alle partite.

mercoledì 22 settembre 2010

Repetita iuvant


p.s. della serie: chi non prende Rai Due guarda Devil wears Prada, all'ennesima replica.

giovedì 16 settembre 2010

Free Cattelan in Milan


Se lanciare appelli non fosse estremamente sconveniente, io lancerei questo.

martedì 14 settembre 2010

Dismiss Italia

«Che pena storica dovrà mai scontare il nostro Paese per sopportare ancora la presenza tv di Emanuele Filiberto?». Grazie Aldo.

lunedì 13 settembre 2010

Una vita al telefono/sequel

Peggio che rimanere senza cellulare per tre giorni e mezzo c'è solo il recuperarlo e trovare cinque (dicasi cinque) sms. Socialmente irrilevante.

venerdì 10 settembre 2010

Una vita al telefono

Dal Giornale del Popolo del 10 settembre 2010
La prenderò con filosofia per godermi la sensazione di inaudita libertà. Chissà potrebbe essere l'occasione per smettere, come ci si ripromette di fare ogni volta che si rimane senza sigarette. In fondo un giorno senza telefonino è divertente. Certo, all'inizio è destabilizzante quando temi di averlo buttato in lavatrice. Ma poi, quando scopri che è solo una defaillance momentanea, ancorché lunga a tempo indefinito, non puoi che rilassarti. E pensi che in fondo non ti sei mai sentita così leggera e priva di vincoli. Ti riscopri a consultare l'orologio (che nel frattempo hai comprato perché prima utilizzavi il display) e persino a rispettare gli orari per gli appuntamenti, anziché iniziare a prepararti quando chi deve passare a prenderti sotto casa ti fa il primo squillino e scendere di corsa al secondo. Senza lo squillo di conferma o rassicurazione rischi addirittura di dover parlare con gli amici in viva voce e non per cenni tecnologici e tribali come gli sms. Appunto, gli sms. Di colpo ti trovi derubata della più splendida fonte di ambiguità e cazzeggio che questo decennio ci abbia regalato e d'improvviso ti sembra che non abbia senso guardare l'ennesima replica di Pretty Woman senza poter messaggiare alle tue amiche a ogni scena topica. Ma forse è un bene. Forse significa che devi ricominciare a godere delle cose per te stessa. A prenderti i tuoi spazi. A fare cose, vedere gente (ammesso che tu riesca a rintracciare qualcuno). A utilizzare la tecnologia solo a piccole dosi. Potresti perfino decidere di riattaccare la spina del telefono fisso di peluche e smettere di credere che averne uno sia una scelta troppo definitiva. O addirittura goderti l'incredibile romanticismo retrò di questo essere costretti a darsi gli appuntamenti al parco come alle medie. Peccato che il parco siano pieno di nanerottoli delle medie che si fanno le foto col cellulare.

venerdì 3 settembre 2010

Cacciare il naso

Ottimamente, la Berni ci informa sui siti/blog che spiano le case della gente. È un po' il concetto Sartorialist sull'arredamento. Wow wow. Questo mi fa venire in mente che in Sex and the city due (Il film), c'è una frase che va salvata con tutte le forze possibili. Carrie in un negozio di vestiti viene calorosamente salutata dalla commessa che non la vedeva da tempo. «Hai ragione – ammette lei mortificata. Ho tradito la moda per l'arredamento». Non so voi, ma io mi sono sentita in colpa.

Family Brown

E siccome è facile incontrarsi

«Leva il tuo sorriso dalla strada e fai passare la mia malinconia». Ci sono dei giorni, un bravo analista li riterrebbe alternativamente molto pericolosi o molto profondi, in cui varrebbe la pena mollarsi in malo modo per poter cantare col giusto pathos certe canzoni di Lucio Dalla come Mambo e domandarsi gridando a squarciagola «se d'amore è proprio vero che non si muore cosa faccio nudo per strada mentre piove?». Siamo talmente abituati alla retorica della tragedia che a volte ci manca incredibilmente. Fa parte del copione che sappiamo, che abbiamo imparato a forza di quel bombardamento di cultura pop romantica con cui siamo cresciute. Se abbiamo già detto più volte con Venditti che «certi amori non finiscono» è logica conseguenza che abbia ragione Jovanotti a dire che «com'è strano incontrarti di sera in mezzo alla gente, salutarci come due vecchi amici “ehi ciao come stai”, quando un giorno di notte ti ho detto “non ti lascerò mai”». Siamo talmente affezionati al romanticismo che incontrandoci dopo mesi di silenzi e cuori spezzati ci rimaniamo malissimo a scoprire che non proviamo niente e la cosa sembra essere insopportabilmente reciproca. Sono diventata insensibile, diceva l'altro giorno fonte autorevole coperta da anonimato. Si aspettava il tuffo al cuore, l'emozione, lo sconvolgimento, si aspettava di chiedere tremante di eventuali matrimoni e figli e invece si è ritrovata spigliata a fare conversazione, a spiegare che maddai ti trovo bene, in forma e lei come sta? E lì, mentre gli struggimenti di ieri lasciavano il posto all'urbana conversazione di oggi ha capito che nemmeno i cuori si spezzano più come un volta.

giovedì 2 settembre 2010

Pochi euro e novanta


Scott Schumann è anima e cuore di The Sartorialist, il blog che da anni pubblica scatti di persone “stylish” incontrate per strada. Scott gira le città e il mondo con la sua macchina al collo e immortala la gente comune con una convinzione di fondo: nelle strade delle nostre città si trova quel quid di fantasia e di imprevedibilità che fa scuola di stile almeno quanto le sfilate di moda. Questa è la teoria, poi la pratica dell'osservazione a opera di sguardi maligni e invidiosetti non può che notare che, più passa il tempo, più il caro Scott incontra per strada solo signori eleganti e ragazze dalle gambe interminabili, spesso e volentieri fuori dalle sfilate di New York e Milano. Di certo non ha mai incontrato gente che corre dietro al tram strozzandosi con le cuffie dell'iPod. Ma questa è malignità e soprattutto un'obiezione irrilevante: l'argomento di chi snobbava Sex and the city dicendo che non era credibile che delle ragazze girassero per New York in tacco dodici e Carrie si pagasse quei preziosi tacchi con venti righe vergate settimanalmente su un giornale. Obiezione irrilevante perché come vita normale e fin troppo credibile ci basta la nostra, alle serie tv non chiediamo verosimiglianza ma sogno, divertimento, acume, follia, chiediamo di prendere i problemi di tutti (lui mi ama ma non lo sa, i suoi amici mi snobbano, lui lavora troppo) e farli diventare patinati e risolvibili. Voglio dire che se uno è interessato alla realtà esce di casa, mica accende la tv. Lo stesso vale per le foto di Schumann: street photography o no, ci regalano grandi ispirazioni, ci mostrano come si dovrebbe essere, la loro pretesa spontaneità è ancora più spietata e ci costringe a domandarci come fanno gli altri a vivere la loro vita con leggerezza, a indossare le loro imperfezioni con levità mentre noi ci rosicchiamo le unghie pensando che l'eleganza non si compra e se stamattina ci incontrasse The Sartorialist butterebbe la macchina fotografica. Ora succede che il nuovo corso del marchio Oviesse preveda una campagna pubblicitaria ispirata alle foto di The Sartorialist e firmata dallo stesso Schumann. I giornali sono tappezzati di pubblicità di gente dell'alta società con capi da pochi euro e novanta addosso. I nomi di queste signore sono più lunghi delle descrizioni dei vestiti che indossano, di certo più lunghi dei prezzi. Dettaglio irrilevante per chi all'Oviesse non ha mai comprato neppure i calzini per la propria colf. E per chi il compenso della campagna pubblicitaria lo devolve ovviamente in beneficenza.
(la foto è rubacchiata dal Corsera, ci sono altre decine di soggetti poi)

