lunedì 29 giugno 2015

Il razzismo ciclistico di chi offre lavoro

Dal Giornale del Popolo del 26 giugno

Il mio mentore su tutto ciò che è arte e cultura spicciola, per esempio, mi ha insegnato che il primo posto dove porre le proprie domande e indirizzare le proprie ricerche è Google. Così in un giorno di particolare insoddisfazione e insolito spirito di iniziativa ho digitato su google: lavoro part time, già pronta a farmi quattro risate per i compensi ridicoli, imbarazzarmi per le proposte ammiccanti, indignarmi per le mansioni degradanti e deprimermi per la quantità di lauree e conoscenza di lingue straniere richieste per la più periferica delle portinaie. Ero pronta, insomma, fino a che non mi sono imbattuta nel lavoro che ogni pseudointellettuale sogna nel proprio piano immaginario di riscatto, quello in cui la mente è trascinata fuori dalle secche grazie alle fatiche del corpo: commesso con consegna in bicicletta. Col compenso mensile ci comprerei sì e no una bottiglia del mio profumo preferito; richiede un'ottima padronanza di pacchetto Office quando su Excel so solo mettere in ordine alfabetico le parole; però è rivolto sia a uomini che donne e prevede un impegno da metà mattinata al primo pomeriggio il che lascerebbe il tempo (anche se non i soldi) di svariate ore di shopping fuori dall'orario di punta. “Età massima: 28 anni”. Maledetti razzisti. Non ci vuole forse tutta l'esperienza di chi è uscito vivo dai trent'anni per affrontare il traffico caotico della città armata di due pedali e un caschetto da sfigata? Lo vogliamo dire o no che questo è razzismo ciclistico bello e buono? Diciamolo, battiamoci per il diritto di ex ragazze over trenta a pedalare per lavoro. Facciamolo per loro, mica per noi indossatrici di “quei 20 anni portati così, come si porta un maglione sformato su un paio di jeans”.

Nessun commento: