venerdì 11 luglio 2008

Dress code

Dal Giornale del Popolo dell11 luglio
È come la tizia che guarda la tua borsa feticcio e ti domanda: «Bella, è di pelle vera?». Sorridi pensi "tesoro, questa borsa vale più di me e di te messe insieme e io la pelle finta non la indosserei neppure per una plastica " e passi oltre, segretamente beandoti dell'ignoranza del mondo che ti apre le porte di un sentimento radical chic come l'indignazione. Scuoti la testa per questo post moderno popolato di intellettualoidi che trovano inconcepibile che tu non sappia morte e miracoli del movimento zapatista, ma non si scandalizzano per ragazze che superano la maggior età senza alcun rudimento di alta moda. Questo mondo dimentico del Saper vivere di Donna Letizia in cui il buon senso va sollecitato a colpi di circolari aziendali. Esempio planato sulle scrivanie di amiche e parenti all'inizio dei primi caldi: «Vi ricordo l'importanza, vista la costante presenza di Clienti e Fornitori presso la Nostra Azienda, nel rispetto dell'immagine e del decoro della Stessa, di indossare abiti consoni ad una realtà Aziendale, evitando indumenti come pantaloncini corti, mini gonne e magliette senza maniche. Buona Giornata». Firmato: il direttore delle risorse umane. Sorvoliamo pure sul fatto che un paio di belle gambe da che mondo è mondo non dovrebbe turbare alcun Cliente (maiuscolo) o Fornitore (maiuscolo), questo benedetto "dress code" non è altro che la versione moderna di quel che da sempre ci impongono mamme e nonne. Solo che a noi il collo alto anche d'estate ce lo facevano mettere per andare alla Messa. Sospira, la reazionaria che è in me: non c'è più religione.

3 commenti:

Le ha detto...

Non potevi trovarmi più d'accordo sul dress code. Che sicuramente anche io – magari inconsciamente – ogni tanto trasgredisco, ma giuro, poi mi ravvedo. Così come per la plastica. La borsa in tale materiale mai più di una volta alla settimana… :-D

Yuri Zivago ha detto...

incosciamente, senz'altro :)

La newyorkese ha detto...

"l'etichetta obbedisce ai grandi re. voi ed io non possiamo lasciarci confinare entro i limiti ristretti delle usanze di un paese; siamo noi i creatori delle usanze e la libertà che accompagna il nostro rango tappa la bocca ai critici" (Enrico V, W.Shakespeare). Alla faccia di coloro che si chinano schiavi delle convenzioni, io vivo da re, e le usanze preferisco inventarle. Cordialmente.