mercoledì 9 novembre 2016

Del terremoto e di noi, scampati alla catastrofe di noi stessi

Dal Giornale del Popolo del 4 novembre
La paura ti chiude in casa. Ci sono anche studi che attestano che è aumentato il tempo che passiamo davanti alla tv in questi tempi bui di attentati e terrorismo. Qualche giorno fa, quando con tutta la truppa eravamo in quelle che i vostri giornali definiscono, con pietà e commozione, zone terremotate, in casa non ci voleva stare nessuno. La mattina, mentre la bambina lavava i denti con la solita indolenza, la terra ha iniziato a tremare per dirle di sbrigarsi. Lei ha continuato con il suo solito modo, fino a che non ha visto il terrore immobile negli occhi dell'adulto. Se davvero è il terremoto, mi dicevo, perché non viene giù tutto? La terra ha tremato tanto da far svegliare i maschi di casa. Ci siamo ritrovati tutti sotto gli stipiti delle porte e il fatto che avessimo avuto il tempo di arrivarci significava che era andata bene. Qualche ora dopo sorridevo comprensiva ma incredula a quegli amici e parenti che, a pranzo, avevano scelto di stare fuori alla griglia piuttosto che mettersi sotto un tetto, insicuro come lo sono tutti i tetti di quella zona da giorni, settimane, mesi. La sera abbiamo pensato con sollievo che quel vecchio letto non ha alcun cassetto porta cose sotto: se arriva una scossa possiamo metterci sotto al letto. Forse meglio dormire vicino alle bimbe, per essere pronti. Forse meglio non dormire affatto, o dormire con un occhio aperto e uno chiuso. È passata così una notte infinita, tra pensieri assurdi e preghiere sussurrate. Quella notte in cui abbiamo capito che non siamo al sicuro da nessuna parte e che ogni giorno siamo degli scampati alla catastrofe di noi stessi. Mi è tornata in mente una frase, letta secoli fa: la più grande poesia è un inventario.  





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