venerdì 30 novembre 2007

Scene da un matrimonio

Dal Giornale del Popolo del 30 novembre

Scegliere il regalo dalla lista nozze, presentarsi in orario alla cerimonia, azzeccare la strada giusta per il ristorante, scherzare con gli altri invitati avvolte in un vestito elegante, restare fino alla torta, salutare gli sposi, andarsene a casa scalze e con i capelli sfatti. Una pensa che sia tutto qui (e fosse poco) il rituale sacro-profano dei matrimoni degli amici migliori. Fino a che i piccioncini non tornano dal viaggio di nozze e abbronzati in pieno inverno ti piazzano sul loro divano a sedici posti davanti a uno schermo piatto grande come il tuo bilocale e lo spettacolo comincia. Venghino signori, venghino c'è il filmino del matrimonio. E sì quelli che si schermiscono ("Ma che faccia da scemi") sono gli stessi che mesi prima "no, noi le foto in posa e i filmini mai". E ma poi cosa vuoi, i parenti che insistono, la voglia di lasciare ai posteri qualcosa di sé. E così si ingaggia il fotografo, con la raccomandazione: "Che sia una cosa sobria". Eppure non c'è raccomandazione di sobrietà che ti salvi dalle musiche strappalacrime, le immagini in dissolvenza, i baci finti su improbabili scenari da favola. E così ti intenerisci pure. Fino a che nel filmino non compari anche tu, e la pellicola rivela che quel giorno in cui ti sembrava di essere così impeccabile altro non eri che un ballonzolante budino su tacchi vertiginosi. "Essì, la tv ingrassa". Vero. Ci sarà un motivo se le letterine pesano trenta chili. Mentre scatta, puntuale e deciso come un riflesso, il proposito della dieta pensi che in pochi possono eguagliare il colpo di genio di quello sposo di trent'anni fa. "Tranquilla, tesoro, il filmino lo fa il mio amico Gianni che ha la cinepresa e così risparmiamo". Gianni quel giorno si distraè parecchio e il filmino risultò tutto nero. Niente ricordi ai posteri, niente inviti per la dieta per le invitate sovrappeso. Solo mio padre è un genio

venerdì 23 novembre 2007

«Play it, Sam. Play 'As Time Goes By»

Dal Giornale del popolo del 23 novembre 2007

A un mucchio di piedi da terra, isolata dagli auricolari, schiacciata contro un finestrino che dà sull'ala dell'aereo, seduta a fianco a due sconosciuti così da essere scoraggiata ad alzarsi. È così che bisognerebbe vederlo Casablanca. Il divano di casa e persino le poltroncine di un cinema concedono troppa libertà. E invece bisogna stare lì, costretti con lo sguardo sullo schermo a cristalli liquidi incastonato nel sedile del passeggero di fronte. Perché se uno è libero di alzarsi, di svagarsi e prendere aria pensa che sia un film giusto. Non per nulla la maggior parte della gente lo adora come il film dell'amore vero. Quello nobile, forte e spaccacuore. Quello dell'amore che rinuncia a se stesso per il bene dell'amato. L'amore che ci hanno insegnato ad ammirare con le lacrime agli occhi. Niente a che vedere con la mantide Calipso che voleva trattenere Odisseo sull'Isola di Ogigia. Cattiva ed egoista rispetto alla nobile, tenace e paziente Penelope che il suo Odisseo lasciò andare per mare. Mantide anche Didone, che cerò inutilmente di frapporsi tra Enea e il suo destino, cercando di convincerlo a non partire per Roma. Ci hanno insegnato che è molto più poetico e nobile e dignitoso per quanto straziante fare come le mogli degli eroi. Fare come Humphrey Bogart e accompagnare Ingrid Bergman al suo destino. Il fatto è che una volta a terra il fascino del bianco e nero svanisce e si torna al colore di un mondo pieno di Calipso di professione pronte a sgomitare col coltello fra i denti per ottenere quel che vogliono. E poi lì ricordarsi del contegno delle mogli degli eroi è ben difficile.

