venerdì 11 novembre 2016

Quattro anni dopo, alla Casa Bianca

Dal Giornale del Popolo dell'11 novembre

La sera dell'election day qualunque maratona televisiva otteneva l'effetto di farmi venire voglia di aprire un libro. Poi la notte qualcuno ha tentato di svegliarmi dicendo che aveva vinto lui. La mattina ho fatto quel che facevo da piccola quando andavo a letto prima di conoscere il vincitore di Sanremo. Con la differenza che allora scoprivo verità come “trionfa Massimo Ranieri” e oggi mi toccano le analisi di Beppe Severgnini. Oggi, come quattro anni fa, continuo a domandarmi perché la nostra politica non interessi a nessuno (men che meno a noi) e la loro scaldi il mondo intero. E non parlo solo dei nerd che padroneggiano concetti come grandi elettori, Ohio, swing state. E neppure dei geopoliticamente consapevoli che ti guardano dall'alto in basso perché “non può non interessarti, sono loro i padroni dell'Impero”. Parlo della gente normale che non sa cosa sia la perequazione finanziaria ma di fronte alla parola “election night” sfodera i pop corn. E oggi siamo tutti qui. Disperati perché non ha vinto la parte giusta della storia, dimenticando che, democratici o conservatori, da quelle parti non si esce dallo schema di mogli in gonnella, figli sorridenti e partecipativi e fede cieca, ingenua, solida e ottusa nella propria nazione (con una sincerità francamente inesportabile al di qua dell'Atlantico, perché per noi il cinismo è per noi quello che per loro è il burro di arachidi). Forse il segreto è tutto nell'estrema televisività di tutto il côté, sempre a prescindere dai contenuti. Perché l'America produce Tarantino. Ma resta sempre quella di Peyton Place.
Queste righe la Ficcanaso le scrisse quattro anni fa, quando vinse di nuovo Obama. Oggi le ricicla, un po' qualunquisticamente e provocatoriamente, mutando in preoccupazione quella che allora era soddisfazione. 

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