mercoledì 1 settembre 2010

Facebook e i paletti

Dal Giornale del Popolo del 26 agosto
La Germania potrebbe approvare una legge che impedirebbe ai datori di lavoro di controllare Facebook e altri social network per studiare i profili delle persone in cerca di un'assunzione presso le loro aziende. Gli addetti alle assunzioni che non si accontentassero delle ottime conoscenze del pacchetto Office certificate dai nostri curriculum, dovranno trovare altri mezzi per sapere con chi hanno a che fare. Francamente non dovrei occuparmi di questo tema, perché non possiedo un profilo Facebook per via di quel mix di pigrizia, diffidenza e snobismo che guida la mia vita. Eppure il tema mi inquieta, anche perché appartengo all'orrida razza di coloro che snobbano Facebook ma non disdegnano periodici giretti di ricognizione con gli account delle amiche. E dunque dall'alto dell'esperienza di una ficcanaso coi fiocchi che dico che il tentativo di introdurre privacy e regole in quella bailamme di foto, commenti, chat, status e amicizie è inutile e perfino sottilmente totalitario. Sbirciavo i profili di alcune conoscenti, l'altro giorno. E santo Iddio se possedessi un'azienda non assumerei mai nessuno che si fotografa di tre quarti in bikini come Lory del Santo ai tempi dell'Isola. Nessuno che renda pubblici autoscatti improbabili. E già che ci siamo sfatiamo il mito che le foto che mettiamo sui social network ci fanno apparire bellissime. La vanità di apparire offusca persino il senso estetico e, ragazze mie diciamocelo, certe volte pubblicate cose che vi procurano una pessima pubblicità e non solo con potenziali datori di lavoro. Insomma se hai voluto un account Facebook ti esponi per definizione al rischio dello spionaggio aziendale e sentimentale. Sanzionarlo è ingiusto. Anche perché sono a un passo da convincere un'amica a chiedere l'amicizia al tizio che mi spezzò il cuore alle elementari e non intendo farmi sfuggire le sue foto per niente al mondo.

mercoledì 25 agosto 2010

Scacco alla montagna


Mi piace perché l'alessiona ha capito (come me) che se ti trascinano in montagna devi dotarti di una camicia a scacchi e un genere di conforto, che può essere del cachemire (in qualunque forma: golfino o pashmina) o una balenciaga caricata in seggiovia. L'alessiona opta per la seconda ipotesi (in questa foto non si vede, ma c'è).

martedì 24 agosto 2010

Riscossa Juve

Non capisco di calcio e non tifo perché sono donna. Però mi piace molto che il marito di Lavinia Borromeo e suo cugino rispondano per le rime a Moratti che insulta la Juventus senza citarla. Andrea Agnelli e Jaki Elkann rispondono e lo fanno in maniera acida e letale come sanno fare i veri snob. Tiè. Ecco, fossi un tifoso sarei contento.

venerdì 13 agosto 2010

Banality

Dal Giornale del Popolo del 13 agosto

Il cervello, diceva quella buon'anima della mia maestra delle elementari, non va mai in vacanza. Lei lo diceva per esortarci a rovinarci ogni giorno d'estate con il pensiero dei compiti delle vacanze. Diceva addirittura, forse in ossequio a quelle regole per cui le cose giuste devono essere sempre le più pallose, che i compiti era meglio farli un po' alla volta, giorno per giorno. Ovviamente noi non l'abbiamo mai ascoltata. Allo stesso modo ho pensato che certi numeri di Vanity Fair andassero letti tutti d'un fiato, come per assolvere a un dovere a lungo trascurato. Sicché in un sol giorno ho scoperto che anche Ilary Blasi ha la cellulite (parola sua) e soprattutto che ritiene che la cosa più importante da insegnare a suo figlio maschio siano “i confini dell'amore” (e se voi avete un pargolo maschio a cui ancora cercate di insegnare a non toccarsi continuamente il contenuto delle mutande e non mettere più di un dito alla volta nel naso, peggio per voi). Passando a un altro numero del noto settimanale femminile ho diligentemente divorato la prima intervista in cui Elisabetta Canalis parla della sua relazione con George Clooney. Ho scoperto che è felice, che si sente giovane come quando aveva diciotto anni e che sta cercando di migliorare il suo inglese e che pure che la commessa del supermercato di Alghero le ha chiesto se era vero che stava con Clooney e lei deve aver risposto sì con noncuranza mentre metteva le uova dentro la busta di plastica stando attenta a non farle schiacciare dalle birre. Poi le hanno chiesto cosa le piace di più di George. E lei, che quel ben di Dio ce l'ha davanti tutti i giorni, ha detto: l'altruismo. E poi le hanno chiesto qual è il vip che le è piaciuto di più conoscere. E lei, che magari s'è mangiata una pizza nel divano con Brad Pitt, ha risposto: Kofi Annan. E allora abbiamo capito che non basta mandare una velina a Hollywood per farla smettere di dire inutilità ai giornali femminili.

venerdì 6 agosto 2010

Di spose e di bambini

Dal Giornale del Popolo del 6 agosto
Le spose sono belle per condizione e pregiudizio. Come i neonati. Certo che abbiamo bene in mente una sfilza di spose sbagliate e pargoli bruttini. Ma poi finisce sempre che i secondi li approviamo per tenerezza indotta (mai spontanea), le prime per sincera ammirazione del coraggio. In fondo stiamo sempre parlando di una che ha il fegato di farsi portare a un altare o in un Comune, una che ha l'ardire di mettersi volontariamente al centro dell'attenzione di almeno dieci persone. Una che sopporta centinaia di sguardi mentre percorre una navata con addosso un vestito comprato mesi addietro. Una che accetta di indossare un fastidiosissimo anello all'anulare sinistro. Una che corre il rischio di vedere la donna che l'ha partorita colpita dalla sindrome madre della sposa stritolata dall'abbraccio di sete color pastello. Una che si espone al ludibrio di invitati ubriachi urlanti “bacio bacio” come un fenomeno da baraccone. Una che, se evita l'atmosfera impresentabile (ma liberatoria) di un matrimonio ruspante, finisce di certo nel gorgo di quello minimal dove invitati con bocca a culo di gallina e alito provato dal prosecco importunano signore sposate per ammazzare il tempo. Comunque vada sarà un disastro e qualunque disastro tu stia vivendo ne hai di certo scampato uno peggiore, dunque meriti la solidarietà e la comprensione e pure l'ammirazione (massì) di chiunque abbia a che fare con te. Quindi non mi strapperete dalla tastiera nessun commento sornione o acido o ironico o neanche lontanamente irrispettoso sulle nozze da favola di Chelsea Clinton.

