Dal Giornale del Popolo del 21 dicembre
Giardini addobbati come luna park, presepi di venti centimetri quadrati con una densità di pastori e pecore che neanche in centro la vigilia di Natale e poi dolci calorici, cotechino e zampone, regali impacchettati con carte riciclate dall'anno precedente, nonne sovrappeso che frugano sotto il materasso per cercare le banconote da distribuire ai nipoti. L'elenco delle cose che non succederebbero mai a casa di Carla Bruni è tanto lungo quanto impresentabile. Ci penso da giorni e ormai so che il motivo per cui quella donna genera tanta antipatia da queste parti è l'invidia. Scuotevo la testa mentre commettevo il solito abuso edilizio costruendo alla Sacra famiglia una campagna pericolante con legne rubate al camino e realizzavo che trattasi di invidia antropologica. Il concetto è complesso e merita di essere approfondito prima che il panettone ci ottunda definitivamente la mente. L'invidia, capite, non è per le gambe lunghe come autostrade, il sorriso perfetto, la carriera da modella e da cantante, il flirt col presidente Sarkozy. Perché uno a dieta ci si può mettere, a strimpellare una chitarra può imparare, persino a concupire un presidente si può impegnare. In un sacco di campi la dedizione rappresenta un ottimo surrogato del talento. Solo che, ecco, pronunciare frasi del tipo: "sono fedele soltanto a me stessa e mi sento una gatta e non sono fatta per la monogamia", fino al sublime "non sono snob" con la noncuranza e la delicatezza di una che dal salumiere ordina un etto di prosciutto non può che essere una dote innata. È l'invidia viscerale per uno spirito da vera snob che si libra alto nel cielo, mentre il nostro resta incastrato alle luci dell'albero di Natale.
mercoledì 2 gennaio 2008
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