Dal Giornale del Popolo del 28 dicembre 2012
Dice
che non bisogna abituarsi. Il pranzo sempre pronto, il fuoco che arde
nel camino, le babysitter gratis e volontarie sono lussi da vacanze
di Natale col parentado in subbuglio perché siamo quelli che non si
vedono mai. Dice di non farci il callo che poi, una volta tornati a
casa, ricomincia la solita vita che benediciamo pure perché
l'indipendenza è la cosa più importante e figurarsi se la
barattiamo per un paio di comodità piccolo borghesi che facilitano
il sostentamento. Così domani si riparte, le valigie pronte e i
regali già cambiati nella tradizionale sessione di shopping post
natalizio che serve a sostituire le taglie sbagliate e a rimpinguare
il carnet dei doni. Si riparte e dice che non bisogna guardarsi
indietro, pensare al paesello e a quei giorni da figli viziati,
perché in fondo alla strada ci sono l'autonomia e la libertà e il
fatto che tutto questo non sia riscaldato dal camino è un vantaggio:
vuoi mettere la scomodità di gestirne uno in città? Ci lasciamo
alle spalle quattro giorni da bamboccioni a spese dei genitori e ora
ci ritroviamo felici e frastornati come il giorno dopo una sbronza
perfetta, di quelle in cui si perde il senno senza smarrire la
ragione. E tutto così leggero, sfuocato e perfetto che dura quasi
per un'intera mezz'ora di viaggio. Poi comincia la ricerca della
giustificazione per tornare, in solitudine, e restare una settimana
intera a fare niente. Un po' come quando si manometteva il
termometro per guadagnare qualche giorno in più a casa da scuola,
sprofondati sul divano ad ammazzarsi di televendite. Bamboccioni si
resta sempre.
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