mercoledì 4 agosto 2010

Matrimoni


Huffington Post pubblica lo scatto che mancava al matrimonio di Chelsea (Foto: Barbara Kinney). Andando sul sito di Huffington lo vedete intero. The mother of the bride in Oscar De La Renta e the bride in Vera Wang. Splendida la nonna (mamma di Hillary).

Per una volta si può pure comprare Vanity Fair


«Credevo che il lavoro per me sarebbe sempre venuto al primo posto. Sono stata smentita. La mia vita sentimentale ha preso il sopravvento» . «A volte in America mi seguono al supermercato, ma dopo un po’ si stufano. Sono meno ossessivi dei loro colleghi italiani. Posso uscire a cena con il mio uomo senza essere particolarmente perseguitata». «Mi ha fatto effetto, l’altro giorno, sentirmi domandare dalla cassiera della Conad di Alghero: “È vero che sei fidanzata con lui?”. Sì, è vero: stiamo insieme. Ho saputo di donne, anche nomi importanti, che per questo hanno tolto la sua foto dal desktop del computer. Forse sono un po’ troppo stressate. Ma alla fine, la miglior rivalsa nei confronti degli invidiosi è la tua felicità. Perché è quella che non ti perdonano». «Se sei amata, ti senti sempre splendida. È l’idea di essere così amata che mi sorprende. George è la persona grazie alla quale la mia vita ha ripreso colore. Mi sento bene, leggera. Come quando avevo 18 anni».
Perché tutte sogniamo di essere riabilitate dalla cassiera del Conad.

martedì 3 agosto 2010

Drew lo sa


Con questo post comincio un esercizio che mi hanno saggiamente suggerito (no, non è stato l'analista). L'esercizio consiste nel segnalare cose che mi piacciono. Ovviamente trattasi della forma estrema di quell'onanismo intellettuale che all'origine di questo blog. Comunque. Comunque lo faccio lo stesso per esercitarmi a dire I like this. Anche se credo che proverò sempre più gusto nel dire quello che NON mi piace (come i calzoni corti coi mocassini, lo shantung, la french, la Pinko bag eccetera. Ripeterlo non guasta mai). Ah: dirò che cosa mi piace e possibilmente perché. (Come le nomination del GF: ci vuole sempre una motivazione!).

Mi piace perché Drew Barrymore ha una grande presenza anche se è tutt'altro che perfetta.
Mi piace perché non è abbronzata, come si conviene a una signora per bene.
Mi piace perché in fondo con quelle scarpe potresti metterti addosso anche un sacco di juta.
Mi piace perché trovo adorabili le gonne di quella lunghezza. Anche se sono assassine. Non vanno messe con un tacco più basso di quello. Molte di noi lo fanno o l'hanno fatto in passato, pensando di poter fare come Audrey Hepburn in Vacanze Romane. Ecco: meglio di no. Di nuovo: Drew si conosce e lo evita. Ebbene, saperlo fare è una grande cosa.

Più taxi per tutti


Dal Giornale del Popolo del 30 luglio
Ci sono paesi civili in cui il taxi non è affare per ricchi o manager in trasferta che tanto presentano le ricevute di rimborso a fine mese. Ci sono paesi in cui il taxi è per ragazze coi tacchi alti, poco propense a cercare parcheggio, con troppo poco tempo da spendere in una città per studiare una qualche cartina della metropolitana. Dopo l'ultimo viaggio lampo domando a tutti di chiedermi che giudizio mi sono fatta dei mezzi pubblici di Barcellona. il fatto di poter rispondere che non ho mai preso una metro né un autobus mi dà una gioia che cerco di non manifestare esplicitamente solo per quella vecchia storia che l'entusiasmo è roba da provinciali. In quest'anno di crisi e di molti impegni la vacanza può essere così breve, intensa e striminzita in un weekend al punto da imporre l'utilizzo del taxi come unico mezzo di trasporto. La gente adora dirti che un giorno smetterai di concederti il taxi, a fronte di tutti i sacrifici che bisogna affrontare quando si diventa grandi e si pagano tasse e le bollette si accumulano insieme a tutte quelle incombenze che noi stessi ci abituiamo a considerare come viatico a una vita adulta. Pensano che il taxi sia un lusso, non una scelta di vita consapevole e stoica per ottenere la progressiva popolarizzazione delle tariffe. E non sanno che ora che siamo tornate in un paese dove i taxi sono insopportabilmente cari conduciamo la nostra battaglia a suon di sacrifici. Perché avere dei princìpi non è mica un lusso.

lunedì 19 luglio 2010

Morire di caldo

Dal Giornale del Popolo del 16 luglio
Dicono che un po' di refrigerio ormai non si trovi neanche più nei tavoli sotto le piante del Circolo Sociale di Montagnola. Dicono che, al di là del fatto che non si può pretendere di star freschi mangiando costine con le mani, non era mai stato così caldo. È ovviamente peggio dell'estate scorsa, la quale a sua volta era infinitamente peggio della precedente. Abbiamo creduto a quelli del global warming e smesso di usare lacca inquinante. Abbiamo fatto la guerra ai clorofluorocarburi (si chiamavano così?) quando ancora eravamo ragazzine e non abbiamo più avuto notizie del buco nell'ozono, che probabilmente è emigrato in qualche universo parallelo in cui staranno crepando di caldo. Mentre però ci convincevamo dell'assoluta e prossima rovina del mondo per via del riscaldamento globale, ci hanno raccontato che sono tutte bufale. Che se tra l'undicesimo e il quattordicesimo secolo si coltivavano viti in Inghilterra e in Norvegia significa che la temperatura della terra era salita tantissimo eppure il mondo è ancora tutto sommato in salute. Insomma ci hanno detto che bisogna andare contro il mainstream dei catastrofisti e ricominciare ad usare l'auto senza sensi di colpa. In questi anni ogni volta abbiamo cercato di accodarci alle correnti di pensiero che ritenevamo in minoranza, perché sappiamo che pensarla come tutti è talmente cheap da farci cambiare idea all'istante. Cambiando idea (ammesso che averne una sia ancora di moda) da un anno all'altro arriviamo al 2010 senza aver capito un bel niente. Cerchiamo un fronte disperatamente originale. E quando ci sentirete dire che la via d'uscita è il buonsenso e la verità sta nel mezzo tanto varrà lasciarci morire di caldo.