giovedì 22 novembre 2007

The queen of wax

M. vive nel nord Europa da un paio di mesi. Come ogni ragazza all'estero a un certo punto sente l'esigenza della ceretta. In tempi di voli low cost non è così scontato, ma la nostra - temeraria - decide di fidarsi degli indigeni. Da brava provinciale all'estero non si scandalizza quando un uomo le risponde al telefono. Di questi tempi di segretari sono pieni pure i centri estetici. Scoprirà solo una volta spalmata sul lettino della vergogna che il segretario non era il segretario bensì estetista professionale. Mezze nude in un centro estetico all'estero, con l'inglese nelle parole e la disperazione sul volto, nessuna di noi avrebbe spazio per la forza di volontà. E infatti lei rimane lì, inchiodata a un'incomprensibile evoluzione dei tempi trova persino il tempo, in un impeto diplomatico, per la filosofia più sessista dell'universo mondo. «Ti dirò che alla fine credo che gli uomini siano più affidabili in certi tipi di lavori (tipo chirurghi, parrucchieri ecc)». «E poi io sono anche gay», cinguetta lui rassicurante. Una precisazione che libera il campo da sguardi lascivi e marpioni, ma non certo dalla perfidia. Passa un quarto d'ora («e io pagavo due ero al minuto», racconterà poi la sopravvissuta) di pettegolezzi e cattiverie sulle donne e disquisizioni sulla superiorità del depilatore gay rispetto all'estetista tradizionale. Lui garantisce risultati sorprendenti e promette di fare di lei un'adepta di "The queen of wax". Lo chiamano così. "I couldn't help but wonder" (direbbe Carrie Bradshaw se Sex and the city si fosse gloriosamente fermato alla terza serie): è questa la nuova frontiera? Dopo commessi, estetisti e parrucchieri i gay diventeranno i nostri diabolici e sapienti Virgilio anche nei tortuosi meandri della cura del corpo?

martedì 20 novembre 2007

Il buon gusto del tempo

Dal Giornale del Popolo del 16 novembre 2007

Arriviamo in ritardo. Ne hanno già parlato tutti quello che contano. D'altronde noi siamo arrivate in ritardo anche una settimana fa, quando H&M ha lanciato la collezione esclusiva di Roberto Cavalli. Sms arrivato poco dopo mezzogiorno del giorno del misfatto da una delle amiche del circolo dei discorsi seri: “Stamattina non ho avuto voglia di essere in prima linea da H&M e ora è ovunque sold out. E no, proprio non abbiamo più vent'anni”. Il giorno dopo il lancio i giornali erano pieni di foto dalla trincea: sciure bene e adolescenti in gran spolvero con la paghetta fresca di saccoccia. Tutte pronte a capelsatare orde di commessi per mettere le mani su quegl straccetti leopardati. Sì perché, Cavalli non ci poteva deludere, anche nella collezione low cost ha deciso di proporci capi discreti e da gran signore. Mi ci è voluta una settimana per elaborare il fatto che non sono riuscita a prendermi neppure un vestito. Non perché mi piacessero, ma certe cose bisogna turarsi il naso e farle lo stesso. Non si può restare indietro. Certo, mentre penso a quel che mi sono persa la mente va alla prima collezione di un grande stilista per la catena di abbigliamento svedese. Era Karl Lagerfeld e io ancora mi mangiavo le unghie e non avevo la frangetta. Ero giovane e inesperta, ma allora, per la fortuna dei principianti, ovviamente, mi assicurai capi di pregio firmati da Kaiser Karl che ancor oggi non m'abbandonano. Poi è stata la volta, non ricordo più in quest'ordine, di Stella McCartney, Viktor & Rolf e altri ancora. Ora la mia collezione si sfalda, per colpa dell'età e della pigrizia. O forse è solo un destino buono e previdente, quello che man mano che invecchiamo ci impedisce di spalmarci addosso capi maculati manco fossimo l'ultima meteorina.

lunedì 19 novembre 2007

anche se i bilanci non si fanno

Visto casablanca.
Usurato la carta di credito.
Camminato fino a non sentire più le gambe.
Imparato a usare i blocs come unità di misura delle distanze.
Bevuto caffè in metropolitana.
Amato il plain toasted bagel with cream cheese.
Fatto nails.

