giovedì 8 dicembre 2016

I nostri bambini e il trattamento "laboratorio"

Dal Giornale del Popolo del 2 dicembre
In questa stagione fredda e invernale, che rende impraticabili parchetti e zone aperte, molti adulti ci cascano. Cascano nella tentazione di iscrivere i propri figli ai laboratori organizzati in ogni dove, purché siano in luoghi chiusi e riscaldati. Tentiamo in questo modo di risparmiare alle nostre case l'effetto post atomico che ha un pomeriggio di gioco con gli amichetti, quando bastano un paio d'ore a ritrovarsi Barbie nel frigorifero, macchinine nella vasca da bagno e più oggetti non identificati del solito sotto il divano. Beninteso, c'è anche chi lo fa pensando a degli scopi educativi e credendo dunque che imparare a fare il pane, a riparare biciclette, a colorare con i piedi e a fare Yoga sia un'esperienza imprescindibile per la crescita di bambini di quattro anni. In questo modo cerchiamo anche di avvicinarli all'arte, appioppandoli a guide appositamente istruite per fargli fare visite “multisensoriali” al museo di turno. I poveretti vanno, imparano, socializzano con altri bambini sottoposti al medesimo trattamento laboratoriale e poi tornano a casa. Mangiano cibo a km zero, biscotti senza olio di palma, imparano cose che la maggior parte dei loro genitori, che nei meravigliosi anni Ottanta si ingozzava di Tegolini come se non ci fosse un domani, non sapranno mai. Bambini così preparati dovrebbero essere allenati ad essere portati in alberghi da mille e una notte, quelli in cui scegliamo di passare gli unici due giorni di vacanza dell'anno. Rimpiangeremo di non avere una tata a cui affibbiarli quando, nel salone dove le colazioni costano come una cena di gala, loro strepiteranno chiedendo PANGOCCIOLE E SUCCO! Non c'è laboratorio che tenga. E forse questo è soltanto un bene.


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