lunedì 12 luglio 2010

È giornalismo


Non è stata una scelta saggia né prudente né professionale. Una giornalista spagnola molto bella è stata inviata ai mondiali al seguito della nazionale di calcio, il cui capitano risulta essere il di lei fidanzato. Non è stata una scelta saggia, né prudente, né professionale perché la gente non ha pietà di niente soprattutto dell'amore e della bellezza, due elementi presenti a grandi dosi nella storia del portiere spagnolo Casillas e della sua fidanzata giornalista Sara. Accade che dopo la storica vittoria della Spagna al mondiale i due si trovino faccia a faccia nell'intervista del dopo partita. Tutte le frasi d'ordinanza sul bel gioco e i ringraziamenti ai compagni, ai tifosi e alla famiglia vanno in fumo quando lui la bacia in diretta tv, facendo una di quelle cose imbarazzanti che le femmine odiano ma adorano che i maschi facciano. il bel capitano spagnolo e la sua giornalista preferita hanno infranto sfacciatamente il dogma di separare la vita privata dal lavoro; si sono fatti beffe del conflitto di interessi; hanno mandato a ramengo qualunque teoria giornalistica che separasse fatti, opinioni e tifo. E poi ci fanno porre molte domande sulle telegiornaliste spagnole: l'ultima di cui si ricordasse il nome prima della bella Sara risulta essere sposata con l'erede la trono. Questo sì che è giornalismo.

venerdì 2 luglio 2010

Pride


Dal Giornale del Popolo del 2 luglio
Chi la dura la vince e sicuramente Elisabetta Canalis l'ha durata tanto che ha già vinto. Il carico da undici ce lo ha messo l'altro giorno quando a casa di George Clooney ci ha portato nientemeno che Maddalena Corvaglia, la carissima amica con cui ha condiviso l'esperienza di Striscia la notizia. La prova del fuoco non solo perché porti nella tana del lupo una che quanto meno può gareggiare con te in termini di plasticità del gluteo e perfezione del decolltè, ma perché una volta conosciuti gli amici non si può più tornare indietro. Già mesi addietro si diceva che George portasse Eli a cena con i vari Matt Damon e Brad Pitt e noi qui tutte preoccupate che la nostra eroina difendesse con onore la propria europeità al desco con quegli yankee hollywoodiani. Oggi come allora ci sentiamo come la mamma di campagna che manda la figlia in villeggiatura con la cognata ricca: e comportati bene e stai dritta a tavola e non sgranare agli occhi di fronte alle leccornie che ci sono a casa loro e non dire parolacce e parla con rispetto della mamma e del papà e lavati i denti la sera prima di andare a dormire e non chiedere niente lascia che tutto ti sia offerto e non dire parolacce per carità e non rivelare mai neanche sotto tortura che a casa nostra primo e secondo si mangiano nello stesso piatto. E soprattutto: se ti chiedono chi era quel pupazzone rosso che sgambettava con te sopra il bancone di Striscia, dì che era un infiltrato berlusconiano in quella specie di Superquark per cui lavoravi.

giovedì 1 luglio 2010

Non c'è niente di assurdo perché può morire chiunque e moriremo tutti. Non c'è niente da dire perché peggio che il genere letterario-giornalistico del coccodrillo c'è solo il nuovo genere (appena inaugurato) del coccodrillo del personaggio di reality. Pietro Taricone è stato il primo anche in questo suo tragico finire. Hanno detto che è stato uno dei pochi usciti dal Grande Fratello a costruirsi una carriera degna di questo nome e probabilmente è vero. Sappiamo che era un bravo ragazzo, che era sincero, che era guascone e scorretto, maschio e muscoloso, sappiamo anche che era forse un po' fascistello, poco televisivo e dunque proprio per questo estremamente efficace nel piccolo schermo. Sappiamo che aveva molti pregi che qualcuno considerava difetti e molti difetti che qualcuno considerava pregi, come tutti noi. Sappiamo molte cose e non sappiamo niente come accade per tutti i personaggi che spiamo in tv e sui giornali. Più di tutto non sappiamo capacitarci del fatto che stiamo usando il passato per uno che è sempre stato coniugato al presente e al futuro. Taricone ci conquistava perché era incorreggibile e gentile, ci piaceva per quel suo modo di difendere la famiglia, gli affetti, i cavalli, la privacy, il mestiere di attore faticosamente conquistato. Oggi pensiamo che nessuno meriterebbe di essere pianto su Facebook o ricordato a colpi di click. Tanto meno da noi. Sappiamo che nessuno lo merita ma lui avrebbe spazzato via la nostra indignazione da quattro soldi con una tariconata ben assestata. Arrivederci, Pietro.

martedì 29 giugno 2010

venerdì 25 giugno 2010

Scelte sportive

Dal Giornale del Popolo del 25 giugno
Confesso e lo faccio con vergogna, timore, tremore e tutta un'altra serie di sentimenti tanto sinceri quanto paurosi, che possiedo una laurea (se così vogliamo chiamarla) in Scienze della Comunicazione. Trattasi certamente di un riconoscimento immeritato, di un caso del destino, del frutto di cinque anni della mia vita in cui non avevo di meglio da fare che ciondolare per lezioni e aule studio. Insomma io mi prendo tutte le colpe e le responsabilità che mi spettano per aver fatto una cosa tanto inutile e sopravvalutata come studiare, o comunque per aver provato a farlo. Mi prendo anche la colpa di aver avuto la testardaggine di farlo fino alla fine e in fondo ringrazio Iddio di aver rivestito la tesi di una splendida seta color carta da zucchero. Ringrazio Iddio perché è l'unica cosa che mi ricordo della tesi su cui ho sudato per mesi. So di non aver mai sfruttato al meglio le occasioni che avevo, so che con il medesimo titolo di studio c'è gente che è diventata famosa, intelligente, persino ricca in certi casi. Confesso che appartengo alla categoria di coloro che hanno dimostrato l'inutilità dei titoli di studio. Confesso che gli studi ancora precedenti, che vanno dal greco al latino, mi hanno dato lustro e prestigio, ma non certo quell'apertura mentale che promettevano. Confesso insomma di essere il peggio prodotto che una università e un sistema di istruzione mondiale possano aver prodotto. Ma nemmeno io merito di avere lo stesso titolo di studio che hanno regalato (honoris causa) ad Alberto Tomba l'altro ieri.

lunedì 21 giugno 2010

In braghe di tela


Trattasi del trasloco del marchio Italia Independent di Lapo Elkann in una ex fabbrica sui Navigli a Milano. Santo iddio ma non basta questa foto a decretare la fine della "high society" italiana? I calzoni corti, il mocasso, i sandali, il cappello, il finto povero. Oddio. (La foto viene ovviamente da qui).

venerdì 18 giugno 2010

Shakira - Waka Waka (This Time for Africa) (The Official 2010 FIFA ...

