venerdì 25 ottobre 2013

Poveri bimbi (e madri) di

Dal Giornale del Popolo del 25 ottobre

Per qualcuno sentirsi chiamare “mamma” potrebbe avere l'effetto di vedere una sorella ecologica e atelevisiva su Whatsapp. Sgomento, sorpresa, un po' di gioia e la netta sensazione che presto ci saranno troppe domande a cui rispondere. Eppure la maggior parte delle persone trova indispensabile parlare dei propri figli e del proprio approccio alla maternità. C'è chi omaggia il cliché ostentando una vita in cui nulla è cambiato e chi lo fa esibendo la fine della propria vita sociale come un trofeo. È un tema, quello della maternità, che non interessa per nulla la Ficcanaso. Le interessano le creme migliori, le interessano i vestiti che non facciano sembrare i piccoli perennemente in pigiama o addobbati tipo albero di Natale. Le interessano i consigli (quei pochi utili) per l'allattamento, le interessa spiare le mamma ancorate con una mano all'altalena e con l'altra alla timeline di Twitter. Le interessa immalinconirsi sui poveri bimbi di Milano di gucciniana memoria, felici di giocare in quegli spazi recintati ricavati in mezzo alle aiuole. Le interessano i tormenti di neomamme che fissano l'esserino sentendosi terribilmente inadeguate, devastate dall'idea di non sentirsi il cuore scoppiare come dovrebbe di fronte a versi che altri parenti giudicano tanto espressivi. Le interessano le cose che succedono a lei e poche altre. Michelle Hunziker ha tutto il diritto di tornare a lavorare mezz'ora dopo il parto e altre madri di piangere pensando a quanto sia impegnativo affrontare le scale per uscire di casa con un bambino che da un momento all'altro potrebbe trasformarsi in un roditore di seni. Perché ci sono molti diritti, ma il primo è quello a farsi beatamente gli affari propri. A meno che non si tratti del Royal Baby, certo.

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