domenica 26 novembre 2017

Domande esistenziali

Dal Giornale del Popolo del 27 ottobre
Gli aperitivi con le amiche, specie quelle che non si vedono da troppo tempo, sono occasioni di epifanie alcoliche e domande esistenziali che vanno dal “dove hai preso quella borsa” al “perché continui a lavorare?”. Nessuno ti chiede perché ti lavi i capelli quando sono sporchi eppure tutti si sentono liberi di chiederti perché continui a lavorare o, peggio, perché non ti sei ancora inventata il lavoro che dia libero sfogo alla tua creatività e che (eccolo, il sacro Graal) ti permetta di gestire il tuo tempo con più libertà. Hai un residuo di pudore e dunque non tiri fuori il tema della realizzazione personale, di cui peraltro non ti interessa granché. Cominci a spiegare, perché sei pure sempre una personalità cinico-ironica con spiccata tendenza all’autocommiserazione e al pessimismo, che il lavoro flessibile non esiste. Che l’espressione imprenditrice di se stessi ti fa venire voglia di uccidere e che ti consideri enormemente fortunata a disporre di capi a cui poter addossare le colpe di ogni tua frustrazione lavorativa e organizzativa. Che il tema dell’invadenza del lavoro (così scarso oggi eppure così pervasivo nelle nostre vite) non è legato alla tipologia di lavoro ma, semmai, al nostro approccio al lavoro. Nessuno ha mai chiesto a mia nonna perché facesse la parrucchiera di giorno e la sarta di notte e nessuno si è mai preoccupato che non ce la facesse. Il mantra “si stava meglio quando si stava peggio” non mi appartiene e dunque credo che queste domande, esistenziali o alcoliche che siano, ci facciano bene. Ci mettono davanti alle nostre motivazioni, ai nostri desideri. Così ho guardato in faccia le mie amiche e ho detto la verità: lavoro per pagarmi borse che non posso comunque permettermi. E per sottrarre tempo (ma non risorse) alla mia tendenza allo shopping compulsivo.

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