Waka Waka


Dicono che cantata da lei qualunque scemenza acquisti un senso. Cantata e soprattutto ballata da lei, ogni canzoncina estiva diventa un elisir ormonale per i maschi e la colonna sonora delle invidie delle femmine. Parliamo di Shakira, la cantante colombiana scelta per cantare (e soprattutto ballare) l'inno dei mondiali di calcio in corso in Sudafrica. Si chiama Waka Waka l'inno che ascoltiamo ossessivamente da giorni nel tentativo di ripetere brani casuali di quel balletto e soprattutto quel movimento di bacino che fatto da Shakira appare sexy e imitato da noi pare il colpo di coda di un animale morto di morte violenta. Poco importa che ci proviamo col sorriso sulle labbra e con il massimo della convinzione possibile. La convinzione e l'impegno non sono virtù sufficienti ad acquisire la bravura. Ora la Ficcanaso sta per affrontare l'ennesimo weekend di matrimoni. Sarà caldo, questo weekend. Ma il tacco altissimo sarà necessario, il coprispalle per la chiesa pure, ché non si dica che quella lì aveva un vestito bellissimo ma decisamente troppo scollato. La ficcanaso si prepara all'ennesimo matrimonio dell'anno, punto intermedio di una lista di cerimonie ancora lunga da spuntare. Quelli estivi saranno attraversati da questo strano circo che risponde al nome di Mondiali di Calcio, con gli uomini incravattati e sudati che s'informano sui risultati dell'ultima partita e distrattamente ti danno il braccio mentre tu cerchi di svalicare il sentiero di sassi e pietre che conduce al castello. Mentre il tuo tacco affonderà nella ghiaia la nazionale di qualche paese sconosciuto persino ai compilatori di atlanti segnerà e tu rovinerai a terra. Sempre pensando: ma quando Waka Waka finiscono questi mondiali?

giovedì 17 giugno 2010

Per un pelo


Non so, non riesco a commentare, rimango senza parole. Guardo quel pelo sotto l'ascella di Melissa P. in copertina e penso che non devo scandalizzarmi, che non devo notarlo, che faccio il loro gioco, che reagisco esattamente come i copertinisti (si chiamano così?) di Sette si aspettano che una persona media faccia: inorridendo e dunque regalando pubblicità al giornale. Insomma non lo so, sto andando in confusione. Un tempo, ero giovane, io e un personaggio discutevamo se depilarsi è di destra o di sinistra.

mercoledì 16 giugno 2010

A proposito di pensionate

Gisele era andata in pensione, come commentammo tempo fa. Allora abbiamo dimenticato di specificare quel che oggi tutti possono vedere: la pensione è il tempo della beneficenze e degli alti ideali.

Numeri

La domanda del lunedì di oggi è: quanti diavolo di Pitti ci sono in un anno?

venerdì 11 giugno 2010

Meno vintage (e tarocco) per tutti

Dal Giornale del Popolo dell'11 giugno
Una turista austriaca è stata multata sulla spiaggia di Jesolo per aver comprato un borsellino falso di Louis Vuitton. Posto che avrebbero dovuto multarla anche se fosse stato vero, la signora non incasserà certo la nostra solidarietà. In effetti peggio di comprare un borsellino di Vuitton c'è solo comprarne uno falso. In un mondo sanamente relativista l'odio per tutto ciò che è tarocco deve essere una delle poche cose fondamentaliste e talebane. Questo non significa che non ne abbiamo nell'armadio. La ficcanaso ha una simil Hermès gialla. Un'ottima pelle, per carità, ma ancora si confessa per averla indossata due volte. Due golfini di cachemire comprati a prezzo stracciato di taglio simile e colore diverso. Uno si è rotto giusto qualche mese fa e in fondo il destino ha rimediato signorilmente allo sbaglio. Il destino lo fa spesso. Per la signora sono arrivati i vigili, il nostro golfino si è rotto, lui se ne è andato sbattendovi il cuore in faccia tanto tempo fa e solo oggi capite quanto l'avete scampata bella. Eppure lì per lì sembrava tutto giusto: la borsa tarocca, il golfino in serie, le chiacchiere del tizio. Rivedersi è come tirare fuori certi capi dall'armadio. L'odore di naftalina è acre e terribile ma incredibilmente attraente per chi ha tanta paura del futuro da essere tenacemente prigioniero del passato. Bastano quegli effluvi acri per detonare il sentimento più difficile da gestire: la nostalgia. In pratica quel veleno incolore alla base del successo del vintage. Che sia vintage sentimentale o vestiario importa poco. Ricordatevi sempre che il vintage (quasi come il tarocco) è ingannevole come lo specchio dimagrante dei camerini dell'H&M. Lì per lì il vestito ti sta benissimo. Poi arrivi a casa e vorresti ributtarlo in soffitta.

lunedì 7 giugno 2010

Un calcio alla miseria


Il ministro leghista Calderoli ha detto che i calciatori sono pagati troppo, che anche loro dovrebbero fare sacrifici in questo periodo di crisi. Non so se mi sconvolge di più essere d'accordo con un leghista o essere d'accordo con uno vestito così.

venerdì 4 giugno 2010

A volte fioriscono

Flower ha trovato i papaveri a Milano.

Cercando un lodo libri


Dal Giornale del Popolo del 4 giugno
D'accordo che siamo sempre tutti a parlare della fine, ma anche l'inizio di un amore prevede una divisione degli spazi precisa. Loro hanno raggiunto un accordo sulla cabina armadio, perché si vede a occhio nudo che è sufficiente a malapena per i vestiti di lei. Hanno raggiunto anche un accordo sul bagno, perché a lei resta tutta la parte destra e a lui un sportello sulla sinistra. In fondo (checché se ne dica) un uomo non ha bisogno della piastra, né dello smalto, né delle strisce pronto uso per cerette d'urgenza e dunque uno sportello basta e avanza. Dio li veste e poi li accoppia, pensava lei teneramente mentre disponeva in bellavista le sue 30 scarpe e inscatolava le sue sei (comprensive di modelli estativi e invernali). C'è una provvidenza, pensava, e anche chi decidesse di sfidarla sposandosi deve star certo che il signore distribuisce i panni a seconda del freddo, come dicevano le nonne. Lui non accampa pretese sulla cabina armadio, lei si astiene da pareri su computer e televisore, purché siano di colore intonato al resto dei mobili. Era tutto perfetto fino ai libri. Il terrore negli occhi. Proprio ora che si sta chiudendo la logorante guerra sul viaggio di nozze si apre una frattura impossibile da sanare. Lui cataloga i libri in ordine alfabetico. Sostiene che così si trovino più facilmente. Lui ha un piccolo scaffale per i “da leggere”. Lei ha pile di non letti, ripiani in ordine di forma e colore, sezioni speciali per i migliori di sempre, sezioni limbo per i libri che deve aver finto di capire ma di cui non ricorda una parola, raccoglitori appositi per le riviste. La guerra dello scaffale è appena cominciata.

giovedì 3 giugno 2010

Size counts

Betta semper online mi segnala il Twitter della direttrice di Vogue Francia. W la sincerità. Altro che sezioni curvy...

venerdì 28 maggio 2010

Divieti da estendere

Anche lo shantung. Da vietare, intendo.

