venerdì 4 gennaio 2013

Il mio regno per un camino

Dal Giornale del Popolo del 28 dicembre 2012

Dice che non bisogna abituarsi. Il pranzo sempre pronto, il fuoco che arde nel camino, le babysitter gratis e volontarie sono lussi da vacanze di Natale col parentado in subbuglio perché siamo quelli che non si vedono mai. Dice di non farci il callo che poi, una volta tornati a casa, ricomincia la solita vita che benediciamo pure perché l'indipendenza è la cosa più importante e figurarsi se la barattiamo per un paio di comodità piccolo borghesi che facilitano il sostentamento. Così domani si riparte, le valigie pronte e i regali già cambiati nella tradizionale sessione di shopping post natalizio che serve a sostituire le taglie sbagliate e a rimpinguare il carnet dei doni. Si riparte e dice che non bisogna guardarsi indietro, pensare al paesello e a quei giorni da figli viziati, perché in fondo alla strada ci sono l'autonomia e la libertà e il fatto che tutto questo non sia riscaldato dal camino è un vantaggio: vuoi mettere la scomodità di gestirne uno in città? Ci lasciamo alle spalle quattro giorni da bamboccioni a spese dei genitori e ora ci ritroviamo felici e frastornati come il giorno dopo una sbronza perfetta, di quelle in cui si perde il senno senza smarrire la ragione. E tutto così leggero, sfuocato e perfetto che dura quasi per un'intera mezz'ora di viaggio. Poi comincia la ricerca della giustificazione per tornare, in solitudine, e restare una settimana intera  a fare niente. Un po' come quando si manometteva il termometro per guadagnare qualche giorno in più a casa da scuola, sprofondati sul divano ad ammazzarsi di televendite. Bamboccioni si resta sempre.

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