lunedì 5 novembre 2007

Della serie a volte ritornano: la vestaglia

Dal Giornale del popolo del 2 novembre

È sempre un'ottima occasione per sfoggiare i pigiami e, soprattutto, quel capo così in disuso al giorno d'oggi nei nostri appartamenti iper riscaldati e pieni di tech e wengé e parquet che è la vestaglia. Io per esempio ho amaramente rimpianto di non aver investito una piccola fortuna nella vestaglia di seta di Dior trovata per caso alla Rinascente qualche mese fa. L'ho presa in mano, ho sentito la stoffa, ho guardato il cartellino, sono sbiancata con la solita nonchalanche e ho fatto l'imperdonabile errore di pensare e di concludere che giusto un Gorge Clooney tra le mura domestiche poteva valere quei duecento euro di seta strusciante, sexissima e, ovviamente, freddissima. Ben mi sta, pensavo qualche giorno fa in ospedale, maledicendo l'improvvisa sindrome risparmiatrice di qualche mese prima avvolta in una terribile vestaglia di pile color puffo recuperata da un'epoca in cui c'erano ancora le felpe della Best Company. Perché stare in ospedale, oltre a farti apprezzare le cose davvero importanti della vita, dalla parrucchiera alla manicure, ti precipita in uno spazio di forzato deshabillé francamente difficilissimo da gestire. Perché con la mia borsa di Prada sotto il braccio non ho paura di niente, ma vi assicuro che avvolte in una vestaglia azzurra (anche se sotto c'è un pigiama di seta di ottima fattura), ci vuol del coraggio a camminare a testa alta. Si rischia di doversi mostrare interessanti per le cose che si dicono, per le letture che si fanno. È veramente, veramente poco confortevole. Quando la gente ti guarda solo pensando ai tuoi globuli rossi e alla tua febbre, quando non c'è un cavolo di artefatto consumistico acquistato di cui parlare c'è davvero solo da sperare. Da sperare che la disinvoltura con cui ti porti dietro la flebo ti guadagni l'ambito titolo di miss reparto.

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