giovedì 5 maggio 2016

Le chiacchiere dei maschi (a tavola)

Dal Giornale del Popolo del 25 marzo
Ero pronta a usare queste righe per un mea culpa. Ero pronta a rivelare pubblicamente che anche io ho peccato di euforia primaverile sui social network. Ho visto un albero in fiore e come l’ultimo dei giornalisti in cerca di un’evoluzione digital ho postato una foto su Instagram. Potrei dirvi che questo stupore puerile è una cosa molto bella e che indica una genuina attenzione alle cose belle del mondo; la realtà è che anche io, come tutti, morivo dalla voglia di dire qualcosa che fosse oggetto di apprezzamento altrui. I social funzionano perché ci regalano, a buon mercato, quello che cerchiamo sempre nella vita: conferme. Un pollice alzato o un cuoricino, che dicano l’apprezzamento o si avvicinino all’affetto. E poi funzionano perché ci permettono di farci i fatti degli altri. Stavo proseguendo su queste riflessioni degne di una laureata in Scienze della Comunicazione quando il discorso dei due signori di mezz’età nel tavolo di fianco al mio a pranzo mi ha distratta. Hanno iniziato dicendo che spesso non ci si innamora delle persone, ma dell’immagine che si ha di loro. Hanno proseguito con uno scanning accurato delle ragazze sedute nel tavolo di fronte (io ero di lato, Dio sia lodato). Belle gambe, bel sorriso e via di commenti poco interessanti. Poi si sono guardati in faccia: “Quella potrebbe essere mia figlia. Anzi: a quel tavolo tutte potrebbero essere mie figlie”. E poi hanno proseguito, come se niente fosse. Li ho ammirati. Solo i maschi possono essere così lucidi e menefreghisti. E immuni alla primavera.

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