venerdì 13 febbraio 2015

Sanremo è uno specchio. E allo specchio non ci si piace mai

Dal Giornale del Popolo del 13 febbraio

Che sia per insultare gli zotici che non lo capiscono o per biasimare gli zotici che lo guardano. Che sia per reale passione per Anna Tatangelo o per vezzo ultra snob di intrattenersi con manifestazioni care alla massa. Che sia per colpa del brutto tempo o per colpa del franco messo com'è (ché ormai se parli di qualunque cosa senza mettere in mezzo valutazioni di politica monetaria da quattro soldi non sei nessuno). Insomma: qualunque sia il motivo, di Sanremo bisogna parlare. È pur sempre un festival e della canzone italiana e qui si scrive in italiano. Perciò: Arisa è più infastidente di un secchio di sabbia nel costume; Emma impalata, Charlize Theron di una bellezza imbarazzante, con l'unica colpa di non aver trascinato sul palco dell'Ariston anche quel pezzo d'uomo di Sean Penn (suo attuale fidanzato). La famiglia con 16 figli e il cantante dal genere sessuale indefinito scelti con la logica della par condicio dei fenomeni da baraccone. Carlo Conti funziona, ma vuoi mettere quanto ci divertivamo l'anno scorso a prendercela con Fazio? O anni fa quando il direttore artistico era Tony Renis e Giuliano Ferrara lo definì il Gramsci di Berlusconi? Alternativamente ogni anno rimpiangiamo il festival quando era di sinistra, quando era di destra, quando aveva ospiti costosi, quando ne aveva di low cost, quando le vallette si presentavano scosciate o coperte come per andare alla Messa. Come ogni anno dà un senso al nostro essere su Twitter, a cercare la battuta fulminante da digitare velocemente, almeno prima di addormentarci. Sempre a dire come sarebbe stato meglio se. Perché è uno specchio. E allo specchio, si sa, non ci si piace mai.

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