Divieti da estendere

A Vicenza un preside ha bandito infradito, jeans a vita bassa e braghe corte.
Fantasmini, french e ghirighori di brillantini sulle unghie non si possono bandire anche a piede libero?

Certi amori non finiscono


Mocassini beige, acconciatura sciatta, portamento pesante. Qualunque donna che si accompagni oggi a un nostro amore passato non avrà mai abbastanza difetti. Non è solo che “certi amori non finiscono”, come diceva il buon Antonello Venditti. È che esiste una possessività inevitabile nei confronti di chi, per tre anni, un giorno o cinque minuti, abbiamo giudicato degno di un qualche affetto o attenzione. Questo non significa che i nostri giudizi non siano pertinenti, ma di certo saranno dotati di un'acidità imparagonabile a quella di chiunque altro. Lo dobbiamo alle sofferenze e alle gioie che abbiamo vissuto. Ora, io non vorrei metterla giù troppo filosoficamente, ma in fondo quel che accade quando sentiamo l'intero mondo parlare del sequel del film di Sex and the city è una cosa analoga. Non importa che commentatori e commentatrici ne parlino male o bene. Qualcuno ha detto che è peggio dei cinepanettoni, qualcun altro ha detto che non serve farla tanto lunga, è un film frivolo e lasciamo che sia. La Ficcanaso non l'ha ancora visto. Lo farà, probabilmente in solitudine tra qualche settimana e preferibilmente in lingua originale (a noi provinciali sembra accattivante qualunque cosa detta in inglese). Insomma: la ficcanaso non può esprimere un giudizio nel merito. Solo lo sdegno, lo snobismo, l'insopportabile sensazione di vedere una creatura che s'è amata in pasto a chiunque. Potremmo fare un test di conoscenza davanti alle sale ed escludere chi non conosce l'ora esatta del pronunciamento di “Absofuckinglutely”. Potremmo farlo e non basterebbe. Perché non servirebbe a impedire che qualcuno mangi patatine di fronte alle nostre ragazze, e qualcuna chiacchieri di Sex and the city di fronte a uomini a cui noi insegnammo tutto anni e anni fa.

giovedì 27 maggio 2010

Una copertina fatta coi piedi


Premessa: Ilaria D'Amico è come Napolitano. Se ne parli male o ti annoia o non ti diverte o non ti piace sei stronzo. (L'unica differenza è che se parli male di Napolitano gli uomini non ti dicono che sei "soltanto gelosa", ma vabbè).
Veniamo al punto: queste foto da milanese in vacanza in Liguria, o da ricchi in centro il sabato mattina sono quel che passa il convento. Ok, possiamo accettarlo anche se da un settimanale dalla carta irresistibile come Sette ci saremmo aspettate uno sforzo diverso. Ma i piedi. Perché mettere in primo piano i fastidiosissimi piedi? E con i jeans i piedi nudi? Brrrrr.

venerdì 21 maggio 2010

Crescere è tagliare i capelli


A una certa età le donne si tagliano i capelli, per evitare l'effetto "dietro liceo, davanti museo". Secondo me a Michelle l'operazione è venuta bene. No?

Ladri per amore


Dal Giornale del Popolo del 21 maggio
Cinque capolavori sono stati trafugati dal museo d'arte moderna di Parigi. I vicini di scrivania hanno l'aria di saperla lunga sentenziando che è un furto stupido perché nessun ladro potrà rivendere quei Modigliani, Braque, Picasso né mai incassare i cinquecento milioni di euro del loro valore complessivo. Dicono così perché non hanno mai visto Occhi di gatto, il cartone a cui dobbiamo la formazione che ci impedirà di morire un giorno manettari e giustizialisti. Erano tre sorelle bellissime, come cantava Cristina D'Avena nella sigla, scemotte camieriere di giorno, geniali ladre di opere d'arte di notte. I maschi lo guardavano perché, cartone animato o no, erano pur sempre figure sinuose inguainate in tutine nere da Batwoman, noi ragazzine cicciottelle perché saltellando davanti alla tv sognavamo di diventare come loro un giorno: furbe, belle, intelligenti, buone nonostante l'inconveniente di una professione illegale. Guardando le loro gesta eroiche e truffaldine stavamo tutte dalla parte delle criminali, così come nessuno ebbe mai pietà per l'ispettore Zenigata che dava la caccia a Lupin III. Il loro essere fuorilegge ci attraeva, ma più ancora la motivazione dei loro furti ci galvanizzava di quell'antilegalismo che una volta era a sinistra. Loro rubavano ed era giusto che lo facessero perché non avevano nessuna avida motivazione capitalistica, ma solo il desiderio di rimettere insieme la collezione d'arte del padre scomparso. Con una convinzione analoga a quella di allora noi crediamo che i preziosi dipinti di Parigi siano stati rubati per amore. Un ladro in calzamaglia le avrà già recapitate alla sua bella chiedendole di sposarlo. E lei seguendo la legge del cuore si dimenticherà di non avere uno straccio di anello per mettere a tacere le amiche pettegole.

giovedì 20 maggio 2010

Per manifesta superiorità




L'unica che può presentarsi così alla presentazione della collezione di Top Shop e non sembrare in mutande. Massimo rispetto.

venerdì 14 maggio 2010

Premiare lo sforzo

Dal Giornale del Popolo del 14 maggio
L'ultima volta è successo per il motorino. Già a quel tempo sapevo di avere unghie troppo fragili per dedicare l'estate ad occupazioni che non fossero la lettura interminabile di Delitto e Castigo nei pomeriggi afosi, per questo l’unico modo per mettere insieme i soldi necessari allo scopo era risparmiare. Il fatto che dopo un anno avessi raggiunto la somma necessaria all’acquisto di una sola ruota non mi scoraggiava più di tanto. Ogni ragazzina mediamente borghese spera in fondo nell’effetto di un gesto del genere sui genitori, spinti infine ad aprire il portafoglio dal gesto eroico e tutto sommato sensato della loro bambina, che certo è sempre quella che teorizza la non necessità di alcuno studio e di alcun lavoro, ma chissà che in quella determinata testardaggine non si nasconda l’inizio di una vita adulta, di quelle in cui si impara che niente si ottiene gratis e che i soldi non crescono sugli alberi e che per realizzare i propri desideri occorre mettersi d’impegno e via dicendo. Avvenne insomma che i miei mi aiutarono a comprare il motorino, che la mia adolescenza se ne giovò per lo spazio di un'estate e che da allora iniziai a pensare che in fondo il mondo dovrebbe fare come i tuoi genitori, e a un certo punto darti una mano premiando lo sforzo. Insomma, io sono a Berlino da tre giorni e non ho ancora comprato una maglietta. C’è un tizio che mi trascina in giro per musei di storia tedesca e quando tutte quelle date mi si aggrovigliano in testa mi immagino Hitler sul muro di Berlino, vado in confusione e non posso far altro che ammutolire. Nel pomeriggio da programma dedicato allo shopping abbiamo scoperto che esiste una strana festa del papà germanica, per cui sono chiusi tutti i negozi che non siano kebabbari o simili. Ecco, volevo dire. Ora non si può premiare il mio sforzo di elevamento culturale e portarmi in un centro commerciale?

