venerdì 17 luglio 2015

Un curriculum di grandi emozioni

Dal Giornale del Popolo del 17 luglio

E quindi ho cominciato dall’inizio. Luogo e data di nascita, indirizzo email e residenza. Nemmeno l’anno di nascita mi ha messo in imbarazzo come quello che è venuto dopo. Esperienze di lavoro, studi, competenze tecnologiche. L’area interessi personali non l’ho nemmeno presa in considerazione, perché ho talmente tanti interessi (specie da quando ho scoperto – non è mai troppo tardi – i romanzi di Elena Ferrante) che non ho tempo di compilare la sezione “interessi” sul curriculum e poi perché la ritenevo degradante come il momento in cui si chiede alle aspiranti Miss di dire qualcosa di sé. Dicci qualcosa di te, dimostraci che non sei completamente idiota e che possiamo votare le tue belle gambe e il tuo bel viso senza sentirci troppo in colpa. Dicci i tuoi interessi perché possiamo passare rassegna la tua vita spiattellata in un foglio word e scartarti perché hai citato il viaggio e la lettura tra i tuoi interessi personali. Se qualcuno in questo momento ha in mano il mio curriculum, insomma, saprà che ho studiato meno di quanto avrei dovuto, che ho perso tanto tempo e tanto ne ho guadagnato. Che ho passato molti anni della mia vita a raccontare storie e scrivere cose che non ci stanno in un curriculum. E ora vorrei attaccare una tiritera sul fatto che è ingiusto ridurre una persona a quello che fa e ai lavori che ha messo in fila. In realtà però il mio unico rammarico è che la capacità di comprare abiti e accessori non sia ritenuta una qualifica importante quanto la padronanza delle lingue. Perché io, amici, la lingua del consumismo non la parlo bene. La parlo benissimo. 

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