venerdì 3 settembre 2010

E siccome è facile incontrarsi

«Leva il tuo sorriso dalla strada e fai passare la mia malinconia». Ci sono dei giorni, un bravo analista li riterrebbe alternativamente molto pericolosi o molto profondi, in cui varrebbe la pena mollarsi in malo modo per poter cantare col giusto pathos certe canzoni di Lucio Dalla come Mambo e domandarsi gridando a squarciagola «se d'amore è proprio vero che non si muore cosa faccio nudo per strada mentre piove?». Siamo talmente abituati alla retorica della tragedia che a volte ci manca incredibilmente. Fa parte del copione che sappiamo, che abbiamo imparato a forza di quel bombardamento di cultura pop romantica con cui siamo cresciute. Se abbiamo già detto più volte con Venditti che «certi amori non finiscono» è logica conseguenza che abbia ragione Jovanotti a dire che «com'è strano incontrarti di sera in mezzo alla gente, salutarci come due vecchi amici “ehi ciao come stai”, quando un giorno di notte ti ho detto “non ti lascerò mai”». Siamo talmente affezionati al romanticismo che incontrandoci dopo mesi di silenzi e cuori spezzati ci rimaniamo malissimo a scoprire che non proviamo niente e la cosa sembra essere insopportabilmente reciproca. Sono diventata insensibile, diceva l'altro giorno fonte autorevole coperta da anonimato. Si aspettava il tuffo al cuore, l'emozione, lo sconvolgimento, si aspettava di chiedere tremante di eventuali matrimoni e figli e invece si è ritrovata spigliata a fare conversazione, a spiegare che maddai ti trovo bene, in forma e lei come sta? E lì, mentre gli struggimenti di ieri lasciavano il posto all'urbana conversazione di oggi ha capito che nemmeno i cuori si spezzano più come un volta.

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