venerdì 19 giugno 2015

Fai una sera a Villa Necchi Campiglio

Dal Giornale del Popolo del 19 giugno

Costruire cose che ci sopravviveranno, fare di tutto perché ci siano, grazie a noi o nonostante noi. È una sorta di urgenza di utilità quella che mi è piovuta addosso ultimamente. Fatale dev'essere stata la visita a Villa Necchi Campiglio. La guida raccontava a noi strizzati in 4 in 85 metri quadrati che in quella casa a due passi dal Duomo di Milano vivevano stabilmente solo tre persone: le due sorelle Necchi e il marito di una delle due. Prima di morire una delle sorelle ha voluto che la villa andasse Fondo per l'ambiente italiano, che ne ha fatto il luogo visitabile che è oggi. Io sono capitata lì e avrei dovuto applicarmi agli zigomi in bilico della signora del tavolo a fianco, invece niente. Pensavo al genio di Piero Portaluppi che ha progettato uno spazio così elegante in grado di servire in tutto senza sbagliare niente; alla generosità di una collezionista d'arte moderna, Claudia Gian Ferrari, che ha voluto collocare molte delle sue opere in quelle stanze. Amava a tal punto i suoi quadri e le sue sculture da chiedere di potersi accomodare ogni tanto in una stanzetta della villa per stare in loro compagnia. Non mi sono mai emozionata tanto e non solo perché la serata era resa possibile da una babysitter nuova di zecca. Ho pensato a quanto il bello non sia effimero, a quanto, a ben vedere, l'unica cosa frivola e caduca, sia la bruttezza. Ho pensato al lavoro e al fatto che non può che essere una variazione sul tema di quella tensione alla bellezza e all'utilità. E ho capito che tutti abbiamo bisogno di una stanza per stare in compagnia di ciò che è talmente bello da farci sentire vivi. Anche nei nostri 85 metri quadrati o nei nostri open space con l’aria viziata.

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