venerdì 9 novembre 2007

Ironic

dal Giornale del Popolo del 9 novembre 2007

Shop-aholic, viziate, capricciose, rompiscatole, ignoranti, lavative, pigre. Questo e molto altro avevamo messo in conto. Ma non la superstizione. Per dire: l'anno che Dolce e Gabbana proponeva cornetti rossi da appendersi al collo noi abbiamo girato i tacchi sdegnate. Perché la superstizione è così cheap. Quella ostentata, beninteso. Perché invece l'oroscopo bisogna leggerlo sempre. O meglio: leggerlo alle amiche, per riderci sopra. Ci vuole lo stesso animo con cui si guardano reality show e i talk show di Maria de Filippi: l'animo di una che si scandalizza della stupidità – nell'ordine - degli autori televisivi, degli appassionati di tv spazzatura (perché noi, si sa, siamo solo osservatrici scandalizzate). Analogamente l'oroscopo va letto solo per riderci sopra. Sì, si rideva a crepapelle nelle riunioni di noi eterne adolescenti della quantità di "ottimi periodi per le single" che ci vedevamo sempre e desolantemente sole. Si rideva della settimana critica per le finanze in cui per la prima volta non arrivava l'estratto conto in rosso della carta di credito. Poi capita che la post adolescente di turno si ritrovi al polso un braccialetto della fortuna brasiliano, di quelli che i venditori ambulanti in giro per le città regalano per poi estorcere una moneta. Devi esprimere un desiderio, dicono. E quando il braccialetto si romperà il desiderio si avvererà. È notorio che non si conosca persona umana a cui quel braccialetto più resistente del ferro si sia rotto spontaneamente. Prima o poi tutti finiscono per tagliarlo, anche perché dopo un po' diventa orrendo e davvero poco carino con i vestiti eleganti. La mia amica ha resistito sei mesi. Testarda e metodica. Si romperà, diceva sempre. Un giorno quel braccialetto le si è sfilato spontaneamente. Il giorno in cui il tizio di cui leggeva sempre diligentemente l'oroscopo le ha spezzato il cuore.

mercoledì 7 novembre 2007

Vivienne c'è


Milano dedica una retrospettiva a Vivienne Westwood, si sa. Il che fa male, perché retrospettiva sa di istituzionalità, coccodrillo e celebrazione postuma (ne sa qualcosa il fu Enzo Biagi, poveretto). Quindi non dovrei andare a vederla, ma lo farò. L'unica stilista in grado di farmi indossare un tailleur se lo merita eccome. Chapeau.

martedì 6 novembre 2007

lunedì 5 novembre 2007

Della serie a volte ritornano: la vestaglia

Dal Giornale del popolo del 2 novembre

È sempre un'ottima occasione per sfoggiare i pigiami e, soprattutto, quel capo così in disuso al giorno d'oggi nei nostri appartamenti iper riscaldati e pieni di tech e wengé e parquet che è la vestaglia. Io per esempio ho amaramente rimpianto di non aver investito una piccola fortuna nella vestaglia di seta di Dior trovata per caso alla Rinascente qualche mese fa. L'ho presa in mano, ho sentito la stoffa, ho guardato il cartellino, sono sbiancata con la solita nonchalanche e ho fatto l'imperdonabile errore di pensare e di concludere che giusto un Gorge Clooney tra le mura domestiche poteva valere quei duecento euro di seta strusciante, sexissima e, ovviamente, freddissima. Ben mi sta, pensavo qualche giorno fa in ospedale, maledicendo l'improvvisa sindrome risparmiatrice di qualche mese prima avvolta in una terribile vestaglia di pile color puffo recuperata da un'epoca in cui c'erano ancora le felpe della Best Company. Perché stare in ospedale, oltre a farti apprezzare le cose davvero importanti della vita, dalla parrucchiera alla manicure, ti precipita in uno spazio di forzato deshabillé francamente difficilissimo da gestire. Perché con la mia borsa di Prada sotto il braccio non ho paura di niente, ma vi assicuro che avvolte in una vestaglia azzurra (anche se sotto c'è un pigiama di seta di ottima fattura), ci vuol del coraggio a camminare a testa alta. Si rischia di doversi mostrare interessanti per le cose che si dicono, per le letture che si fanno. È veramente, veramente poco confortevole. Quando la gente ti guarda solo pensando ai tuoi globuli rossi e alla tua febbre, quando non c'è un cavolo di artefatto consumistico acquistato di cui parlare c'è davvero solo da sperare. Da sperare che la disinvoltura con cui ti porti dietro la flebo ti guadagni l'ambito titolo di miss reparto.