venerdì 18 settembre 2009

Il telefono fisso

Dal Giornale del Popolo del 17 settembre
Eppure siamo cresciute con la pubblicità della Telecom, o come diavolo si chiamava allora. Culturalmente la tizia del “mi pensi, ma quanto mi pensi” presumibilmente al telefono con un fidanzato ci ha insegnato che parlare è bello e al telefono ancora di più. Soprattutto perché il sottofondo al “mi pensi ma quanto mi pensi” era il “ma quanto mi costi” borbottato da genitori inferociti. Gli stessi che ci facevano la ramanzina ogni giorno sul fatto che il telefono è fatto per comunicare e non per chiacchierare e tanto meno per farsi dettare la versione di greco al telefono, né farsi rassicurare sul bel tempo dalla vicina di casa che abita a un balcone di distanza e meno ancora (perché per quello non basterebbero telefonate di due ore ogni giorno) per farsi rassicurare sugli effettivi centimetri quadrati che occupiamo nei cuori dei ragazzi. Ogni volta che arrivava la bolletta erano dolori, liti, strigliate. Il telefono è tornato libero quando ce ne siamo andate di casa per cose inutili e sopravvalutate come l'università, il matrimonio, l'indipendenza. Nelle nostre nuove case, intanto, il telefono fisso è quasi scomparso a favore del cellulare. E va bene così finché non arriva qualcuno che ti butta là, ben sapendo che ti verrà l'orticaria, perché non ti prendi un telefono fisso o quanto meno facciamo una tariffa che ci permetta di chiacchierare la sera senza accendere un mutuo? Il telefono fisso e quella tariffa lì sono come i quadri alle pareti incorniciati: quando ce li avrò saprò di essere più vecchia, borghese e, soprattutto stabile. Potrei rischiare di smettere di immaginare che tra un mese me ne andrò per vivere di stenti e bighellonare per gallerie d'arte a New York. E a quel punto cosa avrei da raccontarti ancora al telefono?

2 commenti:

sister ha detto...

SIP la telecom era la sip.

arca ha detto...

ninja Borsel