venerdì 23 aprile 2010

Sempre per partito preso

P.s. Belen smentisce la rottura (non la lite): «Sto ancora con Fabrizio Corona». Proprio come Gianfranco Fini.

Per partito preso

Dal Giornale del Popolo del 23 aprile
Come tutte le grandi storie all'inizio il mondo la snobbava. Tutti a credere che sarebbe durata poco, giusto il tempo di abbronzarsi a vicenda l'uno con la luce riflessa dall'altro. Perché certo entrambi traevano reciproco vantaggio dallo stare insieme. Non è questione di sentimento, ma di passione e di necessità. Se fosse solo sentimento la rottura non sarebbe così devastante. I piatti da tirarsi dietro diventano le interviste ai giornali, i gesti di stizza compiuti a favore di telecamera, l'accusa reciproca di bugie e tradimenti. Un finale (ammesso che lo sia) così movimentato è paradossalmente la spia di un legame solido, forte, tormentato e necessario. Necessario perché solo due persone davvero unite possono spendere un capitale di rabbia repressa dall'essersi lentamente rese indispensabili l'una per l'altra. Funziona così: all'inizio ti sembra tutto un gioco e poi un giorno scopri che di quel tizio che nemmeno ti fa la carità di ascoltare le tue lamentele e le tue sacrosante richieste di essere più presentabile, più trattabile, più aperto al dialogo, di quello lì che dopo due mesi non ha ancora montato le mensole, non puoi fare senza. Buttare tutto all'aria in queste condizioni significa creare un baccano immenso, distruggere con rabbia e follia. Non c'è traccia di lucidità, solo animale istinto di sopravvivenza, tanto nell'andare quanto nel restare. Belen Rodriguez ha lasciato Fabrizio Corona distruggendogli la casa. Gianfranco Fini ha fatto più o meno lo stesso con Silvio Berlusconi e il partito che avevano costruito insieme. Ora Corona dice che non è vero niente, Fini che continuerà a dire quel che pensa senza abbondare il Pdl. In fondo stanno tutti insieme per partito preso.

venerdì 9 aprile 2010

E vissero vestiti e contenti

Dal Giornale del Popolo del 9 aprile
Il commesso gli ha chiesto se ci ha pensato bene, se è sicuro, se lei è la donna giusta e se con la cravatta se la sente di osare oppure no. «Anche se è chiaro che non vuoi un abito classico, no?», chiede con fare complice al futuro sposo e alla ficcanaso improvvisatasi consulente fashion per un amico. Assicuratosi che la ficcanaso non sia la sposa, il commesso ci rivela che al giorno d'oggi molti uomini vanno a comprare il vestito per il gran giorno insieme alla futura moglie, mettendo subito in cantiere vagonate di risentimento che la suocera tirerà fuori a tempo debito. Certo, occorrerebbe pure sapere qualcosa dell'abito della sposa. Che ovviamente lui (ancora qualche tradizione è rimasta) non conosce affatto. Toccherà alla ficcanaso sussurrare all'orecchio del commesso che sarà fatto così e così, ma solo indicazioni a grandi linee perché, ecco, la sarta ha avuto una miriade di altri impegni e dunque siamo ancora lontani dal modello definitivo. Al momento di scegliere la camicia abbiamo appreso che il mio amico dovrebbe coltivarsi un po' (alias: rasarsi) la peluria sul petto, pena un terrificante effetto vedo non vedo dovuto alla stoffa particolarmente leggera della camicia. Abbiamo cambiato camicia. Tempo di arrivare alla scelta della scarpa avevamo imparato decine di cose e di tendenze, come quella di sposarsi sulla spiaggia, che pare sia un'opzione molto in voga in una generazione che, inconsapevolmente, deve tutto a Brooke e Ridge che almeno un paio dei loro matrimoni li hanno celebrati a piedi nudi di fronte all'Oceano. Quando il commesso ha chiesto alla ficcanaso come si vestirà lei, il viso del futuro sposo si era già riempito di puntini rossi. E siamo ancora lì a chiederci se sia allergia allo shopping o al grande passo.

venerdì 2 aprile 2010

Il compleanno è mio e lo decido io

Dal Giornale del Popolo del 2 aprile

Abbiamo stabilito che avrò un anno in meno ancora per un po'. Abbiamo stabilito che non è conveniente festeggiare il compleanno quando gli amici cattolici digiunano per il venerdì santo e gli altri stanno facendo le valigie per la Pasqua con chi vuoi. Abbiamo stabilito che se ne riparlerà dopo Pasqua perché i compleanni sono roba per allietare i giorni feriali, non per invadere quelli festivi. Le feste accorpate sono un'invenzione di chi tenta di cavarsela con l'orrida pratica del regalo cumulativo, è per questo che se non si può scegliere il giorno di nascita, di certo si evita di sposarsi, per dire, il giorno di Natale. Le ricorrenze la cui data si può scegliere vanno posizionate in momenti dell'anno in cui sai che un regalo ti renderà felice e una ricorrenza dimenticata ti offrirà la scusa giusta per lamentarti, offenderti, deprimerti, graffiare, urlare, mettere il muso: insomma tutto quello di cui (alternativamente o contemporaneamente) una donna ha bisogno per eliminare periodicamente le tossine del risentimento. Noi abbiamo aperto una nuova frontiera decidendo che io non compio gli anni oggi e dunque risparmierò alla gente torte con candeline, gentilezza, voglia di chiacchierare. Festeggeremo la settimana prossima quando avremo tempo per farlo e quando ci andrà. Non abbiamo ancora deciso il giorno. Il che mi permetterà di arrabbiarmi per ogni giorno in cui non ci sarà un regalo, una sorpresa, un fiore, un fuoco d'artificio, un pacchetto regalo. Ancora un po' di applicazione e decideremo che ne ho compiuti 24.

