domenica 30 marzo 2014

Il conscious uncoupling e Lucio Dalla

Dal Giornale del Popolo del 28 marzo

Diversi mesi fa il direttore di Vanity Fair Usa volle raccontare uno delle star più in grado di attrarre ammirazione e odio in eguale (e smodata) misura: Gwyneth Paltrow. L'articolo non è stato ancora pubblicato, ad essere stata raccontata è invece la vicenda dell'opposizione all'uscita del pezzo da parte di Gwyneth, che avrebbe espressamente chiesto via email ai propri amici di non parlare con la reporter della rivista. L'altro ieri, forse, abbiamo capito perché. Con una dichiarazione sul sito di lifestyle dell'attrice, Gwyneth Paltrow e Chris Martin hanno annunciato la fine di un matrimonio durato dieci anni e che hanno cercato di salvare per circa un anno. Gwyneth scelse il suo sito anche per rivelare di aver sofferto di depressione post partum dopo la nascita del suo secondo figlio, Moses. Questa volta Goop (la bibbia del lifestyle fighetto, del cibo salutare e del fitness più audace) ha ospitato, in margine all'annuncio della separazione, un trattato sul cosiddetto “conscious uncoupling”. Il “ci amiamo ma ci separiamo” con cui i due mettono la parola fine è motivato da una sorta di teoria in cui per il bene dei figli e soprattutto del proprio equilibrio interiore il conflitto viene gestito come un arricchimento reciproco. Le separazioni dolorose, i sensi di colpa, la rabbia e il senso di fallimento devono essere combattuti, guardandosi in faccia da adulti e genitori (il coparenting è fondamentale) in un mondo in cui l'aspettativa di vita è aumentata al punto da rendere francamente irrealistica la prospettiva del “finché morte non ci separi”. A tirarci i piatti in testa e accapigliarci su chi si prende il tappeto dell'ingresso rimarremo solo noi, rozzi consumatori di grassi saturi a cui tutta la teoria del conscious uncoupling risulta meno convincente di due soli versi di Lucio Dalla: leva il tuo sorriso dalla strada/ e fai passare la mia malinconia. 

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