venerdì 26 marzo 2010

L'amore in mostra

Dal Giornale del Popolo del 26 marzo
Gironzolavamo per una mostra d'arte. Nessuna velleità culturale, solo il tentativo di essere là dove le cronache dei quotidiani indicano di essere: se in città c'è una mostra da non perdere, una vera provinciale ha il dovere di essere in prima fila. Siccome, come si sa, entusiasmarsi è decisamente poco mondano, cercavamo qualcosa da criticare una volta usciti dal museo. La scelta delle opere, la disposizione, il massimo dello snobismo è aver da ridire sull'illuminazione e francamente non ci siamo fatti mancare neppure quello. Strizzando gli occhi miopi dietro la montatura vintage di Yves Saint Laurent, però, non puoi disattivare le orecchie e quel maldicente e malizioso occhio interiore che non conosce decenza. Sicché ci sforzavamo di leggere il cartellino sotto una delle ultime opere lasciateci dall'artista prima di morire. Ecco, mentre noi ci sforzavamo loro si divertivano. «Ti piace?» «Sì, molto». «Aspetta, fammi leggere la didascalia». Una scusa come un'altra per avvicinarsi alla ragazza con cui ci stai provando. Una volta ci portavano al cinema, magari a vedere un film di paura così potevamo starnazzare e gettarci sul loro sterno alla prima musica inquietante. Oggi un primo approccio che si rispetti non può prescindere dalla meglio mostra in programma in città. Sono loro, le coppie alle prime uscite, quelle per cui andiamo a vedere le mostre. Quelli che hanno l'aria di essere lì a cercare una scusa per andare altrove, quelli che hanno sempre quell'aria frizzante di chi sorseggia la cultura con l'inevitabile eccitazione di chi sa che il bello verrà dopo, quando finalmente lui dichiarerà il suo amore sulla panchina del parco dietro il museo.
(p.s. Dedicato alla coppia dell'anno, quelli che sono riusciti ad innamorarsi vedendo l'orrida mostra di Hopper a Milano. Lichtenstein, invece, l'ho visto io poco tempo fa)

mercoledì 24 marzo 2010

Pensionate


Non c'è donna più aggraziata di colei che sa quando togliere il disturbo. È un po' il corrispettivo sociale dell'ammonimento ad alzarsi da tavola con ancora un po' di appetito. Roba impensabile per gente che prima di questa dieta miracolosa e devastante rotolava dalla sedia dopo cena solo per raggiungere la sigaretta digestiva. Ecco, sarà che lei appartiene all'iperuranio di quelle che non mangiano ma spizzicano, ma Gisele Bundchen ha deciso di lasciare le passerelle. All'apice della sua carriera, alla veneranda età di 29 anni, senza una smagliatura né un cedimento strutturale, e soprattutto dopo essersi abbuffata di guadagni che noi non raggiungeremo neanche campando 250 anni, Gisele ha detto: Sai che c'è? C'è che me ne vado in pensione. Voi vi mettete a dieta per fare in modo che al prossimo compleanno i chili mancanti distraggano l'osservatore dalla flaccidità di quelli rimasti, Lei arriverà ai trenta con il lusso delle infinite possibilità e l'azzeramento dei doveri, organizzerà il tempo intorno al frugoletto, farà la mamma per piacere, la modella per beneficenza, la testimonial per diletto. Niente cartellini da timbrare, né corse all'ora di pranzo per provare quelle scarpe di Ferragamo, né il pensiero fisso di trovare una baby sitter o uno straccio di posto all'asilo nido per piazzare il pupo e tornare ansiosa e infelice davanti al computer. Il tempo sarà tutto suo e lei dovrà organizzarselo con il puro piacere di farlo e di non trascurare nessuno dei suoi affetti, per portare il figlio allo stadio a vedere il papà quarterback che lavora perché ama il suo lavoro o per portarlo al parco giochi con una Suri Cruise qualsiasi. Lei indosserà grandi occhiali neri sugli spalti e noi ce la ricorderemo per sempre com'è oggi: ricca, felice e soda come una pretrentenne di livello irraggiungibile.

martedì 23 marzo 2010

Pensavo fosse amore, invece era una escort

L'ex vicepresidente della regione Puglia Sandro Frisullo (Pd) è in carcere con l'accusa di essersi fatto corrompere dall'imprenditore Gianpaolo Tarantini, per agevolare i suoi affari con Asl e ospedali. Pare che tra i benefit usati per ammorbidire il politico ci fossero cappotti di cachemire, scarpe Church's e donne. E già è meraviglioso l'elenco dei beni di consumo. Ma oggi, sempre sul Corriere, s'apprende che Frisullo si difende così: «Non pensavo fossero escort». Non starò a ricordare che Tarantini è l'uomo che portò Patrizia D'Addario da Berlusconi e che quest'ultimo, a chi lo accusava di essersi intrattenuto a pagamento con delle signorine, rispose col piglio dell'uomo che non deve chiedere mai che le donne non le paga, lui, perché il bello è la conquista. L'orgoglio del maschio predatore non ha colore politico.

venerdì 12 marzo 2010

Dal Giornale del Popolo del 12 marzo
Alla vigilia del suo matrimonio con Carla Bruni, il presidente francese Sarkozy avrebbe tentato una riconciliazione con l'ex moglie Cecilia, con il famoso sms “se torni annullo tutto” riportato dai giornali di gossip di mezzo mondo. Oggi, più o meno con analogo tam tam mediatico, si vocifera di tradimenti reciproci tra i due sposi. Lei, dicono, si sarebbe invaghita di un giovane cantante; lui, dal canto suo, avrebbe un debole per una ministra, avvenente e di certo più anziana di Carla. I neuroni sopravvissuti a questo colpo di coda dell'inverno ballonzolano impazziti per venirne a una: sarà vero, non sarà vero? Come se il problema fosse la verità delle notizie e non il loro servirci come spunti per ristabilire un ordine che la realtà aveva mandato gambe all'aria. Perché il punto è che mettendosi insieme e sposandosi nel giro di pochi mesi, Carla e Sarko hanno mandato in frantumi i loro rispettivi personaggi, macchiandosi del più orrendo dei delitti: dribblare il proprio personaggio per ostentare una perfezione patinata. Lui sempre attratto da donne di carattere, belle ma non certo giovani e perfette come la ex modella trasformata in cantante. Lei così snob, sofisticata, “poco incline alla monogamia” (come dichiarò in un'intervista precedente all'incontro con il presidente). E poi la vita di coppia, fatta di lui che la segue a fare jogging per le vie di Manhattan, di lei che sfoggia ballerine di Dior e cappellini da premier dame, impeccabile nel non accavallare le gambe nelle visite ufficiali, indossatrice di una classe talmente studiata da parerci artefatta. L'attempato politico e la volubile modella parevano fatti per tutto fuorché l'uno per l'altra ed essere caparbiamente decisi a dimostrare al mondo il contrario. Ora l'inevitabile imperfezione della vita e di loro stessi li avrebbe travolti. E questo significherebbe che è vero amore.